Padre Tonino Falaguasta Nyabenda
Il tema proposto in questa Domenica è l’universalità della salvezza. Domenica scorsa abbiamo riflettuto sui segni dei tempi. La 19° domenica ci ha proposto la provvisorietà. In ogni “giorno del Signore”, accostandoci alla mensa della Parola, ci viene donato un cibo da masticare e gustare per il bene della nostra vita. Oggi è il turno dell’universalità. Tutti sono chiamati ad entrare nel Regno di Dio, ma a delle condizioni (Luca 13, 24). Già il profeta Isaia, nella sua terza parte (scritta nel VI secolo prima di Cristo) spiega come tutti i popoli sono chiamati a radunarsi a Gerusalemme (Isaia 66, 18) per contemplare la gloria di Dio. Effettivamente la vocazione di Israele, a cui è rivolta per primo la Parola di Dio, è strettamente legata alla sua Missione. Egli è stato scelto fra tutte le nazioni non per restare chiuso in se stesso. Anzi tutti i popoli si uniranno a lui per partecipare al culto del Dio unico (Isaia 60). Israele è pertanto chiamato a diventare il popolo-faro di tutta l’umanità. “Cammineranno le genti alla tua luce – dice il profeta Isaia…- Uno stuolo di cammelli ti invaderà (Gerusalemme), dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore” (Isaia 60, 3 e 6).
Soprattutto dopo l’esilio babilonese (VI secolo), Israele capisce più chiaramente di essere inviato come messaggero del Dio di Abramo (Isaia 41, 19) per trasmettere al Mondo la luce della Legge (Sapienza 18, 4). Ma questa missione universale non si realizza come una conquista politica, piuttosto come una testimonianza dell’attenzione di Dio per tutta l’umanità. Infatti tutti sono invitati a partecipare al banchetto della sapienza (Proverbi 8, 32-36 e 9, 1-5).
Questa Missione del popolo di Israele diventa propria di Gesù, l’inviato del Padre, che annuncia il Regno di Dio. “Il tempo è compiuto – dice il Cristo, – il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Marco 1, 15). E l’evangelista Luca ci dà altre idee chiarificatrici. Bisogna convertirsi, certo. Ma come, dove e quando? Con la presenza di Gesù, il Regno di Dio è una realtà. Noi siamo qui in terra e viviamo il tempo che scorre e non si ferma mai. Il presente è l’unico tempo che ancora c’è e nel quale abbiamo l’occasione per convertirci. Non si tratta di “diventare più bravi”, ma di accettare la nostra miseria per guardare alla misericordia di Dio. Dobbiamo riconoscere il male che facciamo per guardare al bene che il Signore ci vuole.
Celebrando l’”Eucaristia”, sperimentiamo il banchetto dei salvati. Siamo quindi già nella gioia. Ma come entrare nella sala del banchetto? “Lottate per entrare per la porta stretta – dice Gesù, – perché molti, vi dico, cercheranno di entrare e non avranno la forza” (Luca 13, 24). La “porta stretta”, in realtà è molto larga, perché si identifica con la misericordia di Dio. Si tratta infatti di ricevere la salvezza come dono. Ma per fare questo, bisogna riconoscere di essere fuori, nell’abisso, nella morte di ogni presunzione. Bisogna lasciar perdere ogni protagonismo, ogni voglia di fare tutto da sé. Bisogna rivestirsi di umiltà. La vera conversione è pertanto l’accettazione della misericordia del Signore, dopo aver sperimentato il nostro peccato.
Bisogna lottare allora per aprire il cuore. E’ sempre così nelle realtà spirituali (1 Timoteo 6, 12). Prendiamo l’esempio da Gesù, che lottò nella preghiera fino a sudare sangue (Luca 22, 44). Siamo invitati ad agire, come insegna sant’Agostino (354-430), vescovo africano e dottore della Chiesa, come se tutto dipendesse da noi, ben sapendo che tutto dipende invece da Dio, che non ci fa mai mancare la sua grazia.
La chiamata ad entrare nella sala del banchetto è rivolta a tutti. Come spiega chiaramente la parabola che si trova nel Vangelo di Matteo: “Il Regno dei Cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire… La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze” (Matteo 22, 2-3 e 8-9). Certo, tutti sono invitati, anche se i primi non hanno voluto, perché si ritenevano a posto. Ci vuole però una condizione, l’abito nuziale (Matteo 22, 11). Che cos’è quest’abito nuziale? Questa veste è donata a chi si riconosce peccatore e accoglie l’invito alla conversione. Effettivamente solo chi vive le Beatitudini (Matteo 5, 1-12), da vero convertito, capisce la sua situazione di figlio amato e graziato, in cui si riversa la misericordia del Padre. In questo modo scopre l’amore gratuito di Dio e può entrare nella sala del banchetto, nella quale tutta l’umanità è invitata.
San Daniele Comboni (1831-1881) sapeva con certezza che anche gli Africani del suo Vicariato erano invitati a conoscere il Vangelo e a sperimentare la misericordia di Dio. Era quindi urgente l’annuncio del Vangelo. Così scriveva a don Giuseppe Pennacchi, superiore di un seminario a Roma, al quale chiedeva operai per la Vigna del Signore, il 27 novembre del 1877: “Non altro sospiro che il modo migliore per fare all’Africa Centrale il massimo bene e salvare più anime. Non altro sospiro che ‘praedicetur Jesus Christus‘ e cioè che Gesù Cristo sia predicato e il suo Vangelo di salvezza conosciuto”.
P. Tonino Falaguasta Nyabenda