Ai tempi in cui ero nella missione di Rungu, era uno spettacolo vedere questi tre amici a spasso per il villaggio. Tutti li conoscevano e li chiamavano per nome: Omar, Rambo e Tigre.

Omar era un bell’asino, giunto a piedi dal Sud Sudan. Padre Paolo lo aveva acquistato per dare un esempio di come un asino può aiutare nei lavori dei campi e nei trasporti, alleviando le fatiche delle mamme che ritornavano sempre cariche come “musi” dalla campagna. Paolo mi incaricò di fare un bel carretto e le bardature per Omar. Poi lo consegnò nelle mani dei suoi “FSF” (Forgerons sans Frontières, i suoi elettricisti presi dalla strada), perché lo abituassero a lavorare. Ma Omar era un asino nato stanco con nessuna voglia di fare del bene, e i “FSF” lo usavano per farsi portare in passeggiata per il villaggio. Poi abbandonarono anche il carretto e Omar si ritrovò licenziato su quattro zampe, con sua gioia espressa in belle ragliate e lunghe galoppate. Girava bighellonando e in mancanza di una compagna scambiava le capre per asine e nei suoi slanci amorosi ne uccise qualcuna, facendo soffrire il portafoglio di Paolo.

Tigre era un bel cane, anche lui di Paolo. Viveva in giro per il villaggio ed era puntualissimo a rientrare in missione, alle sei di sera quando il cuoco metteva fuori la sua pentola con il pasto. Era un buon cane da guardia e lasciava tranquillamente passare i ladruncoli, ma ce l’aveva a morte con i maiali che entravano per sbaglio nel cortile della missione in cerca di cibo. Allora iniziava la battaglia e lui snello e veloce riusciva sempre a girare dietro ed afferrarli nelle parti nobili e farli roteare come girandole. Aveva una forza incredibile. Dovevamo intervenire in fretta per separarlo dalla preda.

Il terzo amico era Rambo un giovane scimpanzé reso “orfano di caccia”. Era un gran figlio di “buona scimmia” che pensava che noi fossimo i suoi genitori. In quanto a simpatia ne aveva da vendere e se la spassava con tutti. È stato lui il “collante” della loro amicizia e dell’amicizia con la gente del villaggio. Come tutte le brave scimmie, combinava le sue marachelle. Alle volte lo incrociavi che usciva dalla sala da pranzo con una pagnotta per mano e una tra i denti. O che spariva veloce e guardingo con il barattolo dello zucchero.

Rambo e Tigre, ancora piccoli dormivano abbracciati davanti alla mia porta. Se durante la notte, Tigre si alzava e si svincolava per andare a fare i suoi bisognini. Rambo iniziava a sbraitare come un ossesso come se gli avessero pestato i calli, svegliando tutto il convento. Tigre ritornava e lui lo riabbracciava e si riaddormentavano sereni e felici.

Un giorno rientrando dopo alcuni giorni di lavoro per riaprire da oltre una ottantina di alberi caduti una pista in foresta, l’ho trovato in condizioni pietose con le labbra penzolanti e che sbavavano come Omar. Ghiotto come era, ha visto un secchiello pieno di polverina bianca e pensando fosse zucchero ci ha immerso le labbra… Era soda caustica. Mi ha fatto pena, “poarèto”. Da questo incidente gli è rimasta sempre una certa deformazione delle labbra.

I nostri tre eroi andavano a passeggio per il villaggio in una maniera piuttosto buffa. Omar apriva la strada, seguito da Tigre, e il povero Rambo, che non era abituato a correre, camminava di traverso appoggiandosi sulla schiena di Tigre, lamentandosi per la velocità.

Tigre era diventato più scimmia di Rambo: se lanciavi una banana Tigre velocissimo se la pappava lasciando Rambo a mugugnare. Sempre quel “fiol d’un can” saliva in cima al mucchio di sabbia e si metteva ritto seduto con le zampe anteriori sollevate, come un can-guru di vedetta godendosi il panorama.

Ovviamente i tre erano anche compagni di giochi. Omar aveva una corda al collo, e Rambo non trovava di meglio che attaccarsi e dondolarsi su quella altalena mobile con entusiasmo, Tigre che non poteva aggrapparsi alla corda, passava il tempo a morsicchiare il labbro penzolante del povero Omar, che per amicizia accettava tutte le noie.

Rambo si era innamorato di mamà Germaine, la nostra brava lavandaia e guardarobiera già avanti con gli anni. Se la buona mamma si caricava in testa la grande bacinella piena di biancheria da stendere, Rambo si attaccava alla sua gamba e si faceva portare avanti indietro e non era poi così leggero. Non disdegnava neanche le gambe della giovane cuoca Dieudonette e delle altre ragazze che venivano a cucinare per le feste. Se non gli prestavano attenzione erano strilli da aquila reale.

P. Paolo, che amava gli animali sempre a scopo educativo-didattico, vedendo che diversi bambini soffrivano per la carenza del latte materno, acquistò da P. Herman, domenicano della vicina missione di Niangara, una mucca e un vitello, che giunsero a Rungu condotti da un pastore, facendo adagio e con fatica i novantacinque chilometri. Gli “avvoltoi” della ANR (i servizi segreti-KGB locale, per capirci) videro subito una buona occasione per mungere non la mucca ma p. Paolo e si presentarono armati di secchio…sperando che lo riempisse di dollari. Dissero a P. Paolo che doveva pagare le tasse di immigrazione e dotare mucca e vitello di carta di identità. Al che Paolo con il suo linguaggio tagliente e colorito, disse loro che le due bestie non avevano bisogno del passaporto, né permesso di soggiorno, non erano delle “expatriées”, ma erano congolesi con tutti i diritti, e che in ogni caso, non era affare loro interessarsi di immigrazione. Concluse dicendo che si vergognassero e andassero a mungere altrove, che quel latte era riservato ai bambini denutriti e non a chi era ben pasciuto.

Passò qualche tempo e Padre Paolo si ammalò improvvisamente e nel giro di due giorni ci lasciò per il Cielo. Fu un trauma per tutti noi e anche per i suoi Forgerons sans Frontières, di cui era stato padre e maestro. Si decise di portare Omar a Mungbere, dove P. Gianmaria aveva acquistato per i campi dell’ospedale un’asina in carenza affettiva. Il povero Omar si è fatto zoccolando i centocinquanta chilometri. Aveva la fobia dei ponti e quando si trovava a doverne attraversare uno, si impuntava e non si muoveva più, né con le buone né con le cattive. Il trucco c’era…Gli si metteva un paraocchi che gli permettesse di vedere i suoi zoccoli e dritto avanti e lui si lasciava condurre tranquillo. Anche a Mungbere ha continuato la sua vita da nababbo schivando ogni sorta di lavoro… tanto per dare l’esempio anche alla compagna.

Tigre fu adottato dai FSF e continuava a fare le sue puntate culinarie in missione, dove trovava l’amico Rambo sempre disposto a fargli compagnia.

Venne il tempo della consegna della missione di Rungu al Clero Diocesano. I superiori mi mandarono a Isiro, in città. Mi domandavo chi poteva prendersi cura di Rambo. Mamà Germaine, che aveva affezione per la povera bestia, si fece avanti offrendosi con generosità. Lo portò a casa sua dove Rambo trovò nuovi amici. Qualche anno dopo, mamà Germaine dovette spostarsi anche lei a Isiro, per stare vicino al marito ammalato, lasciando in consegna Rambo ai ragazzi di casa. Qualche tempo dopo, ho saputo che il povero Rambo era stato ucciso da qualche carnivoro a due gambe malintenzionato.

Qualche tempo prima, a una coppia di volontari, i soliti cacciatori di frodo, avevano proposto l’acquisto di un piccolo scimpanzé. Avendo l’esperienza dalla mia parte, li ho sconsigliati vivamente di prenderlo, perché una volta che avessero terminato il loro servizio non avrebbero saputo cosa fare del povero animale, che se lasciato a sé stesso sarebbe finito in qualche pentola. Hanno voluto prenderlo e lo trattavano come un bambino, tanto da scandalizzare la gente. Anni prima una volontaria statunitense del “Peace Corps” era stata denunciata per insulto alla donna africana, perché portava la sua scimmietta legata alla schiena come fanno le mamme con i bambini. Come si dice in veneto “stupidota la poarèta !”.

Poi, per la copia di sposini è venuta l’ora del rientro in patria. Hanno consegnato il povero scimpanzé a un amico e giunti in Italia hanno fatto una raccolta di fondi per far portare l’orfano al Conservatore del parco della Virunga a oltre seicento chilometri in moto. In quel parco ci sono diversi gruppi di ribelli, non mancano i bracconieri e le guardie soffrono di fame cronica come tutti… non credo che il povero scimpanzé sia capitato in buone mani. L’ingenuità dei buoni non ha limiti….

Morale della favola:

Non prenderò mai più in affido delle scimmie e ancor meno degli scimpanzé. Sono animali troppo sociali e una volta che hanno fatto amicizia con l’uomo non son più capaci di staccarsi e di riprendersi la loro libertà, nutrendo quella aggressività che è necessaria per salvarsi. Nel limite del possibile, curerò quegli animali che una volta cresciuti e rilasciati sapranno cavarsela e sapranno stare distanti dagli animali più pericolosi e dalle canne dei fucili.