Padre Vincenzo Percassi

Per comprendere più facilmente il discorso di Gesù nel Vangelo di oggi può essere utile riprendere il racconto del profeta Geremia. Questi cercava di allertare gli israeliti circa l’imminente catastrofe della città e per questo viene arrestato e gettato in prigione perché accusato dai notabili di scoraggiare gli animi e di volere il male della società. Il buon senso di un eunuco di corte che intercede per lui presso il re, rivela da un lato la malizia degli accusatori e dall’altro la debolezza di carattere dello stesso re, che di fronte ai notabili si mostrava ossequioso e accondiscendente ma poi, quasi in sordina, non può fare a meno di contraddire sé stesso e di accogliere la richiesta dell’eunuco. Di fronte a queste inconsistenze dell’animo umano risuona come molto realistico l’interrogativo di Gesù nel Vangelo: perché sapete prevedere se ci sarà bello o brutto tempo e non riuscite a discernere i segni del tempo, che cosa cioè favorisce veramente la vita e che cosa invece la distrugge? perché non siete capaci di determinare da soli ciò che è giusto, distinguere cioè il vero bene dal male? in effetti non è difficile riconoscere che ogni uomo vive una costante divisione interiore tra il suo bisogno di preservare se stesso, il proprio interesse ed il proprio comodo e le sollecitazioni della realtà che lo richiamano costantemente a perseguire ciò che invece è vero e giusto. Ora, di fronte a questa divisione interiore, l’uomo si ritrova spesso troppo debole per poter scegliere il bene, soprattutto se questo implica qualche difficoltà e quindi preferisce soluzioni più facili e più comode che apparentemente gli risparmiano complicazioni, ma di fatto lo invischiano in varie forme di ipocrisia che gli impediscono di fare scelte libere e coerenti nella vita. Quando Gesù nel Vangelo dice: non sono venuto a portare la pace ma la divisione sta dicendo che la sua proposta di vita ha un’attrattiva da potergli restituire la capacità di prendere decisioni consistenti, di fare cioè scelte che de-cidono, che scindono i nodi della paura, che tagliano legami ed attaccamenti inutili, che vincono le incertezze e le esitazioni. Questa capacità di decidere in maniera chiara, consistente, lucida, taglia perfino i legami famigliari – padre, figlio, suocera – non perché sia necessariamente contraria alla pace domestica ma perché contraria a quella modalità carnale o mondana di vivere le relazioni che tende a “spegnere” tutto ciò che potrebbe turbare il quieto vivere, le abitudini, le sicurezze condivise. Al contrario la fede che Gesù ha portato sulla terra non viene dalla carne, bensì esprime un fuoco che purifica e libera il cuore dell’uomo. Per questo la lettera agli Ebrei incoraggia a tenere gli occhi fissi su Gesù Cristo e su come Egli abbia deciso liberamente di morire per noi, disprezzando sia la paura della croce, la vergogna e l’umiliazione che essa implicava ed anche l’ostilità dei peccatori. Gesù ha preferito decidere in base alla sua fede nel Padre che dà la vita e così facendo ha trovato una gioia piena per sé ed ha aperto un cammino di felicita per tutti color che gli obbediscono. La forza e la libertà del suo cuore sono oggi al nostro servizio. Deponete – continua la lettera agli Ebrei – tutto ciò che è di peso ed il peccato che assedia il nostro cuore, cioè tutte quelle cose cioè che trattengono, che fanno esitare, che stancano e rallentano e che quindi ti fanno vivere in una posizione difensiva che esprime una vita comoda forse ma “spenta”. La fede in Gesù invece vuole essere un fuoco che ti porta a vivere la tua vita come “missione”, ad assumere una posizione agonistica, che cioè affronta la vita come una corsa che porta ad una vittoria più grande delle possibilità della carne e della sola natura umana. Occorre quindi coltivare la consapevolezza che con la sua morte e la sua resurrezione Gesù ha portato un fuoco sulla terra che non era mai stato acceso prima. In tal senso è lui l’iniziatore della fede. Ed è Lui pure – continua la lettera agli ebrei – il perfezionatore della fede, colui cioè che avendo ricevuto un battesimo di morte e resurrezione, è capace di condurre alla pienezza della vita coloro che attraversando le vicende più contraddittorie della storia non cessano di fidarsi di lui. Fissare gli occhi su di lui significa credere ostinatamente che egli non è assente dalla realtà che mi sta davanti, ma invisibilmente presente ed attivo. Allora di fronte alle persone o alle circostanze che mi attraggono o mi spaventano, che mi giudicano o mi umiliano, che mi approvano o mi minacciano non vedo più soltanto le persone o le circostanze ma vedo un piano di Dio che si realizza, un fuoco che si espande, una vita che avendo sconfitto la morte ora vive in me e fa di me un testimone della resurrezione, anche se dovessi trovarmi – come era il caso di Geremia – nel fango di una cisterna.