MA CHE ESTATE…

UNA SETTIMANA CON I COLORI DI DIO


Dio ha i colori dell’umanità.
Ci sono cinque colori nelle Sue mani. Ogni dito ha un colore diverso: verde, come le foreste africane; rosso, come la pelle degli indios; giallo come le razze asiatiche; bianco come gli europei e azzurro come i mari australiani.
Il sogno di Dio rimane ancora quello di un mondo unito e arricchito dalle diversità.

I Missionari Comboniani della casa madre di Verona hanno voluto far concreto questo sogno di Dio: vivere la fraternità dei diversi colori. Così, come ogni anno, insieme ad amici e volontari, si sono prodigati per organizzare e vivere una settimana di fratellanza,con una iniziativa chiamata “Ma che estate”. Forse l’iniziativa si potrebbe chiamarsi con altro nome, perché i titoli sono importanti, ma i fatti sono quelli che convincono.
E il fatto concreto è che per una settimana, dal 24 al 31 luglio, il parco dei Comboniani di Vicolo Pozzo è diventato un giardino di colori, di allegria , di canti e di condivisione. Una dimostrazione che si può convivere gioiosamente. Quest’anno si sono visti tanti giovani, ragazze e ragazzi africani, europei, latinoamericani. Ma che dico? la maggior parte erano italiani di colore diverso dal bianco (scusate se parlo di colori!), che parlavano italiano perfetto; e anche veneto perfetto. Giovani nati e cresciuti in Italia che fanno fatica a ricevere i documenti per rimanere nella loro patria italiana. Giovani che hanno una cultura e dominano varie lingue con una facilità estrema. Diplomati e laureati ancora esclusi dal mondo di lavoro e schiavi di una politica egoista, di una burocrazia lenta e di un pregiudizio stupido. Abbiamo delle ricchezze, delle miniere d’oro e facciamo finta di non sapere; come il ragazzino che giocava a biglie con un diamante, pensando che fosse una pallina di vetro.
Ho incontrato un giovane signore che in pochi secondi ha raccontato la sua storia, di come è arrivato in Italia, di come si ha aperto un varco in Veneto, e di come ora dà lavoro agli italiani. Ho salutato un dottore che lavora a Negrar, che ha salvato la vita a molti pazienti per essere un eccellente esperto in malattie tropicali. Ho stretto la mano a una signora congolese che fa la sarta nell’arena di Verona, soprattutto quando ci sono le opere più importanti. Raccontano le loro storie serenamente, senza rancori per quanto hanno sofferto nel passato e per i pregiudizi nel presente. Amano la vita e aiutano chi soffre, perché sanno cosa significa soffrire. Era edificante e deificante vedere il campo sportivo abitato dalla gioia e dalla condivisione di cibi e piatti di ogni razza e cultura. Era gioioso contemplare bambini, giovani e adulti ballare insieme come una famiglia che si ama. Pensavo e lo penso che il paradiso sarà così: tutti insieme, gioiosi mentre si danza al suono della musica dell’amore. E possiamo immaginare la felicità di Dio mentre mostra le sue dita con cinque colori, per dire che il mondo, il suo mondo, è bello. Lo stesso Dio ci invita a continuare a dipingere il mondo con i diversi colori, particolarmente il colore dell’amore, della speranza e della fraternità. Dio è padre di tutti ed è felice quando i suoi figli vivono come fratelli.

Mi domando ancora perché in mezzo a tanta gioia mi veniva in mente una canzone di Eros Ramazzotti dal titolo “Non possiamo chiudere gli occhi”. E’ una canzone che sembrerebbe triste, ma che invece invita a un futuro con speranza. Dice:

Io mi chiamo Nino e ho dieci anni.
Vivo in più di mille periferie e ho parenti neri, bianchi e gialli.
La mia storia è un grido su bocche mute; una di quelle storie taciute.
La mia storia è un grido di sofferenza in mezzo a troppa indifferenza.
La mia storia è un grido che non ha fine.
Non possiamo chiudere gli occhi; dillo a chi non vuole vedere.
Non possiamo chiudere gli occhi; dillo forte a certe persone.
Io mi chiamo Nino, non dimenticarti mai di me (…)

E io sono vostra madre e mi chiamo terra.
Vi ho cresciuti tutti quanti io.
Ricordate un tempo com’ero bella, prima che deturpassero il volto mio.
Non possiamo chiudere gli occhi: guarda quanto dolore nel volto di tanta gente”.

Eros Ramazzotti può stare sereno: nel parco dei Missionari Comboniani gli occhi sono aperti e tutti si contemplano con sguardi di fratellanza, di gioia e di senso di appartenenza reciproca.

P. Teresino Serra