Padre Luigi Consonni

Commento alle letture: XIX DOMENICA DEL T.O. -C-
(07/08/2022)

 

Prima lettura (Sap 18,6-9)

La notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri,
perché avessero coraggio,
sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà.
Il tuo popolo infatti era in attesa
della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici.
Difatti come punisti gli avversari,
così glorificasti noi, chiamandoci a te.
I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto
e si imposero, concordi, questa legge divina:
di condividere allo stesso modo successi e pericoli,
intonando subito le sacre lodi dei padri.

Il testo è una riflessione sull’azione di Dio a favore d’Israele e il coinvolgimento di quest’ultimo. L’iniziativa parte da Dio, che annunciò la liberazione del popolo dalla schiavitù dell’Egitto (sinonimo del male e del peccato): “La notte della liberazione fu preannunciata ai nostri padri”. In nessun modo il popolo si sarebbe liberato con le proprie forze, tanto era stringente e ferreo il dominio degli oppressori.

Al popolo umiliato, schiacciato dalla schiavitù e senza speranza, l’annuncio dell’intervento di Dio è “perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà”. Dio chiede al popolo il coraggio e la determinazione per organizzare la nuova società e nel gestire il dono della liberazione attraverso la pratica del diritto e della giustizia, fondamento della dignità di ogni persona e dell’adeguata convivenza sociale foriera di pace, armonia e pienezza di vita.

Il tuo popolo, infatti, era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici”. Questi ultimi sono coloro che imposero la schiavitù. La liberazione dei giusti è tale per l’azione di Dio, che rompe il progetto e gli interessi degli oppressori con la disgrazia che sfocerà nella tragedia del mar Rosso: “Difatti come punisti gli avversari”. E il popolo riterrà che “così glorificasti noi, chiamandoci a te”. 

La memoria d’Israele ricorderà sempre l’intervento di Dio, con mano forte e braccio potente, a loro favore. La liberazione è la nuova chiamata all’alleanza, all’osservanza fedele del cammino indicato dalla Legge stipulata con Mosè sul Sinai, dono della gloria di Dio: “così glorificaste noi”, il cui effetto è la comunione con Lui, per il dono del suo amore e il coinvolgimento in esso.

Liberi dal peccato – dalla dipendenza, dalla schiavitù -, e costituiti “figli santi dei giusti”, accolsero e perseverarono nel dono della liberazione e, con il culto, “offrirono sacrifici in segreto”, la cui memoria attualizza gli effetti dell’evento, include il perdono per la ricaduta nel peccato e la rigenerazione nel ripristinare e aggiornare la liberazione, il dono del reiterato amore.

Come antidoto al peccato e alla fedeltà dell’alleanza, nella celebrazione “si imposero, concordi questa legge divina: di condividere allo stesso modo successi e pericoli”, e strinsero il patto di solidarietà per sempre, nelle condizioni favorevoli come in quelle avverse. La solidarietà e la responsabilità hanno l’impronta divina che sostiene e motiva l’amore con cui il Signore ama il suo popolo, e ogni persona, nel liberarli dalla schiavitù e condurli alla terra promessa.

La solidarietà e la responsabilità fraterna non sono altro che l’espressione della familiarità di Dio e la manifestazione del legame di giustizia e fedeltà alla Legge, della presenza del Signore come loro re.

Essi, intonano “… subito le sacre lodi dei padri”. Qualunque sia la circostanza, favorevole o avversa, intonare “subito” le lodi a Dio esprime la solidità, la consistenza e la supremazia della fede, della loro fiducia nel Dio liberatore. Tale fede è l’asse attorno al quale ruota tutta la vita individuale e sociale del popolo eletto.

La fede autentica motivata e sostenuta dall’amore e dal senso di gratitudine per la presenza del Signore, per quello che ha fatto e continuerà a fare, perché fedele alla promessa. La lode a Dio – “le sacre lodi dei padri” – unisce, nel presente il passato e il futuro, e la fede elabora la comprensione di come discernere l’azione opportuna affinché “sia fatta la tua volontà”, che unifica il cielo e la terra in Dio, nel quale tutto esiste e tutti si ritrovano nella fraternità e nella pienezza di vita.

Ecco, pertanto, l’immediata lode che immerge nella comunione in Lui, assume il suo progetto a favore di tutti e di tutto. Questa stessa fede è il tema della seconda lettura.

 

Seconda lettura (Eb 11,1-2. 8-19)

Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.
Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.
Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città.
Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.

 

La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede”: è la migliore definizione della fede in tutta la bibbia. L’edizione pastorale brasiliana usa termini di particolare incisività: “La fede è un modo di già possedere quello che ancora si spera, la convinzione circa le realtà che non si vedono”.

Il contenuto della speranza è l’avvento del Regno oggi, anticipo e caparra del futuro evento alla fine del tempo. L’oggi dell’avvento del Regno e dell’accoglienza è realtà penultima di vita in abbondanza, di armonia, pace e fraternità, in considerazione del tempo cronologico e delle dinamiche innovative della vita. La fine del tempo della persona è la morte, passaggio ultimo e definitivo nel Regno.

La fede è il fondamento che accoglie e sintonizza con il progetto, il sogno di Dio per l’umanità, il creato e ogni persona che inquadra il cammino e attrae alla meta, come la calamita con la limatura di ferro.

L‘incommensurabile e l’inesauribile amore sostiene e conforma la speranza. Entrare nel “gioco” dell’amore d Dio attiva le condizioni per le quali presente e futuro sono saldamente uniti, attratti reciprocamente in modo indissolubile. Nella dinamica del processo emerge “la potenza di una vita indistruttibile” (Eb 7,16), “prova di ciò che non si vede” o, secondo la traduzione brasiliana, “la convinzione circa le realtà che non si vedono”.

Il fondamento e la “prova di ciò che non si vede” non si esauriscono nell’ordine razionale né sono soggette a verifiche con metodo e mezzi dell’intelligenza teorica e della pratica umana. Esse generano patrimonio interiore in chi assume, con determinazione, l’ordine di Gesù: “amatevi gli uni e gli altri come io vi ho amato” (Gv 15,12).

La forza e la consistenza di tale processo fa percepire e intravedere la realtà di quello che nessuna filosofia, sforzo o intelligenza umana può autoreferenzialmente offrire. Solo oltre l’autoreferenzialità si apre l’orizzonte immenso del mistero della vita. Entrando in esso si è accolti sulla soglia dalla coinvolgente dinamica dell’amore che, nel linguaggio teologico, è Dio.

La sapienza di Dio, nello stabilire il cammino, lo rende accessibile a ogni persona che imita nei rapporti interpersonali e sociali l’amore che da Egli stesso insegato, e praticato da Gesù fino alla consegna di sé stesso, per l’azione dello Spirito, perché entra in sintonia con la fede e la speranza di cui sopra. Non si tratta di privilegio né di capacità umana fuori dal comune, ma di coinvolgimento nel dono di Dio.

Il testo indica alcuni esempi: Abramo, Isacco, Giacobbe, Sara. Mostrano la consistenza della loro fiducia nel Signore e nella promessa futura. Fede che non venne meno nella lunga attesa del compimento: “Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi”. La promessa rimane tale nel trascorrere del tempo, ma costoro non sono delusi né defraudati perché, pur non ottenendo i beni promessi, “li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra”.

Costoro, con lucida percezione del rapporto tra presente e futuro, al punto da vederlo e salutarlo da lontano, sperimentano come il presente anticipa il futuro, e come il futuro è già presente, condizione per espandere gli effetti dell’amore che “vince” la barriera della morte.

Nel presente dichiarano di “essere stranieri e pellegrini sulla terra”. Sentono che non gli appartiene, coscienti di vivere in essa di passaggio, realtà provvisoria che, così com’è, anticipa il futuro, un futuro che va ben oltre.

Essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste”. Non è un riferimento a un’altra terra, a un altro mondo, ma a questa realtà, colmata e trasformata dalla gloria di Dio per l’avvento del suo Regno, nel quale manifesta la sua gloria con la risurrezione del Figlio. Con essa Gesù Cristo accoglie il dono del Regno nella sua umanità, in virtù dell’amore gratuito e donato sino alla consegna sulla croce. In Lui si trasforma la realtà terrestre in celeste.

La fede e la speranza di Abramo nel momento più alto della prova – il sacrificio del figlio – si manifesta nella certezza che il Signore compirà la promessa, al punto “che Dio è capace di far risorgere i morti”, evento umanamente impossibile.

Il tempo presente, nello scorrere cronologico fra passato e futuro, acquista spessore, consistenza e valore per la fiducia nel Signore della vita. Per viverlo è necessario seguire l’insegnamento del vangelo.

 

Vangelo (Lc 12, 32-48) – Adattamento dal commento di Alberto Maggi

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

 

Nel capitolo 12 del vangelo di Luca l’evangelista presenta la nuova realtà del regno. Se i discepoli si prendono cura dei loro fratelli permetteranno a Dio, come Padre, di prendersi cura del loro bene e del loro benessere.

Scrive Luca: “Non temere …”; quindi Gesù toglie ogni ansia, ogni preoccupazione, “… piccolo gregge”. È proprio minuscolo. Il termine piccolo è micron, quindi qualcosa proprio di inconsistente. “Perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.” L’evangelista contrappone la piccolezza, il piccolissimo – microscopico quasi – gregge, la comunità che segue Gesù, con la grandezza del Regno di Dio, del progetto di Dio sull’umanità.

Poi Gesù, con tre imperativi, passa a definire le caratteristiche che rendono possibile la realtà di questo Regno. La prima è “Vendete ciò che possedete”. Non è un invito, è un imperativo. Quindi vendere ciò che si possiede, “E datelo in elemosina”, cioè con quello che avete ricavato fate del bene a chi ne ha bisogno; e poi, ecco il cambio, la nuova realtà del Regno: “Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli”.

Sappiamo che il termine cieli, nel linguaggio del tempo significa “in Dio”. Cosa vuol dire Gesù? Gesù dice che, man mano che il credente sperimenta che dare non significa perdere, mette la sua fiducia nel Padre, si libera dalle preoccupazioni materiali e si riempie di una fiducia crescente nell’azione del Signore.

Quindi, “fatevi un tesoro sicuro nei cieli”, cioè in Dio, “dove ladro non arriva e tarlo non consuma”. Quindi, è al di fuori di ogni preoccupazione. E poi, ecco l’affermazione chiara di Gesù: “Perché, dov’è il vostro tesoro (cioè dove mettete la vostra fiducia, ciò che vi dà sicurezza), là sarà anche il vostro cuore.”

Il cuore, nella cultura ebraica, non è come nella nostra occidentale la sede degli affetti; il cuore significa la mente, la coscienza; quindi, dov’è il tuo pensiero – dice Gesù – là sarà anche la tua vita. Dove hai diretto il tuo pensiero, là sarà tutta la tua vita; se, invece, pensi al bene degli altri questa sarà la tua ricchezza sicura.

Poi Gesù, di nuovo con un imperativo, – e qui è un’immagine molto importante che se compresa bene cambia il rapporto con Dio e, conseguentemente, il rapporto con i fratelli: “Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi”. Perché quest’indicazione? L’abito comune degli uomini in Palestina era una tunica che arrivava fino alle caviglie. Quando ci si doveva mettere in cammino e, soprattutto, quando si doveva lavorare, questa tunica era di impaccio e allora la si raccoglieva e si annodava alla vita.

Allora Gesù chiede che la caratteristica, quello che distingue la sua comunità di discepoli, il suo distintivo, sia quest’atteggiamento di servizio. Non un servizio abituale, ma un servizio che diventa il distintivo della persona e della comunità.

E poi Gesù aggiunge: “E le lampade accese”. Perché questo richiamo alle lampade accese? Il riferimento è al libro dell’Esodo dove, in una tenda, c’era la presenza del Signore e c’era la prescrizione che una lampada doveva essere sempre accesa. Con questa indicazione preziosa Gesù dice che l’individuo, e la comunità che si manifestano nel servizio, sono il vero santuario dove Dio manifesta la sua presenza.

Siate simili a quelli che aspettano il loro padrone (letteralmente l’evangelista scrive signore) quando torna dalle nozze”. Come Dio era lo sposo del suo popolo, così Gesù è lo sposo della nuova comunità.

Gesù non si comporta come il padrone di casa che entra e spalanca la porta. Lui bussa. È un grande segno di rispetto e delicatezza verso gli altri. “Gli aprano subito.”

 E qui Gesù proclama qualcosa di inconcepibile per la cultura dell’epoca. Gesù proclama “beati”, cioè straordinariamente e pienamente felici, “Quei servi che il padrone (il signore) al suo ritorno troverà ancora svegli”. Quindi quest’atteggiamento di servizio non è qualcosa che da vivere ogni tanto, è un atteggiamento che continuamente rende distinguibile la comunità.

In verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi”. Quello che Gesù ha chiesto ai suoi discepoli di avere come distintivo – il servizio – è il suo distintivo. Gesù, nella sua comunità, è colui che serve.

E qui c’è qualcosa di inaudito: Gesù si presenta come il Signore, il padrone della casa e, anziché mettersi a tavola e farsi servire dai servi, sarà lui a servire. Dice Gesù: “li farà mettere a tavola (letteralmente sdraiare a tavola) e passerà a servirli”. Questa è la novità di Gesù. Egli, nel vangelo di Luca, nell’ultima cena, fa proprio quest’affermazione: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve”.

Questa immagine dell’evangelista è un’allusione all’eucaristia. L’eucaristia non è un culto, ma è la comunità che, sempre continuamente in atteggiamento di servizio, viene fatta riposare da Gesù per farla ristorare, per farla rinfrancare con una nuova carica del suo amore.

Gesù stesso passa a servire, questa è l’immagine che l’evangelista ci presenta. Quindi non una comunità al servizio di Dio, ma Dio che si mette a servizio della comunità. Allora il culto della comunità cristiana non è diretto al Dio, al Padre, ma dal Padre, attraverso Gesù, passa agli uomini, perché continuamente si manifestino attraverso questo atteggiamento di servizio.

E Gesù continua con questo comportamento della disponibilità che rende riconoscibile la sua comunità dicendo: “Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo”.

Questa presenza di Gesù nella sua comunità, questo suo improvviso apparire non ha una scadenza, è improvvisa. Cosa significa all’improvviso? Ogni volta che ci sono situazioni di bisogno, di necessità degli altri, la comunità deve essere sempre pronta. Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Ma se nella comunità, anziché servirsi gli uni altri, se nella comunità non ci si tratta con amore e con rispetto ma, per l’arroganza, per la prepotenza, per il desiderio di potere si schiavizzano gli altri per i propri comodi, Gesù usa un’espressione tremenda e dice: “quando il padrone verrà” – l’espressione è molto forte – “lo dividerà in due”.

Essere divisi in due era la pena per i traditori. Quindi Gesù ammonisce che coloro che nella comunità anziché servire, mettersi al servizio degli altri, pretendono di comandare e dominare con prepotenza, per Gesù sono dei traditori che nulla hanno a che fare con la sua realtà.