L’ora dell’Africa – Guido Oliana

L’ “ORA” DELL’AFRICA NEL PIANO E NEL POSTULATUM: IERI E OGGI
PER UNA TEOLOGIA SISTEMATICA COMBONIANA DEL KAIROS

Guido Oliana

INTRODUZIONE
COMBONI “TEOLOGO”… E APPROCCIO ERMENEUTICO AI SUOI SCRITTI

Cercherò di avvicinare il Comboni con un interesse prevalentemente teologico-metodologico e teologico-sistematico. Come obiettivo finale della mia ricerca, azzardo il progetto di una “teologia sistematica comboniana” in dialogo con il dibattito contemporaneo, in particolare sul tema della compassione-sofferenza di Dio, garantendo un’attualizzazione creativa del carisma del Comboni. Una considerazione previa sull’atteggiamento ermeneutico, con cui interpretare gli scritti del Comboni, ci aiuterà forse ad “aprire nuove vie verso la verità”  comboniana. Senza troppe pretese critiche, questo contributo vorrebbe essere una specie di rapsodia teologica sistematica comboniana, ai fini di stimolare una riflessione, che vada oltre i luoghi comuni.

1. “Intendere cosa voglia dire un Dio morto in Croce per la salvezza della anime”

Ai Padri del Concilio Vaticano I, Comboni rivolge i seguenti interrogativi, che, indirettamente, risuonano come una domanda sul senso di Dio nella storia dell’Africa Centrale: “Ora io mi domando se c’è mai qualcuno al mondo che con gran pianto cerca di farvi conoscere i sentimenti di tanti figli della Nigrizia. C’é qualcuno presso di voi che faccia da padre per i neri, una voce che faccia da interprete per tanti figli di Cam? […] Perchè mai […] soltanto la Nigrizia dell’interno si trova ancora nelle tenebre e nell’ombra di morte, senza Pastore, senza Apostoli, senza Chiesa, senza fede?  Perchè, fra le tanti nazioni del mondo, essa sola non è ancora sottomessa al dominio di Cristo?” (S 2299-2301). La situazione della Nigrizia nel secolo XIX veniva interpretata mediante la categoria razzista della “maledizione di Cam” , applicata agli Africani in quanto Camiti; interpretazione condivisa dagli Europei, dal Papa Pio IX e dallo stesso Comboni, che con angosciosa impotenza la richiama nei suoi scritti . Comboni affrontò responsabilmente gli interrogativi teologici, che la situazione della Nigrizia suscitava, sul senso della storia come storia di salvezza, tentandone un’interpretazione alla luce dell’ “ora” dell’Africa. Comboni, senza saperlo, ha contribuito a un nuovo modo di fare teologia quale storia della salvezza, anticipando profeticamente una teologia della liberazione in contesto africano. Sull’esempio del Comboni, ogni comboniano deve porsi degli interrogativi teologici sul senso della realtà in cui opera .
Le domande fondamentali del Comboni trovavano una risposta di fede nel mistero pasquale. Solamente contemplando il volto del Cristo crocifisso, che, identificandosi con la Nigrizia, abbandonata da tutti, da Dio, dalla Chiesa e dal mondo, gridava al Padre: “Dio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato”? (Mc 15,34), Comboni potè trovare la chiave interpretativa della realtà. Egli stimola a fare e vivere la teologia del Dio morto sulla Croce con tocco africano, affermando che il missionario deve “tenere sempre fissi gli occhi in Gesù Cristo, amandolo teneramente e procurando d’intendere ognor meglio cosa voglia dire un Dio morto in Croce per la salvezza delle anime” (S 2892).
Comboni riuscì ad andare al Concilio Vaticano I in qualità di “teologo” del Cardinal Canossa. Trovo un’interessante correlazione con Ignazio di Loyola, considerata figura significativa all’inizio dei tempi moderni da Karl Rahner, il cui pensiero teologico fu stimolato dalla spiritualità ignaziana fondata sul principio “trovare Dio in tutte le cose”. Il fratello Hugo applicava ad Ignazio l’appellativo “teologo” . I Gesuiti hanno saputo ispirarsi al loro fondatore come “teologo” per sviluppare un modo di fare teologia che partisse dal discernimento dei “segni dei tempi”, dalla realtà esistenziale ed esperienziale. Forse anche noi Missionari Comboniani potremmo tentare di fare qualcosa di analogo con il Comboni “teologo” , sotto il profilo della spiritualità missionaria del Dio sofferente d’amore per la Nigrizia, emergente da una teologia fondamentale e sistematica comboniana (con valenze cristologiche, pneumatologiche, ecclesiologiche, sacramentarie e missionologiche), ispirata ai preziosi frammenti del Comboni e interagente con il dibattito teologico contemporaneo. Potremmo formulare la ricerca sul senso comboniano di Dio con l’assioma di una theologia crucis: “trovare un Dio amico crocifisso in tutte le situazioni di dolore e di oppressione”.

2. Lettura ermeneutica degli scritti di Comboni alla luce della categoria del kairós

Nell’interpretazione di un testo della Bibbia, o di qualsiasi autore, e quindi anche degli scritti del Comboni, l’approccio storico è necessario, ma non sufficiente . Bisogna sapere cogliere l’esperienza profonda evocata dal testo, al di là della comprensione e tematizzazione dello suo autore, per poterla attualizzare nel differente presente storico dell’interprete. Schleiermacher diceva: “Occorre comprendere altrettanto bene, anzi meglio dell’autore”. Dilthey, contemporaneo del Comboni, parla di una “creazione incosciente”, per cui “lo scopo ultimo dell’impresa ermeneutica consiste nel comprendere l’autore meglio di quanto egli si sia compreso”. La verità di un testo è spesso al di là dei contenuti espressi. L’ermeneutica ha quindi lo scopo di “aprire nuove vie verso la verità” . Si tratta di fare emerge un senso profondo, ascoltare le parole ancora non dette, sondare esperienze e significati reconditi, evocati o intuibili nei testi. Comboni fa luce sul nostro presente, come del resto il nostro presente fa luce sul Comboni, sui suoi testi e sulle situazioni, in cui egli e i suoi missionari si vennero a trovare (colonialismo, maledizione di Cam, feticismo, schiavitù, Mahadia, etc.) senza iconoclasmi, radicalizzazioni o unilateralità di sorta.
Pannenberg sottolinea la correlazione tra l’evento passato, che anticipa il futuro, e la totalità del processo storico, che illumina e spiega il passato. L’interrogativo posto al testo, sostiene Bultmann, non deve essere arbitrario o soggettivo, ma deve partire dalla storia stessa, essere fedele al presente storico, cioè al momento della totalità del processo, che dà valore ad ogni passato, anche attraverso un processo di “demitizzazione”. Certamente un’adeguata “demitizzazione” va applicata anche al Comboni e ai suoi scritti, per non manterlo in vita a forza di retorica o di slogans, ma grazie a un contenuto autentico di fede, speranza e carità, rigorosamente tematizzato ed elaborato. Mentre la storia progredisce, gli eventi passati acquistano un nuovo significato, come pure le varie formulazioni linguistiche che li esprimono. Ogni evento trova piena intellegibilità nell’orizzonte completo della storia. Mentre la storia si svolge, un evento particolare del passato acquista un significato sempre più ricco e completo. Tutto ciò deve essere chiaramente applicato anche all’esperienza del Comboni registrata dai suoi scritti.
Per Heidegger, la verità (a-létheia) indica lo svelarsi della realtà all’uomo, che diventa come “un altoparlante della voce muta dell’essere” prima nel pensiero e poi nel linguaggio. Le parole sono una mediazione del linguaggio di un epoca, che è sempre limitato, rispetto alla ricchezza della realtà, che va espressa in nuovi linguaggi . La pre-comprensione, che dobbiamo avere nell’interpretazione di un testo, secondo Gadamer, deve essere determinata da due atteggiamenti fondamentali: il comune legame con la tradizione passata e l’apertura al significato futuro. Ma l’interpretazione attuale non va mai assolutizzata, poichè il senso di un testo si completa solo successivamente. È necessario quindi promuovere una duplice fedeltà alla storia attraverso una duplice ermeneutica: (1) fedeltà al passato nella sua puntualità, cioè al senso compreso e voluto dall’autore del testo; (2) fedeltà al passato in apertura alla storia intera, cioè ad un senso più profondo dei testi passati, e quindi oltre il senso voluto dall’autore. Questo significato, tuttavia, non deve esser imposto arbitrariamente al testo, ma ricavato creativamente da esso. In tal modo, il testo viene letto con un orizzonte nuovo, affinchè la verità totale possa progressivamente emergere in piena luce. Ciò comporta una “fusione di orizzonti” tra il senso voluto dall’autore e il senso percepito dal lettore: senso nuovo sollecitato dal nuovo orizzonte culturale.
L’orizzonte del Comboni (espresso dal suo linguaggio personale e di quello della sua epoca) va fuso con il nostro orizzonte culturale, religioso e teologico, sollecitato dai problemi attuali (espresso da un linguaggio diverso). Ciò deve promuovere un’interazione dinamica e dialettica tra i due orizzonti, con un atteggiamento aperto a una comprensione sempre più profonda del mondo e di Dio, da esprimersi, conseguentemente, in linguaggi nuovi, per rendere la “primigenia inspiratio” attuale e creativa, quale animazione di un carisma dello Spirito, che soffia dove e come vuole (cf. Gv 3,8), per creare “cieli nuovi e una terra nuova” (2 Pt 13; cf. Is 65,17; Ap 2,21). Nessuna esperienza e nessuna riflessione teologica potranno esaurire la conoscenza sapienziale dell’ampiezza, lunghezza, altezza e profondità del mistero di Cristo applicato alle diverse situazioni missionarie (cf. Ef 3,18). Il mondo intero non potrebbe contenere i libri che si dovrebbero scrivere per descriverla (cf. Gv 21,25). 
La teologia perciò deve riflettere su un “oggetto aperto”, su testi, che sono indaguati a cogliere il senso profondo dell’esperienza della fede. Il compito della teologia è dunque quello di “aprire nuove vie verso la verità” . Il metodo di un’ermeneutica teologica globale, in vista di significati autentici, tra i tanti che la storia offre, deve rispondere a due condizioni fondamentali: (1) una “corretta impostazione semantica” per salvaguardare l’ortodossia e (2) “l’attivazione della verità attraverso la prassi” , non solo per garantire l’efficacia pratica di un progetto teologico, ma anche per verificarne il contenuto veritativo-agapico esistenziale, secondo la prospettiva di Gesù: “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto” (Gv 15,5) .
Lo scopo che mi prefiggo in questo contributo è quello di cercare un metodo teologico che possa spingere avanti l’esperienza e la tematizzazione del carisma comboniano, che possa “aprire vie nuove verso la verità” comboniana. I testi scritti dal Comboni, che ha vissuto una singolare esperienza spirituale e missionaria, devono essere, per chi li interpreta, un kairós sempre nuovo e creativo, mai ripetitivo e monotono (chronos). Essi sono racconti memoriali, che fanno partecipare i lettori alla sua stessa esperienza, stimolandone una riflessione critica, la quale, alla luce degli sviluppi storici e linguistici successivi, sa cogliere dei risvolti esperienziali, sapienziali e riflessivi, che lo stesso Comboni, non poteva esperimentare o intuire, a causa della sua situazione storica limitata, condizionata da pregiudizi storici e ideologici, espressi in un linguaggio inadeguato.
La mia chiave di lettura ermeneutica, insinuata dagli stessi testi comboniani, è la categoria storica del kairós, dell’ “ora” dell’Africa, quale attualizzazione dell’ “ora” del mistero di Cristo compiutosi sulla Croce. L’articolazione del mio contributo si sviluppa in cinque momenti. In un primo momento, mediante una breve indagine nell’antichità classica e nella Bibbia, chiarifico la nozione del kairós come categoria ermeneutica e come fondamento di una possibile “teologia sistematica comboniana”, che garantisca un’attualizzazione creativa del carisma comboniano. In un secondo momento, rivisito alcuni autori contemporanei che affrontano il tema della compassione-sofferenza di Dio, per seguire l’invito di Comboni stesso a “intendere ognor meglio cosa voglia dire un Dio morto in Croce per la salvezza delle anime” (S 2892). Ciò permetterà di arricchire la nostra comprensione del significato profondo di alcune intuizioni teologiche del Comboni, al fine di cogliere elementi creativi di attualizzazione del kairós della Croce. In un terzo momento, saggio il concetto di kairós quale “ora dell’Africa” in alcuni testi esemplari, in cui appare l’espressione. In un quarto momento, con le categorie maturate nei primi tre momenti della ricerca, analizzo il “Piano per la Rigenerazione dell’Africa”, con accenni al “Postulatum”, al fine di sostanziare e sviluppare sistematicamente la visione teologica del Comboni (con le sue intrinsiche valenze trinitarie, cristologiche, pneumatologiche, ecclesiologiche, sacramentarie, missionologiche e spirituali-missionarie). Finalmente, in un quinto momento, tento alcune linee di “teologia sistematica comboniana”. Concludo con alcuni principi metodologici per costruire tale teologia, ai fini di garantire una “teologia sistematica comboniana”, che sia aperta a “nuove vie verso la verità”.

I.
IL KAIRÓS NELL’ANTICHITÀ CLASSICA E NELLA BIBBIA,
E L’ “ORA” DI GESÙ NEL VANGELO DI GIOVANNI

La teologia deve essere una teologia della storia della salvezza, connaturata con il principio cristologico: l’incarnazione nel tempo e nello spazio del logos della volontà di Dio (verità-amore-bellezza-vita), l’antropologico come luogo del teologico. È in questa prospettiva che possiamo comprendere il senso teologico e soteriologico dell’ “ora” dell’Africa. Comboni vede una correlazione intensa tra il mistero di Gesù Cristo e il mistero dell’Africa attraverso il concetto del kairós, del “tempo opportuno” per la sua rigenerazione.
Un’indagine previa sul senso del concetto del kairós nell’antichità classica e nella Bibbia, in particolare nel Vangelo di Giovanni, ci aiuterà a cogliere alcune coordinate significative, che, interessantemente, incontriamo implicite negli scritti del Comboni. Questi evidenziano il senso di una teologia della storia applicata all’evangelizzazione dell’Africa e ce ne permettono l’attualizzazione nel nostro oggi comboniano.

1. Il kairós nell’antichità classica e nella Bibbia

Nell’antichità classica, positivamente, il sostantivo kairós indica l’occasione propizia (Aristotele), negativamente, significa pericolo (Platone). Da un punto di vista temporale, il termine kairós evidenzia il tempo adatto, il momento favorevole, il momento presente, l’oggi (hodie) di un evento significativo determinante.
Il concetto di tempo viene espresso con i due termini chronos (flusso ripetitivo, circolare, quasi fatalistico del tempo, in cui l’uomo non ha nessuno influsso) e kairós (flusso del tempo, progressivo, nei cui spazi e momenti l’uomo può intervenire e influire con le sue decisioni). Sullo sfondo del tempo, che scorre veloce, acquista importanza il momento presente, considerato come dono degli dei o della sorte, che motiva l’azione. Si arriva a considerare il kairós come un dio. Il kairós rappresenta lo spazio di tempo decisivo per l’individuo, di cui con coraggio bisogna approfittare. Chi non utilizza l’occasione propizia, il suo kairós, distrugge se stesso. Chi non agisce nel momento giusto, crea la sua rovina (Platone). Per l’etica stoica, sapere cogliere il momento opportuno era molto importante. Ma il kairós stoico non ha valenza storica .
Nell’AT, il tempo acquista una qualità nuova, poichè in esso avviene l’incontro di Dio con l’uomo. Nei LXX il termine kairós compare 300 volte, il triplo del termine chronos. Il termine kairós qualifica il tempo, demitizzandolo. Dio creatore ha creato il tempo storico, dandovi un fine ultimo e riempiendone di senso vitale i singoli momenti (kairói). Dio è il Signore della natura, guida le stelle e il tempo, dà la pioggia e stabilisce il tempo per la crescita delle piante e degli animali, determina la durata della vita degli uomini, il tempo della nascita e della morte. I momenti dell’esistenza umana sono tempi, di cui Dio dispone, e sono anche carichi di tensione e di tribolazioni, per cui non è facile rimanere fedeli all’alleanza con Dio, dispensatore del tempo. Nei momenti di crisi il fedele Israelita spera nel kairós della misericordia, dell’aiuto e della liberazione di Dio. La fiducia nell’azione salvifica di Dio, esprimentesi nel tempo opportuno, dipende dall’esperienza che il popolo d’Israele ha avuto di Dio nella sua drammatica storia.
L’espressione stereotipa, “in quel tempo”, fa memoria degli eventi storici passati, oggetto del ricordo, della lode e del ringraziamento (tra cui primeggiano la creazione e la liberazione dalla schiavitù d’Egitto). I profeti del AT hanno un acuto senso del tempo. Il significato della storia passata, in cui si è compiuta la salvezza divina, corre il rischio di suscitare una falsa sicurezza di salvezza, chiusa alla sempre nuova gratuità del sapiente amore di Dio. Si afferma allora un senso dell’attesa futura del sorprendente giudizio e intervento divino. Questa dimensione escatologica, che ispira fiducia per il presente e per il futuro, prende il posto di una falsa fiducia, creata dalla certezza ideologica del compimento passato. Il “giorno del Signore” diventa tempo della visita, dell’ira e del castigo. Salvezza perenne è assicurata a coloro che sono obbedienti all’alleanza e agiscono con giustizia. In attesa del giudizio finale, Dio concede il tempo per pentirsi e provare la propria conversione, utilizzando bene il kairós presente .
La concezione del AT del tempo come kairós influenza anche il NT. La venuta di Gesù segna un kairós speciale. Il tempo di grazia, prospettato dai profeti, diventa realtà in Gesù Cristo (cf. Rom 3, 21; 16,25-26; Ef 3,8-12; Col 1,26, 1 Pt 1,10-12). Nella vita e specialmente nella morte di Gesù è scomparso il vecchio eone. Con il kairós, o tempo presente, della giustizia divina (cf. Rom 3,26) si ha l’inizio di un’era nuova, la “pienezza dei tempi”. C’è un kairós, che è anche tempo di sofferenza e di morte. “Cristo […] nel tempo stabilito è morto per gli empi” (Rom 5,6, cf. Mt 26,18; Gv 7, 6-7). La salvezza si cerca il suo tempo e spazio, toccando così il tempo e lo spazio, elementi fondamentali del mondo e della storia, e dà loro un senso nuovo, “qualificandoli come il tempo e lo spazio di Gesù” (Fuchs). “La passione e la morte di Gesù […] non sono un semplice fatto del passato; sono una realtà del presente” (Bultmann). Dalla risurrezione in poi, il tempo diventa un “tempo favorevole” (2 Cor 6,2). La Chiesa è invitata ad annunciare il Vangelo a tempo opportuno ed inopportuno (cf. 2 Tm 4,2), affinchè la proposta della salvezza diventi realtà in tutto il mondo, portando a rinnovate decisioni di conversione. “All’adesso della venuta di colui che ci porta la rivelazione corrisponde […] l’adesso della predicazione della parola […] inteso come l’occasione nella quale si decide la vita o la morte” (Bultmann). “Il tempo e il luogo dell’incontro con Dio sono il tempo dell’amore e il luogo dove l’amore soffre” (Fuchs), che non può permettere nè la posticipazione al domani della decisione che si può fare oggi, né l’indurimento del proprio cuore, che è rifiuto di Dio (cf. Eb 3,7.15; 4,7), per non cadere sotto il castigo (cf. Lc 19,44) .

2. Il kairós (“ora”) di Gesù nel Vangelo di Giovanni

Il concetto del NT dell’ “ora” (kairós) indica l’idea di tempo opportuno, designato o atteso per un evento futuro. Nel Vangelo di Gv il termine “ora” è usato 26 volte in diverse forme: “ora” che è venuta, viene ed è giunta. L’“ora di Gesù” è un tema primario in Gv, avendo un ruolo fondamentale in quanto rivelazione del mistero di Gesù Cristo che si attua nel compimento del mistero pasquale: il tempo (“ora”, kairós) della passione, morte, risurrezione e pentecoste. Esso è un tempo preannunciato e non il risultato casuale di forze avverse; tempo di un evento, verso cui tutta la sua vita era diretta come al suo compimento. Di esso Gesù è cosciente e liberamente responsabile. In due passi Gv usa il termine kairós, nel senso di “tempo designato”, come sinonimo di “ora”. In Gv 7,6.8 Gesù proclama. “Il mio tempo [kairós] non è ancora venuto” e il mio tempo [kairós] non è ancora compiuto”. Il senso è simile all’uso di “ora” (cf. Gv 2,4; 7,30). Mt 26,18 stesso usa il termine: “Il mio tempo [kairós] è vicino” (Mt 26,18) .
Durante le nozze di Cana, Gesù risponde alla madre: “La mia ‘ora’ non è ancora giunta” (Gv 2,4). L’ “ora” della rivelazione del mistero di Gesù, cioè l’ ”ora” della gloria, sarà quello della Croce, sulla quale Gesù compie tutto il mistero pasquale: dall’abassamento della morte fino all’innalzamento della glorificazione (cf. Gv 12,23; 17,1). La glorificazione viene svelata nel momento della morte, il trionfo nel momento della sconfitta, la luce nel momento delle tenebre. La scena della trasfissione del cuore è il tempo (“ora”, kairós) del compimento della missione di Gesù, delle Scritture: “Tutto è compiuto” (Gv 19,30). È il momento che rivela che “l’opera che il Padre ha affidato al Figlio perchè la porti a compimento è la rivelazione dell’amore: quell’amore che trova la sua origine nella comunione fra Padre e Figlio e trova la sua realizzazione storica-ecclesiale nell’unità dei credenti (cf. Gv 17,23)” . Il senso dell’ “ora” in Gv, oltre che al compimento della missione di Gesù sulla Croce, si riferisce anche agli effetti dell’ “ora” di Gesù a coloro che crederanno in lui (Gv 4,21: universalità del culto spirituale di Dio, non più localizzato a Gerusalemme o a Garizim; 5,28-29:  risurrezione del corpo; 16,2: persecuzione; 16,25: approfondimento del Vangelo per opera dello Spirito) .
Il cuore trafitto di Gesù Cristo sulla Croce diventa “sorgente zampillante”, che trasforma e rigenera (Zc 13,1). Il centro della scena che rivela il significato salvifico della morte di Gesù, la sua “ora”, il suo kairós, è l’effusione del “sangue misto ad acqua” (Gv 19,34). Sulla Croce, il kairós di Cristo si manifesta con due simboli fondamentali: uno naturale (creazione: acqua) e uno antropologico (umanità: sangue). Sono i simboli del Battesimo e dell’Eucaristia, che nello Spirito Santo ricreano, rigenerando e trasformando l’umanità in umanità redenta: la Chiesa. Incontriamo implicito questo simbolismo anche in Comboni .
Queste breve escursus nell’antichità classica e nella Bibbia evidenzia il significato del kairós  centrale della storia nell’evento fondamentale del morte e risurrezione di Gesù e delle fasi decisive della sua preparazione-anticipazione o continuazione nella vita dei discepoli. In termini teologici, il kairós è visto come rivelazione e compimento dinamico della piano della salvezza, e, in termini etici, come esercizio della libertà dell’uomo nell’assunzione delle proprie responsabilità di fronte all’offerta-rivelazione storica della salvezza.
C’è il kairós centrale (mistero di Cristo), che si esprime in situazioni “kairologiche” spazio-temporali (kairoi: loci theologici), che indicano momenti favorevoli di grazia. In essi la libertà e la creatività umane sono stimolate verso decisioni nuove e audaci. Questi momenti sono anche caratterizzati da tensioni dialettiche (sofferenza, fatica, tentazioni, morte), provocate dal chronos (“che mangia i suoi figli”), esprimentesi perciò in situazioni “chronologiche” (chronoi: loci diabolici), situazioni ripetitive, monotone e fatalistiche, caratterizzate dalla paura del rischio e della novità creativa, dal conformismo, dall’autodifesa, da razionalizzazioni o ideologie. Chiamo situazioni “chronologiche” le situazioni senza via di scampo, fatalisticamente destinate alla ripetitività del negativo, che distrugge sè, gli altri, il cosmo e lo stesso rapporto con Dio. Chiamo, invece, situazioni “kairologiche” quelle situazioni, che aprono la via alla possibilità di un cambiamento.

II.
IL KAIRÓS DELLA CROCE COME “LUOGO TEOLOGICO” D’INCONTRO
TRA DIO CROCIFISSO E L’UMANITÁ CROCIFISSA

Il kairós entra in rapporto dialettico con il chronos, causa del male e della sofferenza. Una riflessione teologica su questi temi diventa necessaria per collaudare una teologia della storia o del kairós e applicarla ai testi del Comboni e alla sua esperienza ad essi soggiacente.
Il contesto comboniano è la situazione della Nigriza del secolo XIX, resa drammatica e tragica in particolare dalla tratta degli schiavi. Ma ci sono, tuttora, in Africa e altrove, situazioni analoghe, in cui gli innocenti soffrono ingiustamente. La Croce di Cristo è il kairós, che unisce la compassione-sofferenza di Dio per l’umanità e la sofferenza-disperazione (o apatia passiva) dell’umanità, che invoca coscientemente o inconsciamente la liberazione.
Qui propongo alcune sollecitazioni sul tema della compassione-sofferenza di Dio, che si rende percepibile nel kairós della sofferenza umana, rivisitando alcuni autori contemporanei. Il pensiero che Dio in Cristo si fa nostro compagno di viaggio nella nostra avventura umana, soffrendo e gioiendo nella condivisione delle nostre “gioie e speranze, tristezze ed angoscie” , ha il suo intrigante fascino speculativo ed è fonte di incoraggiamento per chi soffre innocentemente .

1. La sofferenza di Dio nella letteratura e nella filosofia

La letteratura religiosa cerca d’interpretare il mistero del dolore esistenziale umano e trova la riposta più veritiera nella incarnazione e nella Croce del Figlio di Dio, che nella sua umanità divina ha assunto il dolore e ogni espressione di male per redimerlo. “Ciò che non è assunto non può essere redento; ciò che invece è unito a Dio può essere salvato”, commenta significativamente Gregorio Nazianzeno . 
David Maria Turoldo descrive l’accusa indirizzata dall’uomo a un Dio lontano e distaccato e la commozione, invece, verso un Dio che si fa carne di peccato, dono di sè e compagno di viaggo . Dio è “un Dio che va in cerca degli uomini, che impazzisce solo all’idea che qualcuno di noi si sia smarrito; che patisce infinitamente più di noi al solo pensiero della nostra infelicità. Per cui è pronto a tutto, a perdere anche se stesso; e non gli importa niente di quello che tu pensi di lui. A Dio fa niente di patire, purchè l’uomo sia rispettato; purchè tutti vivano e abbiano del pane; tutti con la loro dignità e la dovuta libertà: una libertà perfino di sbagliare e smarrirsi, non importa: anche lui in cerca della sua pecorella e non si darà pace finchè non l’abbia ritrovata” .
Nel romanzo Natale 1933, Mario Pomilio narra l’esperienza della sofferenza del Manzoni per la morte della moglie Enrichetta Blondel, il 25 dicembre 1833, dopo otto mesi, della figlia primogenita Giulietta, giovane moglie di Massimo D’Azeglio e alcuni anni dopo, nel 1841, della terzogenita giovanissima Cristina, sposa da poco . Alla tentazione di concludere che la nostra storia è “una storia senza Dio”, il romanzo presenta l’ultima risposta del Manzoni, illuminata da un’interpretazione di fede, pregna di “speranza contro ogni speranza” (Rm 4,18). “La storia delle vittime è la storia stessa di Dio. […]. Perchè ogni qualvolta un innocente è chiamato a soffrire, egli recita la Passione. […] Egli è la passione: non nel senso, beninteso, che il Signore voglia rinnonato in lui il proprio sacrificio […] ma nel senso bensì che è Egli stesso a crocifiggersi con lui. Potrà parervi disperante questo dio disarmato. E invece che cosa c’è, riflettendoci bene, di più consolante che questa solidarietà non di forza e di giustizia, ma di compassione e d’amore? […] La Croce di Dio ha voluto essere il dolore di ciascuno: e il dolore di ciascuno è la Croce di Dio” .
La filosofia contemporanea ha dibattuto sul senso di Dio di fronte al male e alla sofferenza. Jacques Maritain considera il valore della sofferenza di Dio in Cristo come fonte di liberazione. “Se la gente sapesse che Dio ‘soffre’ con noi e molto più di noi per tutto il male che devasta la terra, molte cose cambierebbero senza dubbio, e molte anime sarebbero liberate. […] Al cuore della fede c’è questa certezza che Dio, Gesù l’ha detto in tutti i modi, ha per noi i sentimenti del Padre” .
Luigi Pareyson ha pagine intense sulla “dialettica divina”, sull’ “ambiguità” di un Dio che nella sua “sconfinata e illimitata libertà”  attraverso il dolore espia il peccato dell’uomo, causa del male, della sofferenza e dell’angoscia di fronte alla morte. Dio non rimane lontano e imperturbabile di fronte al male. L’identità di Dio è la libertà di assumere in Cristo la sofferenza redentrice condividendo il dolore umano. Divinum est pati .
Simbolicamente parlando, in Dio coesistono, dialetticamente ed ambiguamente ad un tempo, essere e non-essere, bene e male, ira e misericordia, crudeltà e benevolenza, onnipotenza ed impotenza. “Nella persona del redentore è il Dio impotente che appare, nell’esinanizione della sofferenza e nella kenosi della figura di servo e del crocifisso, ma è proprio in questa oscura e terribile impotenza che risplende in tutto il suo fulgore l’onnipotenza divina. Non con la sua onnipotenza Dio ha ragione del male, bensì con la sua sofferenza ed impotenza, ma proprio perciò più grande appare la sua onnipotenza, benchè non avvolta dal fasto di uno smagliante trionfo ma celata dalla squallida veste dell’afflizione. […]. L’impotenza divina […] si mostra come la potenza stessa dell’impotenza, la quale è d’una forza così grande e irresistibile che la situazione, ne risulta capovolta”. Da un lato, “si può aggiungere che per un verso l’uomo, così impotente da non riuscire a redimersi da sè, si dimostra nei confronti di Dio così potente da trascinarlo nella storia, in piena lotta tra bene e male, e da comprometterlo nella negatività del peccato e del dolore”. Dall’altro lato, “Dio si fa così impotente da dovere assumere in sè il male e la sofferenza, e da non poterli vincere se non subendoli, ma è appunto nel fatto che proprio la sua impotenza è in grado di vincere il male e il dolore che appare nel suo massimo splendore la sua onnipotenza. La potenza dell’impotenza di Dio non può essere che la sua onnipotenza” .

2. La sofferenza di Dio nella teologia contemporanea

La teologia contemporanea, specialmente dopo Auschwitz, è sensibile all’immagine di un Dio, che condivide la sofferenza degli uomini, suoi figli e figlie, sulla linea dei profeti del AT, che presentano un Dio appassionato, che partecipa alla vita del suo popolo, soffrendo per le sue sorti spesso tragiche. Interpretando i sentimenti di Dio, Geremia afferma: “Se voi non ascolterete, io piangerò in segreto dinanzi alla vostra superbia; il mio occhio si scioglierà in lacrime, perchè sarà deportato il gregge del Signore” (Ger 13,17). In sintonia, il Talmud babilonese e alcuni commentatori rabbinici sostengono che Dio si ritira in segreto a piangere e vorrebbe essere consolato . L’immagine di un Dio, che condivide la sofferenza del popolo, diventa fonte di incoraggiamento per chi soffre in segreto. ”L’acqua delle lacrime divine […] diventa il legame per eccellenza, il solo che sembra permanere, tra Dio e tutti coloro che, brutalizzati dalla storia, si dispongono già ad una muta agonia” . Il silenzio di Dio nei confronti del male viene interpretato anche da Pareyson non come il silenzio di “chi tace perchè non c’é, o di chi tace perchè abbandona, ma di chi tace perchè piange, e tace appunto per piangere” .
Dietrich Bonhöoeffer dal carcere di Tegel, l’anno prima dell’impiccagione ad opera dei Nazisti nel campo di concentramento di Flossenburg, scrive all’amico E. Bethge: “La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare” . Dio non può salvare l’uomo se non ne condivide il dolore, assumendolo in sè. Gesù Cristo ha salvato l’umanità, assumendo in sè la sofferenza umana sulla Croce.
Jean Galot sostiene che la sofferenza di Dio ha valore speculativo per una riflessione sul concetto di Dio e valore pratico come conforto ed incoraggiamento nella sofferenza. “Il Padre si è impegnato per primo nella via della sofferenza e lo ha fatto per portare, nel sacrificio di suo Figlio, il peso delle sofferenze meritate dai peccati dell’umanità […]. Sapendo che Dio soffre per amore, l’uomo è più incline a offrire nell’amore le sofferenze che lo rendono simile a Dio stesso” .
Il teologo ebreo Abraham Hoshua Heschel si richiama all’esperienza viva del Dio dei profeti, i quali discorrono più degli atteggiamenti di Dio, che non di idee su Dio. Dio è un Dio “patetico”, che ha passione (pathos) per il suo popolo. Tale passione fa parte dell’essenza di Dio. I salmi e i profeti parlano di un Dio che partecipa alla sventura del suo popolo. “Con lui io sono nella sventura” (Sal 91,15). “In tutta la loro angoscia egli si angustiò” (Is 63,9). Dio si sente toccato e colpito dagli avvenimenti. Egli si sente coinvolto nella storia del mondo e vi interviene. Il Dio d’Israele si rivolge all’uomo e si allea con lui. “Dio ha bisogno dell’uomo. Un essere Supremo, apatico e indifferente nei confronti dell’uomo, potrebbe denotare, sì un’idea, ma non il Dio vivente d’Israele” . Heschel descrive Dio che si mescola con il suo popolo, condividendone la situazione storica con l’immagine della discesa della Shekhinah sul popolo. “ ‘La Shekhinah scese con loro’ significa quindi che essa si trovava con loro nella medesima condizione, significa condivisione. […] Il coinvolgimento del Santo […] nella vita di Israele non è una mera forma di sollecitudine, l’attributo della misericordia che si esprime nella relazione con il suo popolo. Infatti la sofferenza di chi compatisce è assimilabile a un patire da lontano, il patire di chi osserva dall’esterno, mentre la condivisione del Santo […] è identificazione, qualcosa di intrinseco, che lo tocca intimamente; come dire che a sua volta egli è colpito, se ciò fosse possibile, dalla sventura della nazione” .
Secondo Ulrich Mauser, gli antropomorfismi dei salmi e dei profeti di Dio sono visti come segni della disponibilità di Dio a incarnarsi, ad assumere la stessa carne del suo popolo. La disponibilità di Dio diventerà realtà in Gesù Cristo. Tali antropomorfismi non riguardano solo il rapporto di Dio con il mondo, ma rivelano l’essere stesso di Dio. “L’essere di Dio deve essere riconosciuto come un essere rivolto verso gli uomini, che prende parte alla storia umana e perciò senza dubbio come un essere antropomorfico” .
La vicenda di Gesù, e in particolare l’evento della Croce, manifesta la natura del Dio “patetico”. La Croce diventa la manifestazione culminante della “passione di Dio”, che trova già una sua espressione originale nell’incarnazione. “Dio soffre sulla Croce in unità con la persona di Cristo: Dio soffre eternamente sulla Croce; Dio è sommamente Dio nella sofferenza della Croce” . Non è solo l’umanità di Gesù che soffre nella persona di Gesù, ma è “il Figlio di Dio che vive e muore nella sua umanità e quindi deve provare sofferenza. Coerentemente stante il rapporto tra Padre e Figlio, la sofferenza di questi diventa la sofferenza del Padre” .
Jürgen Moltmann è il teologo contemporaneo più interessato in una teologia sistematica, basata sul principo ermeneutico della sofferenza del Dio trinitario nel Cristo crocifisso. Una “vera teologia cristiana è quella che regge al cospetto del Crocifisso. E ciò che non regge è destinato a scomparire dallo stesso riflettere teologico. Questo principio vale principalmente per il modo cristiano di parlare di Dio” . La teologia della Croce non è solo di natura soteriologica, ma di carattere speculativo, che motiva la domanda: “Chi è Dio sulla Croce del Cristo abbandonato da Dio”?  Il grido di Gesù sulla Croce “Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?” (Mc 16,34) fa sorgere il problema del significato della morte di Gesù per Dio stesso. La risposta è da ricercarsi “nella percezione della profonda sofferenza di Dio legata alla morte del Figlio sul Golgota e in essa manifestata. È la sofferenza di un amore sconfinato” . La Croce è manifestazione di “Dio che è amore” (1 Gv 4,8.16) e Dio è Trinità, per cui non è solo una persona della Trinità che soffre. L’evento della Croce coinvolge tutte e tre le Persone divine. In Dio è inserita tutta la sofferenza umana, poichè la morte di Gesù “contiene tutte le profondità e abissi della storia umana”. Di conseguenza, “non esiste alcuna sofferenza che in questa storia di Dio non sia sofferenza di Dio, come non esiste alcuna morte che non sia diventata morte di Dio nella storia del Golgotha” .
Le considerazioni un pò rapsodiche qui presentate hanno lo scopo di fare percepire l’importanza dello sviluppo di una theologia crucis, che offra un senso alla sofferenza di Dio e dell’uomo nella persona di Cristo, facendo sì che “la dottrina dell’apatia della natura divina finalmente scompaia dalla teodicea cristiana, consentendoci così di vedere la Croce del Golgotha piantata nel cuore del Dio trinitario, per percepire quel Dio che si rivela nel Crocifisso” . Gli autori rivisitati ci aiutano a percepire che “Dio è amore” specialmente nella sua partecipazione alla sofferenza umana. Con sconfinata libertà, Dio si fa presente nel dolore umano per redimerlo mediante la sua compassione, affinchè nella scoperta della presenza amorosa di un Dio amico, l’essere umano, con la forza stessa dell’amore di Dio, possa assumere le sue responsabilità, traducendole in scelte coraggiose di liberazione e solidarità, al fine di trasformare la sua dolente e tragica situazione. È ciò che Comboni vede realizzarsi nel processo della rigenerazione dell’Africa.

III.
IL KAIRÓS: L’ ”ORA” DI CRISTO
E L’ ”ORA” DELLA REDENZIONE DELL’AFRICA
IN TRE SCRITTI ESEMPLARI

Vorrei ora indagare brevemente sulla natura del kairós dell’opera dell’evangelizzazione della Nigrizia alla luce di tre testi comboniani, che evidenziano l’ ”ora” dell’Africa, punto di incontro del mistero di Cristo con la situazione storica dell’Africa. Noto la duplice valenza del kairós come incarnazione (condizioni naturali-cosmologiche, antropologico-culturali ed ecclesiali-missionarie) e redenzione (presenza della compassione sofferente di Dio compiuta sulla Croce, ma perpetuantesi storicamente in situazioni di sofferenza e di morte).

1. Kairós naturale-cosmologico e antropologico-culturale positivo

Il primo testo evidenzia le condizioni naturali e antropologico-positive del kairós.

• “Sembra che l’ora della redenzione della Nigrizia sia suonata, e che Dio stesso nell’infinita sua misericordia guidi per le amabili sue vie l’Opera mia” (da El Obeid, al card. Barnabò, 1873: S 3460; cf. S 3462-3464).

Comboni spiega le ragioni dell‘ “ora” della Nigrizia. Il testo si riferisce all’ambiente umano e culturale dei Nuba. Il concetto dell’ “ora” rivela il significato di “tempo opportuno”, a causa delle condizioni favorevoli per un progetto di evangelizzazione. Queste condizioni favorevoli sono di quattro tipi: lo spirito di accoglienza dei Nuba ; le qualità umane della popolazione, favorevole al cattolicesimo ; la posizione privilegiata dei Nuba rispetto ad altre situazioni missionarie (Gondokoro e S. Croce) ; il clima sopportabile . All’idea del “tempo opportuno” (dimensione temporale-antropologica culturale) è anche associata l’idea dello “spazio opportuno” (dimensione spaziale naturale-cosmologica).
Il Comboni sintetizza il senso dell’ ”ora” (kairós) dei Nuba in una duplice dimensione: naturale-cosmologica (clima) e antropologica-culturale (indole positiva della gente, disposta alla fede), che favorisce la missione: “la stabilità e perpetuità della Missione dell’Africa Centrale è assicurata”. L’ “ora (kairós) indica l’intervento divino nella storia attraverso la mediazione del naturale-cosmologico e del culturale-antropologico. Le categorie del “tempo” e dello “spazio” si uniscono per creare le condizioni favorevoli al piano della salvezza, all’auto-manifestazione divina della salvezza nelle coordinate spazio-temporali africane. Comboni riconosce questo fatto con una dossologia cristologica rivelativa: “Sia gloria al Sacratissimo Cuore di Gesù, che pare che voglia assolutamente la salvezza delle anime”.
La condizione favorevole naturale e antropologica media l’opportunità del piano della salvezza di Dio, facendo vedere che il “tempo è maturo”, motivando perciò la conseguente decisione in ordine all’attuazione del piano salvifico, che è la missione. La missione ha dunque una duplice dimensione teologica (rivelante storicamente la verità del piano di Dio quale espressione del suo amore salvatore) ed etica (motivante la libertà umana ad agire in obbedienza d’amore a questo piano). Nel contesto del brano la missione comporta: una teologia della storia, che coglie la rivelazione dell’auto-comunicazione divina nella situazione storico-spaziale concreta, grazie all’opportunità favorevole naturale e antropologica (kairós) di un logos divino (piano di salvezza per i Nuba); un’etica della storia, che invita a rispondere con reponsabilità alle sollecitazione “kairologiche” del piano della salvezza hic et nunc, nell’esercizio generoso della libertà, che suscita decisioni e strategie profetiche e creative nella Chiesa missionaria per l’attuazione del piano salvifico.

2. Kairós naturale-cosmologico e antropologico-culturale negativo

In maniera analoga, il secondo testo conferma le necessità di un kairós per promuovere l’opera della salvezza, che si esprime in condizioni “kairologiche”, che ne favoriscono l’attuazione.

• “È senz’altro un nuovo indizio che l’ora della redenzione della Nigrizia è suonata” (da Khartum, al card. Franchi, 1874: cf. S 3602-3603).

Nel brano citato vengono menzionate tre motivazioni per l’ “ora” della redenzione della Nigrizia: due positive e una negativa. Le due positive sono costituite dalle condizioni “kairologiche” favorevoli del clima e l’apertura delle vie di comunicazione. Quella negativa è rappresentata dall’ostacolo della schiavitù. Ancora una volta, il clima sano diventa una condizione “kairologica” favorevole per cogliere l’ora della redenzione dell’Africa: il miglioramento del clima a Khartum, ormai paragonabile a quello del Cairo, il clima sanissimo del Cordofan, dei già menzionati paesi Nuba e delle Sorgenti del Nilo all’Equatore. La condizione “kairologica” del clima favorevole alle sorgenti del Nilo all’Equatore prospetta il progetto di un nuovo campo d’azione: l’ “ora” che motiva la possibile decisione di “stabilire la nostra santa religione” in quelle regioni: sogno tanto agognato dal Comboni e mai realizzato . Questa condizione empirica spazio-temporale viene interpretata teologicamente dal Comboni come segno di rivelazione, in vista della possibilità del piano della salvezza: “Sembra che Iddio nella sua misercordia abbia tolto di mezzo il maggiore degli ostacoli che si frapponeva alla redenzione di questi popoli: il clima micidialissimo”. Qui abbiamo un’aggiunta significativa. Comboni considera anche l’apertura delle vie di comunicazione dell’Africa Centrale come una “circostanza non meno capitale” del clima.
La condizione “chronologica” dell’Africa Centrale è rappresentata dalla tragedia della schiavitù: “l’orribile tratta dei negri”. Questa condizione negativa ha una funzione dialettica su Dio stesso, artefice del piano della salvezza. Dio è toccato dalla situazione dell’umanità. Dio non può rimanere indifferente: “Ma Dio susciterà dei mezzi straordinari per toglierla di mezzo fra breve”. Noto la forte portata della particella avversativa “ma”, per indicare la presa di posizione di Dio nei confronti del male.
La missione (kerygma-diakonia-liturgya) è uno dei mezzi straordinari che Dio usa per unirsi all’umanità per liberarla, una perpetuazione dell’azione incarnatoria e salvifica di Cristo culminata sulla Croce. “Vi contribuirà potentemente la forza e potenza morale della nostra santa Missione, che non indietreggerà dinanzi a nessun ostacolo”. La missione evangelizzatrice della Chiesa diventa segno efficace di Dio, che in Cristo sulla Croce interviene per giudicare, esorcizzare e assumere su di sè il male, bruciandolo nel suo amore gratuito, liberando, in chi obbedisce al Vangelo, le energie della libertà e dell’amore gratuito, che creano relazioni interpersonali di solidarità e di rispetto, dove la persona umana diventa icona del Dio vivente. La comunità delle persone libere in Cristo mediante lo Spirito, nell’esperienza gratuita dell’amore trasformante di Dio, è la Chiesa, che si diffonde nel mondo come segno e strumento del Regno di Dio, segno della comunione con Dio e degli uomini tra di loro . “È la missione vera di Gesù Cristo, che è venuto nel mondo a liberare gli schiavi, a rendere a tutti la libertà, e costituirli fratelli suoi e figli di un medesimo Padre che è nei cieli. La lotta gloriosa della Missione contro la dominante schiavitù e l’orribile piaga della tratta dei negri agevolerà poderosamente la conquista dell’Africa Centrale alla Chiesa Cattolica”.

3. Kairós ecclesiale e missionario

Il terzo testo mette in luce un kairós più esplicitamente ecclesiale. 

• “Sì, l’Opera della rigenerazione dei Neri è un’opera di Dio: è spuntato il tempo di grazia, che la Provvidenza ha designato, per chiamare tutti quei popoli barbari a rifugiarsi alle ombre pacifiche dell’ovile di Cristo” (da Roma, relazione alla Società di Colonia, 1866: S 1403).

In questo brano l’ “ora” dell’Africa è l’ ”ora” della grazia, o dello Spirito, che introduce nell’esperienza della Chiesa, ovile di Cristo, comunione d’amore, luogo dell’accoglienza, della riconciliazione e della pace. Qui vediamo sottolineata la dimensione pneumatologica del kairós. Il concetto di kairós nel contesto si esprime in una duplice serie di segni positivi e una serie di segni negativi, ma che dialetticamente favoriscono e qualificano quelli positivi.
I segni positivi, attraverso cui si esprime il kairós della salvezza nell’Africa, quale tempo della grazia o dello Spirito, sono di tre tipi: l’attività di animazione e pianificazione missionaria: il risuonare nella Chiesa universale della “voce profetica degli eroi Libermann, Olivieri,  Mazza, eredi dello zelo aposolico del beato Claver […] mediante le loro opere di emimente carità a favore dei Negri”; il contributo e collaborazione generosa di diverse associazioni europee: la risposta fattiva a questa appello espresso dalle “opere ammirabili di Vienna, Colonia, Parigi e Lione”; il lavoro di evangelizzazione sul campo: il sudore e il sangue dei missionari, quali “nuovi apostoli di Gesù Cristo”, che hanno bagnato le lontane terre africane.
I segni negativi, che evidenziano una situazione “chronologica” in Europa (“questo tempo infelice”)  indicano probabilmente le tensioni teologiche, religiose e politiche anticlericali del tempo (l’accecamento causato da “l’errore, l’ orgoglio e le passioni umane”). Questa situazione del vecchio mondo cristiano, che rifiuta l’amore di Dio, sembra stimolare dialetticamente Gesù Cristo a estendere il suo amore in quelle terre non ancora raggiunte dal suo amore. “Mi sembra che proprio ora che molti cristiani congiurano contro il Signore e il suo Cristo, il Cuore sacro del divin Pastore debba protendersi con raddopiato amore verso le grandi, remote, sconosciute terre, verso tanti milioni di pecorelle smarrite, ma che vivono ancora nell tenebre della morte”.
Il brano conferma il senso del kairós come una costellazione di condizioni “kairologiche” cosmologiche, antropologiche ed ecclesiali (positive e negative), che rendono possibile e quindi storicamente realizzabile il piano nella salvezza in coordinate spazio-temporali; le condizioni positive: direttamente; le condizioni negative: dialetticamente. Il piano della salvezza è dunque un “misterium” che si rivela storicamente, quando il tempo è maturo o propizio per la comprensione ed accettazione del Vangelo e la manifestazione di Dio hic et nunc.

IV.
IL KAIRÓS DI CRISTO PER L’AFRICA
NEL PIANO PER LA RIGENERAZIONE DELL’AFRICA E NEL POSULATUM

Il kairós ha una duplice valenza teologica: di metodo e di contenuto. Metodologicamente, il kairós indica le modalità o mediazioni storiche dell’intervento di Dio nel tempo e nello spazio, mostrando il perpetuarsi dell’incarnazione del logos di Dio (verità-amore-bellezza-vita). Ciò implica un discernimento sulla realtà, al fine di cogliervi le condizioni della manifestazione divina, che motivano la risposta generosa e responsabile alla rivelazione e all’alleanza, che Dio propone all’uomo. Contenutisticamente, il kairós media il logos-agape come l’amore sofferente di Dio per la salvezza dell’uomo, consumatosi sulla Croce, che continuamente si attualizza in ogni situazione di sofferenza e di tensione per il senso dell’esistenza, affinchè l’uomo, assimilando lo spirito della gratuità, possa promuovere in sè e negli altri, a tutti i livelli, la vita in pienezza.
Analizzo il Piano secondo la duplice dimensione del kairós metodologica-attuattiva (possibilità storiche spazio-temporali dell’opera di evangelizzazione) e contenutistica-redentiva (mistero pasquale che trasforma e rigenera la Nigrizia mediante l’opera di evangelizzazione).

1. Chronos-kairós: l’ “ora” del’Africa e il discernimento dei “segni dei tempi”

Da un punto di vista metodologico-attuattivo, notiamo subito la tensione tra chronos (flusso fatalistico del tempo, in cui l’uomo non ha nessuna possibilità d’influsso) e il kairós (flusso del tempo, in cui ci sono spazi e momenti qualificati per la libera auto-manifestazione di Dio, che rende possibile l’esercizio della libertà dell’uomo nell’assumersi le sue responsabilità di fronte alla rivelazione di Dio, rendendo possibile l’influsso umano sulla storia). Sia il chronos che il kairós si esprimono in una triplice modalità, che, nel caso della Nigrizia, come nei testi precedenti, indica le condizioni naturali-cosmologiche, antropologiche-culturali ed ecclesiali-missionarie, attraverso cui si realizza la missione della Chiesa. I primi due tipi di condizioni si riferiscono alla situazione dell’Africa Centrale, il terzo all’opera eccesiale-missionaria. In un primo momento, presento i frutti del discernimento del Comboni. In un secondo momeno, mi concentro sul processo empirico del discernimento della realtà fatto dal Comboni attraverso l’esperienza e lo studio.

a) Chronos-kairós della Nigrizia

Il senso del chronos viene espresso dal drammatico perpetuarsi di una situazione fatalistica di oppressione e di ripetetività negativa, senza possibilità alcuna di trasformazione, nonostante gli sforzi e i tentativi, le enormi energie investite di personale e di finanze. Il tempo della grazia interrompe il chronos, quando si verifica l’irruzione spazio-temporale di una nuova opportunità, annunciando quindi una situazione di kairós.
In riferimento alla situazione dell’Africa Centrale, il chronos viene espresso dalle seguenti situazioni “chronologiche”: condizioni naturali-cosmologiche avverse (clima, malattie, distanze) ; condizioni antropologiche-culturali negative (indole delle popolazioni e difficoltà create dall’Islam) . In riferimento all’opera missionaria, il chronos viene espresso dalle  situazioni “chronologiche” rappresentate dalle condizioni fallimentari ecclesiali e missionarie senza via d’uscita (pericoli, morti, mancanza di continuità nell’opera dell’evangelizzazione) .
Il senso del kairós viene espresso dalla “maturazione del tempo” o “pienezza del tempo”, dal sopraggiungere della possibilità di novità in favore dell’opera dell’evangelizzazione, dalle condizioni “kairologiche” positive (direttamente favorevoli) o negative (dialetticamente risolutrici). In termini linguistici, il senso della novità del kairós, che irrompe o sopraggiunge nel monotono fluire del chronos, è espresso da particelle tipiche, che introducono la novità dei vari tipi di condizioni “kairologiche” .
La dimensione positiva del kairós (da considerarsi nel contesto del fluire fatalisticamente monotono e ripetitivo nella drammaticità senza uscita del chronos sopra descritto) si esprime dalle seguenti condizioni “kairologiche”: condizioni naturali-cosmologiche favorevoli (geografia del luogo  e clima ); condizioni antropologico-culturali favorevoli (conoscenza delle lingue  e l’Africano come soggetto di rigenerazione) ; condizioni teologico-spirituali-agapiche (fede e carità negli agenti missionari) ; ecclesiali-missionarie favorevoli: impegno delle forze laicali , delle forze ecclesiastiche , degli ordini religiosi , dei missionari stessi , degli animatori missionari , delle società missionarie e di tutte le forze del cattolicesimo :
La dimensione negativa-dialettica del kairós (da considerarsi nel contesto del fluire fatalisticamente monotono e ripetitivo nella drammaticità senza uscita del chronos) si esprime attraverso le condizioni “kairologiche” negative, che hanno la funzione di assumere il negativo “chronologico” mediante la mediazione del soggetto umano (pensiamo alle morti di tanti missionari, alla schiavitù della Bahkita, alla morte stessa del Comboni, alla schiavitù dei missionari e missionarie del Comboni durante la Mahadia, etc.), al fine di spezzarne la fatalità distruggitrice mediante l’assoluta novità inedita di un amore incondizionato, che irrompe in una situazione fallimentare. Il duello tra chronos e kairós, tra vita e morte avviene sulla Croce, risolvendosi nella vittoria della vita nella Risurrezione, che si esprime storicamente come amore gratuito, dialogo, riconciliazione e solidarietà, animate da “speranza contro ogni speranza”. Si tratta del grano di frumento, che marcisce e muore nel terreno dello spietato chronos, producendo molto frutto (cf. Gv 12,24). Tale duello tra vita e morte , tra chronos e kairós, che attualizza la vittoria dell’amore nella morte del Cristo crocifisso, viene espresso nel Piano e negli altri scritti del Comboni dal segno del sangue o del sudore dei missionari, versato nella lotta contro le situazioni “chronologiche”. Richiamo altri testi che indicano tali situazioni “kairologiche” negative, che lottano per assorbire in sè e assoggettare le situazioni “chronologiche”, mettendo le premesse per la possibilità di un kairós di trasformazione.

• “L’Istituto fondato in Verona dall’anima generosa […] di Don Nicola Mazza, concorse a portar l’obolo della sua carità a quei tapini nostri fratelli; e i nomi delle vittime alunni di questo Istituto, cui copre il tumolo della sabbia africana, consumate ostie pacifiche sull’altare della loro carità, lo ricorderanno mai sempre alla grata riconoscenzadi coloro, che di nuovo si metteranno sulle loro vie” (S 2744).
• “Tutti gli sforzi e le fatiche di questi campioni di Gesù Cristo […] poderosi conati […] effetti ottenuti risposero nella proporzione dell’infinitesimo che si annulla; […] l’orma impressa nella polvere dal loro passaggio che si appiana al soffio degli uragani del deserto, i pochi germgli che pur attecchirono, innaffiati dal loro sudore e dal loro sangue, si dissecarono sotto l’ardore del più cocente fuoco delle passioni, più feroce della tropicale arsura, sotto cui giace la misera Nigrizia”(S 2745).

Comboni, superstite dall’impresa africana, che vide la morte dei suoi compagni, diventa l’interprete del kairós, della spiga nuova, che sorge dal marcire del seme della carità sacrificale dei suoi compagni, vittime del chronos, sepolti sotto “il tumulo della sabbia africana” (S 2744). La loro carità sacrificale ha vinto sull’implacabile chronos. La vita nuova, espressa dal Piano, è possibile appunto dalla vittoria del kairós sul chronos.

• “Noi, che facendo parte di quelle spedizioni apostoliche, fummo, la Dio mercé, nel novero dei pochi superstiti tra i cento e più che ci siamo lanciati in quella malagevole impresa […]. Ed invero, l’effetto del più poderoso assalto più volte reiterato con ben provvedute spedizioni cattoliche, terminò sempre col solo sacrifizio degli intrepidi assalitori. D’uopo è quindi prepararci energicamente alla tattica di un assedio e prendere le mosse collo stabilire ben sicure posizioni, che servano come di fortini e di approcci necessari allo scopo” (S 2746).

Le condizioni negative naturali-cosmologiche e antropologiche-culturali del chronos descritte sopra (male: buio misterioso, denso velo), per la mediazione dialettica delle condizioni “kairologiche” negative ecclesiali-missionarie (sudore e sangue versato dei missionari e vari sforzi ecclesiali), preparano la via per l’irruzione delle condizioni positive del kairós (bene: scintilla, luce, vampa), innescando una tensione polare, che porta alla risoluzione positiva della risurrezione dopo la morte. Tale dialettica risolutiva, che testimonia la vittoria del kairós sul chronos, porta ad una trasformazione positiva della situazione, in vista della effettiva possibilità della rigenerazione della Nigrizia.

b) “Esperienza” e discernimento dei “segni dei tempi” in vista di un Piano
 
Il Piano menziona l’importanza dell’esperienza personale degli eventi da valutare. Dio si manifesta storicamente con le sue sollecitazioni di salvezza, quasi un suo bussare alla porta dello spazio e del tempo (situazioni “kairologiche”), affinchè, aprendogli mediante il discernimento o svelamento della realtà, egli possa mostrare il suo amore sofferente per la situazione distorta dell’umanità.
Il discernimento dei “segni dei tempi” è un’esercizio di fede, che comporta tre momenti essenziali: (1) l’esperienza diretta, partecipata e appassionata, negli eventi o situazioni “kairologiche”; (2) lo studio approfondito delle condizioni geografiche del territorio, dei rapporti dei viaggi degli esploratori, delle condizioni antropologico-culturali delle popolazioni e della storia dell’evangelizzazione, con i suoi fallimenti e successi, al fine di produrre una valutazione critica della realtà per discernerne il “kairologico” dal “chronologico”; (3) la pianificazione strategica dell’azione missionaria, quale risposta responsabile alle sfide “kairologiche”, al fine di un intervento efficace sulla realtà, in vista della trasformazione delle condizioni “chronologiche”. Lo studio è un esercizio di fede, parte integrante della missione. Il discernimento e quindi la conseguente pianificazione come risposta di fede alle provocazioni “kairologiche” della realtà diventano essenziali per l’attuazione del piano della salvezza. Infatti Dio non si impone ideologicamente attraverso principi astratti, legalisticamente attraverso norme morali, sentimentalmente attraverso effusioni emotive o entusiasticamente attraverso esaltazioni passeggere, ma si propone attraverso i kairoi della storia.
Mi soffermo sul primo aspetto concernente l’esperienza o coinvolgimento personale negli avvenimenti, che evidenzia la percezione dell’auto-manifestazione di Dio e del suo amore salvifico per l’Africa mediante le condizioni “kairologiche”. Faccio un breve accenno al secondo elemento in riferimento allo studio delle condizioni geografiche, culturali e storiche dell’evangelizzazione. Lascio il terzo elemento, che è più direttamente pastorale, già oggetto di vari studi .
Il termine “esperienza” appare cinque volte nel Piano in contesti che si riferiscono alla preoccupazione del Comboni di trovare una via d’uscita alla situazione di stallo, in cui si era arenata l’evangelizzazione dell’Africa Centrale, a causa delle enormi difficoltà, in particolare a causa del clima micidiale e delle impossibili condizioni di vita dei missionari. Si aggiunge anche la difficoltà della formazione degli Africani in Europa per il clima freddo e la loro incapacità al loro ritorno in Africa di re-integrarsi nel loro ambiente naturale ponendosi al servizio pastorale della gente.

• “Questo centro benefico, donde emani quello spirito di vitalità cotanto necessario per la conservazione e perpetuazione delle missioni straniere, qui nell’Europa non può prestarsi per una via diretta ed immediata opportuno ed efficace per la conversione dei negri; stantechè l’esperienza chiaramente ha dimostrato che il missionario europeo non può prestare la sua opera di redenzione in quelle infuocate regioni dell’Africa interna esiziali alla sua vita, che non può reggere alla gravezza delle fatiche, alla molteplicià dei disagi, e all’inclemenza del clima; e del pari l’esperienza ha dimostrato che il negro nell’Europa non può ricevere una completa istituzione cattolica, da riuscir capace, per una costante disposizione dell’animo e del corpo, a promuovere nella sua terra natale la propagazione della fede; perchè o non può vivere nell’Europa, o ritornato nell’Africa è reso inetto all’apostolato per le quasi connaturate abitudini europee contratte nel centro della civiltà, che diventano ripugnanti e nocevoli nella condizione della vita africana” (S 2748).

Comboni percepisce le difficoltà che impediscono l’opera di evangelizzazione, in quanto ne ha un’esperienza diretta (la formazione degli Africani in Europa e il lavoro e le condizioni di vita dei missionari in Africa Centrale).
La stessa Propaganda Fide, che ha conoscenza delle diverse esperienze della formazione in Europa degli Africani, conferma l’”inefficacia ed inopportunità” (S 2750) della formazione degli Africani in Europa. Da qui la decisione di abbandonare l’impresa dell’evangelizzazione della Nigrizia, appunto perchè il Missionario che va in Africa Centrale non sopravvive, e l’Africano che va in Europa non resiste per il clima freddo o, se sopravvive, quando ritorna, abituato alle condizioni di vita europee, non sa ri-adattarsi alle condizioni africane.

• “Davanti alla storia di questi fatti depositati dall’esperienza, gravemente commossa la Sacra Congregazione di Propaganda Fide, era ridotta, suo malgrado, alla dura necessità di abbandonare l’importante missione dell’Africa Centrale, se non tornava possibile di trovare un modo di assicurarle un esito migliore per la conversione dei negri” (S 2751).

Propaganda Fide mostra saggezza esperienziale fondata sulla costatazione degli avvenimenti. Percepisce che Dio non si impone eterononomamente. La sua volontà salvifica deve farsi strada “kairologicamente” attraverso coordinate spazio-temporali. Anch’essa attende una possibilità storica concreta, affinchè l’evangelizzazione dell’Africa Centrale diventi realtà (“un modo di assicurarle un esito migliore per la conversione dei negri”).
La tensione dialettica tra impossibilità quasi-fatalista (chronos) e possibilità concreta (kairós), disurba e inquieta il Comboni, che esperimenta personalmente il dramma dell’Africa. Egli sente un desiderio appassionato, animato dalla speranza di una soluzione “kairologica”, fondata sulla fede certa nella redenzione degli Africani, già attuata da Cristo una volta per tutte. Percepisce la sofferenza d’amore di Dio per l’Africa, se ne fa interprete, partecipa alla sete di Cristo della fede degli Africani. Attualizzando apostolicamente l’espressione di S. Agostino, il suo cuore è inquieto finchè non riposi nella soluzione del problema drammatico dell’evangelizzazione dell’Africa. Il Piano e il Postulatum, come tutti gli altri scritti del Comboni, riflettono quest’ardente ricerca di una soluzione finale al problema missionario dell’Africa Centrale.
Il terzo testo si riferisce, ancora una volta, all’esperienza delle difficoltà del missionario europeo di permanere a lungo nell’interno dell’Africa. Il missionario dovrà personalmente fondare le missioni dell’interno. Ogni due anni o ogni anno, se necessario, ci deve essere un avvicendamento di personale per garantire la continuità e permettere che i missionari non periscano per le difficolta climatiche e le dure condizioni di vita dell’interno. Si prospetta così la possibilità di avere sacerdoti o catechisti africani alla direzione delle fondazioni dell’interno, quando le condizioni “kairologiche” (preparazione e maturità del personale locale) lo permettono.

• “Avendo l’esperienza dimostrato che la sola continuata permanenza nei paesi dell’interno, e non  già una temporanea dimora è perigliosa ed esiziale all’europeo; perciò le fondazioni delle Missioni e delle Cristianità che si verranno in progresso di tempo a stabilire nei paesi dell’Africa interna, dietro il mandato dei rispettivi Vicari o Prefetti apostolici, saranno personalmente iniziate ed avviate dai missionari europei, i quali annualmente, o tra lo spazio di due anni, dovran mutarsi e succedersi a vicenda nel governo immediato delle missioni centrali, fin a che l’esperienza avrà dimostrato, che si potrà con sicurezza affidare a sacerdoti o catechisti indigeni di provata idoneità la permanente direzione delle Stazioni e Cristianità, già iniziate ed avviate dai missionari europei” (S 2779).

Sottolineando l’importanza dell’esperienza, il Comboni indirettamente afferma che il segno che evidenzia e conferma la volontà salvifica di Dio è la sua fattibilità, fatticità e opportunità concreta. La volontà di Dio è kairós, grazia temporale. Non è ideologia eteronoma, volontarismo, o emozionalismo, ma una proposta possibile nel tempo e nello spazio, quando le condizioni “kairologiche” o “segni dei tempi” sono maturi. Il coinvolgimento personale in una situazione è indispensabile per discernere opportunamente la manifestazione salvifica di Dio.
Nel Piano ci sono altre espressioni significative riferentesi al processo dell’esperienza quale medio di percezione della manifestazione storica dell’amore salvifico di Dio. Comboni usa il termine esistenziale “cammino”, proprio nel contesto culminante del Piano, quando dopo aver fatto il discernimento dei vari ostacoli “chronologici”, sollecitato dalle varie condizioni “kairologiche”, propone una possibile soluzione: “la rigenerazione dell’Africa coll’Africa stessa”. Con umiltà, Comboni propone il Piano per l’attuazione di tale intuizione “kairologica”, Piano che dovrà portare progressivamente alla realizzazione dello scopo.

• “Sovra un argomento sì rilevante, noi abbiamo detto a noi stessi: ‘E non si potrebbe assicurare meglio la conquista delle tribù dell’infelice Nigrizia, piantando la nostra base di azione là dove l’africano vive e non si muta, e l’Europeo opera e non soccombe? Non si potrebbe promuovere la conversione dell’Africa per mezzo dell’Africa?’ Su questa grande idea si è fissato il nostro pensiero, e la rigenerazione dell’Africa coll’Africa ci parve il solo Programma da doversi seguire per compiere sì luminosa conquista. Il perchè nella nostra debolezza ci siamo creduti lecito di suggerire sommessamente una via, sulla quale camminando, più probabilmente giungere allo scopo, dove d’altronde si appuntarono sempre tutti i pensieri della nostra vita, e per quale saremmo lieti di versare il nostro sangue fino all’ultima stilla” (S 2753).

Comboni esperimenta personalmente le difficoltà dell’evangelizzazione. Egli sente l’urgenza dell’amore sofferente crocifisso di Dio per l’Africa, che ha bisogno di essere soddisfatto e corrisposto. La condivisione del Comboni nella sete di Cristo nel volere appagare l’amore sofferente del Padre per l’Africa è l’anima dello “spirito dell’apostolato” (S 2308). Tutta la vita del Comboni missionario, alla luce del “puro raggio della fede” (S  2741), è attenta alle condizioni “kairologiche”, che gli indicano le modalità di realizzazione del piano della salvezza nell’Africa Centrale. Gli sembra, finalmente, di avere trovato la strada, che deve essere percorsa passo passo. Cammin facendo, se ne esperimenterà l’efficacia e i frutti e se ne farà una valutazione empirica adeguata alla luce dei successi e fallimenti. Non darà risultati magici. È un processo lento e progressivo. Per la realizzazione di tale obiettivo, Comboni scrive il Piano della Rigenerazione dell’Africa. Per esso è disposto a versare il sangue.

c) Studio delle condizioni geografiche, storiche e culturali

Il discernimento dei “segni dei tempi” o delle condizioni “kairologiche” per l’attuazione del piano della salvezza nell’Africa Centrale comporta una verifica della realtà. Oltre all’esperienza diretta e all’appassionato coinvolgimento negli eventi dell’evangelizzazione, per conoscerne direttamente i problemi, è necessaria una seria riflessione sulle problematiche, difficoltà e possibilità di soluzione. Il Comboni ha molti testi, in cui descrive questo suo impegno personale. Cito due testi, il primo dal Piano stesso.

• “Noi, che facendo parte di quelle spedizioni apostoliche, fummo, la Dio mercé, nel novero dei pochi superstiti tra i cento e più che ci siamo lanciati in quella malagevole impresa, avendo attentamente studiata la natura, i costumi, e le condizioni sociali di quelle remote tribù, abbiam rilevato che la missione dell’Africa Centrale presenta allo zelo apostolico l’immagine di bene agguerrita fortezza, che non si può vincere d’assalto, sebbene vuol essere espugnata coll’assedio. Ed invero, l’effetto del più poderoso assalto più volte reiterato con ben provvedute spedizioni cattoliche, terminò sempre col solo sacrifizio degli interpidi assalitori. D’uopo è quindi prepararci energicamente alla tattica di un assedio e prendere le mosse collo stabilire ben sicure posizioni, che servano come di fortini e di approcci necessari allo scopo” (S 2746).
• “Non tralascio di studiare bene il popolo, le anime, la natura e l’indole delle genti del mio Vicariato, per scegliere poi i mezzi opportuni per attirarli alla Fede” (S 3450).

Lo studio delle condizioni “kairologiche” non è principalmente un fatto di erudizione culturale, ma un atto di fede nella storia della salvezza, che si attua sempre in coordinate spazio-temporali concrete. Lo studio è un discernere i “segni dei tempi”, i tocchi di Dio alla porta della storia, con cui egli chiede di entrarvi per sedere a mensa con i popoli dell’Africa e sancire con essi la sua alleanza. Lo studio è un atto di contemplazione e di adorazione del logos di Dio, che sul paradigma del mistero di Cristo si fa continuamente carne, crocifiggendosi alla nostra storia, distorta e contorta, per liberarne le assopite energie di verità-amore-bellezza-vita. Il piano d’azione per portare l’annuncio della salvezza all’Africa deve essere frutto di prolungato studio, ai fini di esplicitare il mistero dell’incarnazione redentrice del logos nei vari kairoi provvidenziali e di facilitarne l’effettiva continuazione in tutta l’Africa Centrale e far giungere a tutti l’amore trasformante e rigeneratore di Dio.

2. La “Croce piantata nel cuore del Dio trinitario” e la ferita d’amore

Ora considero il Piano dal punto di vista del contenuto teologico-sistematico del kairós alla luce del tema del Dio “patetico”, che soffre d’amore per l’Africa Centrale. È il tema del mistero pasquale, che trasforma e rigenera la Nigrizia mediante l’opera dell’evangelizzazione. Il kairós storico centrale è Gesù Cristo, in cui si incontrano l’amore sofferente di Dio per l’uomo, il dolore dell’uomo per la sua situazione di alienazione e l’anelito conscio o inconscio per la sua liberazione.

a) “Il Cuor di Gesù palpitò anche pei popoli dell’Africa equatoriale”

In primo luogo, richiamo alcuni testi del Comboni che evidenziano il fatto che Cristo è morto, ha sofferto e ha palpitato per la rigenerazione della Nigrizia. La fonte di fede della “speranza contro ogni speranza” del Comboni per la redenzione dell’Africa è il fatto che l’Africa è già stata liberata dalla maledizione sulla Croce.

• “È tuttavia di grande conforto per me il pensare e ripensare che essi già da diciotto secoli sono stati liberati, per mezzo del sangue di Cristo, dalla maledizione del padre e che con il suo stesso sangue Cristo li acquistati come propria eredità” (Postulatum, 1870: S 2300).
• “Il Cuor di Gesù palpitò anche pei popoli dell’Africa equatoriale” (S 6496).
• “La nostra fiducia è in Colui che morì pei Negri e che sceglie i mezzi più deboli per fare le sue opere” (S 2459).
• “quella vasta e desolata vigna di Cristo, irta di tante spine, che da Dio venne affidata alla mia indegnità, ed alle fievoli ed inette mie pastorali sollecitudini, e per le quali pure palpitò il Cuore Sacratissimo di Gesù, e morì sulla Croce” (S 6080).
• “Il Sacro Cuore di Gesù ha palpitato anche per i popoli neri dell’Africa Centrale e Gesù Cristo è morto per gli africani” (S 5670).
• “Il Cuore di Gesù si deve effondere con un raddopiamento d’amore verso quelli che sono ancora avvolti nelle tenebre e nell’ombra della morte” (S 1736) .

La redenzione della Nigrizia è già stata compiuta una volta per tutte sulla Croce. L’amore di Dio Padre, fin dalla morte del Figlio sulla Croce, ha voluto entrare in contatto con l’Africa per farla partecipare alla sua alleanza mediante l’annuncio della parola del Vangelo, che proclama il suo amore per l’umanità nell’umanità del Figlio Gesù. La Chiesa diventa il sacramento di Cristo, sacramento dell’incontro di Dio con l’uomo , il segno e lo strumento dell’intima comunione tra Dio e l’umanità e degli uomini tra di loro , del Regno di Dio. Il missionario e i suoi collaboratori rappresentano la Chiesa che, associata a Cristo, Buon Pastore e Buon Samaritano, va in cerca del fratello abbandonato, piagato e sanguinante, lungo le strade della storia. Dio in Cristo piange per la sofferente Africa ferita.
Nell’atto di Consacrazione del Vicariato al Sacro Cuore di Gesù, il 14 settembre 1873, ma anche in scritti dopo l’ispirazione del Piano del 1864, “i tre simboli principali della spiritualità del Comboni – il Cuore, la Croce e l’Africa nera – appaiono in stretta connessione. Il nesso tra i tre è costituito dall’amore ardente del Cuore di Gesù per gli Africani, un amore che avrebbe bruciato in paganesimo” . Gesù Cristo ha amato e ama l’Africa. Attraverso la missione, lo Spirito deve rendere sempre più percepibile ed esperimentabile tale amore.

b) La “Croce piantata nel cuore del Dio trinitario”

Come poteva il pianto di Dio per l’Africa essere percepito dalla Chiesa e dalla società civile? Come poteva “l’acqua delle lacrime divine”, diventare quell’unico legame che si poteva stabilire tra Dio e gli Africani, “brutalizzati dalla storia”, e che si erano già disposti a “muta agonia”? . Con i suoi appassionati appelli in favore dell’Africa, Comboni diede voce a queste lacrime silenziose di Dio. Come poteva essere interpretato il silenzio di Dio di fronte alla situazione della Nigrizia? Come un’assenza, come un abbandono, o come il dolore silenzioso  di un Dio “patetico” per le sorti del suo popolo in Africa Centrale? Comboni si fece interprete di questo silenzio, facendo risuonare il pianto di Dio per l’Africa al Concilio Vaticano I: “Perchè mai […] soltanto la Nigrizia dell’interno si trova ancora nelle tenebre e nell’ombra di morte, senza Pastore, senza Apostoli, senza Chiesa, senza Fede (S 2301).
Era la storia dell’Africa una “una storia senza Dio”? Con un’interpretazione di fede, pregna di “speranza contro ogni speranza”, Comboni affermò, nelle parole di Pomilio, che ”la storia delle vittime è la storia stessa di Dio”, che l’Africa sofferente era una stigmata della passione di Cristo crocifisso. Comboni annunciò che questo Dio disarmato non dispera, ma consola nella sua “solidarietà non di forza e di giustizia, ma di compassione e d’amore” e che “la Croce di Dio ha voluto essere il dolore” di ogni africano e che il dolore di ogni africano è la Croce di Dio .
“Dio ha bisogno dell’uomo”, per manifestargli il suo amore. Ne condivide quindi il destino. “Un essere Supremo, apatico e indifferente nei confronti dell’uomo, potrebbe denotare, sì un’idea, ma non il Dio vivente d’ Israele” . Per Comboni, solo il Dio d’Israle, interessato delle sorti del suo popolo in terra africana, poteva essere il Dio della Nigrizia. Gli appelli appassionati del Comboni in favore dell’Africa rivelano questo Dio appassionato, che soffriva d’amore nel vedere in Europa tanta gente, anche di Chiesa, indifferente e apatica, forse perchè sentiva Dio come un’idea, “un essere supremo, apatico e indifferente nei confronti dell’uomo”, e nei confronti degli Africani, di cui qualcuno in Occidente dubitava della loro piena umanità. Il Comboni interpretò per l’Africa il grido dei salmi e dei profeti, che narrano la partecipazione sofferente di Dio nelle sorti del suo popolo. Ha fatto sentire la “passione” di Dio per l’Africa, passione di un Dio, che si sente coinvolto nella sventura dei sui figli e figlie africani (cf. Sal 91,15) e che “con amore e compassione li ha riscattati, li ha sollevati e portati su di sé” (Is 63,9).
Il “buio misterioso” (S 2741), che ricopriva l’Africa Centrale veniva a identificarsi con il buio che copriva il Golgota alla morte di Cristo (cf Mc 15,33). Il senso di abbandono da parte di Dio, della Chiesa e del mondo, che l’Africa esperimentava, veniva ad identificarsi con il senso di abbandono espresso da Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato” (Mc 15,34). Il “denso velo” (S 2741), costituito dalla legge del fatalismo, della superstizione e della schiavitù, che nascondeva l’Africa alla vista della Chiesa e del mondo e che le impediva un rapporto liberante con il Dio dell’amore, veniva squarciato in due, dall’alto in basso da Cristo sulla Croce (cf. Mc 15,38).
Il “buio misterioro” e il “denso velo”, segni della maledizione di Cam, prodotti dal crudele e implacabile chronos, che fatalisticamente affliggeva l’Africa, lasciandola senza via di scampo, sono dunque illuminati dalla luce del “puro raggio della fede” (S 2742), e dallo “spirito del Vangelo” (S 2744; 2748), grazie allo “spirito dell’apostolato” (S 2305). Tale squarcio luminoso è in qualche modo simbolo della Shehkinah di Dio, che scende sull’Africa per coinvolgersi e lasciarsi ferire e toccare dalla sua storia, per condividerne la vita e la morte, mostrandole antropomorficamente o antropologicamente l’amore nella condivisione della stessa carne sofferente in Gesù Cristo . La misericordia di Dio non è quindi solo “sollecitudine, sofferenza di chi compatisce dall’esterno”, ma condivisione del Santo”  , che si identifica con il destino del popolo africano. Dio protesta contro l’ideologia della maledizione di Cam, che l’ideologia razzista occidentale aveva preteso che Dio avesse pronunciato sugli Africani.
Comboni  non chiuse gli occhi alla realtà di peccato, che regnava sia in Europa che in Africa. Si fece interprete di questo Dio che si duole in segreto per la superbia degli uomini e piange per le conseguenze del loro peccato ribelle, per la deportazione del suo gregge, la schiavitù (cf. Ger 13,17). Comboni si fa portavoce di questo Dio, che soffre per il suo popolo africano e quasi vuole essere consolato, mediante lo “spirito dell’apostolato”, che grazie all’opera dell’evangelizzazione della Chiesa narra alla Nigrizia il suo amore appassionato, che fin dalla morte di Cristo sulla Croce sta cercando l’amata Africa, “bruna, ma bella” (Ct 1,5). Da qui l’accorata preghiera del Comboni a Maria, figura anche della Chiesa africana:

• “Io domando per grazia […] di trasformare in figli di Abramo questi sfortunati figli di Cam, al al punto che la Chiesa possa loro applicare questa lode che fece a Voi lo Spirito Santo: Sono nera, ma bella, o figlia di Gerusalemme” (S 1644).

L’amore di Dio, il desiderio di Dio-sposo per la bella sposa bruna africana, si compirà nell’incontro d’amore sulla Croce di Cristo-sposo in carne ed ossa, come dicono i Padri della Chiesa, dal cui lato di nuovo Adamo nasce la Chiesa quale novella Eva . Come ogni esperienza autentica d’amore trasforma ed energizza la persona che si sente amata gratuitamente, così l’Africa si sente rigenerata e trasformata dall’esperienza viva dell’amore di Dio in Gesù Cristo-sposo, quando si sente accettata gratuitamente nella sua inaccettabilità. Diventa così parte integrante della bellezza della Chiesa sua sposa: “perla bruna”, “risplendende in quanto popolo ormai conquistato a Cristo”(S 2314).
L’esperienza dell’amore di un Dio sofferente per amore, coinvolto nella storia dell’Africa Centrale, viene bene espressa dall’immagine della “Croce piantata nel cuore del Dio trinitario”, secondo il teologo Moltmann. Per Comboni, Dio non è un Dio lontano e impassibile. I suoi interventi in favore dell’Africa implicitamente parlano di un Dio che ha “passione” per il suo popolo africano. Indirettamente e ante-litteram, Comboni si potrebbe considerare d’accordo con Moltmann nell’affermare che “la dottrina dell’apatia della natura divina, finalmente, scompaia dalla teodicea cristiana, consentendoci così di vedere la Croce del Golgotha piantata nel cuore del Dio trinitario, per percepire quel Dio che si rivela nel Crocifisso” . Il Dio Trinità ha il cuore in Africa. La Nigrizia sta a cuore al Dio trinitrario. Il cuore di Dio e il cuore dell’Africa si uniscono nel cuore di Cristo, centro di comunicazione tra Dio e l’umanità e tra gli uomini tra loro , cuore che palpitò e palpita anche per l’Africa. Il dolore dell’Africa e il dolore di Cristo sulla Croce, espresso dalla spada che attraversa il cuore di Cristo e il cuore di Maria, figura della Chiesa (cf S. 1733), attraversa perciò il Dio Trinitario.
L’immagine della “Croce piantata nel cuore del Dio trinitario” è riflessa nella visione ecclesiologica-missionaria del Comboni, richiamata anche nel Piano:

• “pianteremo la Croce in molti luoghi” (S 5055).
• “stabilire e piantare su queste lande infuocate dell’Africa Centrale il glorioso vessillo della Croce adorata di Cristo” (S 3999; cf. S 4004).
• “piantare tra le genti abbruttite nel più abominevole e miserando feticismo il vessillo della Croce” (S 2743).

La visione trinitaria, che Comboni contempla attraverso il “puro raggio della fede”, è proprio la “Croce piantata nel cuore del Dio trinitario”, il cuore di Cristo, dove la Trinità palpita all’unisono per la Nigrizia. Da questo cuore emane l’agape, lo spirito e la carità del Vangelo, che invade il mondo attraverso la missione evangelizzatrice della Chiesa. Questa visione è il kairós comboniano per eccellenza.

• “Sennonchè il cattolico, avvezzo a giudicare delle cose col lume che gli piove dall’alto, guardò l’Africa non attraverso il miserabile prisma degli interessi umani, ma al puro raggio della fede; e scorse là una miriade infinita di fratelli appartenenti alla sua stessa famiglia, aventi un comun Padre su in cielo, incurvati e gementi sotto il giogo di Satana, in su l’orlo del più orrendo precipizio. Allora trasportato egli dall’impeto di quella carità con divina vampa sulle pendici del Golgota, ed uscita dal costato del Crocifisso per abbracciare tutta l’umana famiglia, sentì battere più frequenti i palpiti del suo cuore; e una virtù divina parve che lo spingesse a quelle barbare terre, per istringere tra le braccia e dare il bacio di pace di amore a quegli infelici suoi fratelli” (S 2743).

Dio Padre comune soffre per i figli in terra d’Africa, per la maledizione dei figli di Cam, inflittale da una interpretazione errata e ideologica, che vede Dio stesso come il responsabile. La sofferenza di questa maledizione tocca Dio come Padre in prima persona, che ama tutti indistintamente, che non fa distinzione di persone e fa sorgere il suo sole su tutti i suoi figli, europei e africani. Dio soffre non solo per la sofferenza dei suoi figli della Nigrizia, ma anche per l’atteggiamento razzista degli altri suoi figli d’Europa, con cui giudicano l’Africa e si rapportano con essa. Con il suo sangue Cristo Figlio crocifisso riscatta questi suoi fratelli, figli dello stesso Padre, liberandoli da questa orrenda maledizione, inflittagli non da Dio, ma dai loro fratelli d’Occidente e acquistandoli come sua eredità (cf. S 2300).
L’amore appassionato di Dio Padre per la Nigrizia, attraverso il cuore trafitto del Figlio, ferito d’amore, diventa la forza dello Spirito Santo (virtù divina), che invade la Chiesa quale famiglia di Dio, facendo allargare le braccia, in gesto di rispetto e d’amore, ai missionari, rappresentati da Comboni e dai suoi compagni e compagne di allora e di tutti i tempi, per accogliere come fratelli e sorelle in un solidale abbraccio di pace e di riconciliazione tutte le popolazioni africane, da diciotto secoli dimenticate. In questo modo, la Chiesa porta la liberazione di Cristo, assorbendo in sè i nuovi popoli rigenerati. Il frutto della redenzione è la Chiesa africana, che diventa famiglia di Dio, rivelandosi progressivamente come catalista di pacificazione di tutte le popolazioni africane toccate dal Vangelo.

c) La ferita di Dio e del missionario

L’amore del Dio trinitario, ferito di compassione e di misericordia per la situazione della Nigrizia, sua famiglia, ferisce anche chi condivide gli stessi palpiti del cuore di Cristo, cuore trinitario.

• “Ora la desolante idea di vedere forse per molti secoli sospesa l’opera della Chiesa a vantaggio di milioni di anime gementi ancora nelle tenenbre e nell’ombra di morte, deve ferire profondamente e fieramente straziare il cuore di ogni pio e fedele cattolico infiammato dello spirito della carità di Gesù Cristo. Egli è perciò, che a secondare l’impulso di questa sovrumana virtù, e a dileguare per sempre dal filantropo cattolico il desolante pensiero di abbandonare avvolte nell’infedeltà e nella barbarie quelle vaste e popolate regioni, che sono senza dubbio le più necessitose e le più derelitte del mondo, è d’uopo deviare dal sentiero fino ad ora seguito, mutare l’antico sistema, e creare un nuovo piano che guidi più efficacemente al desiato fine” (S 2752).
• “Ci sarà perdonato, se l’impeto del cuore, dove protestiamo di sentir forte il grido della miserazione, che verso di tutti noi mandano quegli infelici figliuoli di Adamo e nostri fratelli, spingesse la mente fuor della linea della verità e della certezza. Il Piano ci balenò nei momenti dei nostri più caldi sospiri verso quelle infelici regioni, tradotto nella sua pratica realizzazione, se non ha il vantaggio di raggiungere lo scopo colla celerità, onde in altre missioni gli apostolici operai mietono i frutti dei solo sudori, certo ha il suo indirizzo immancabile verso del medesimo; ed altro nella sua plenaria effettuazione non domanderebbe che l’abbrevazione di quei giorni, che Dio seduto sul trono della sua eternità ha enumerato a raggiungerlo” (S 2754).

La ferita sanguinante di compassione e solidarità profonda, che l’apostolo della Nigrizia sente in sè, quale segno della ferita del cuore trinitario di Cristo, è la percezione del kairós dell’auto-manifestazione di Dio nelle situazioni di sofferenza dei popoli, che invita ad un’azione decisiva responsabile della Chiesa in favore della rigenerazione della Nigrizia, per renderla conscia del suo eterno amore di Padre, la sua eterna fraternità di Figlio e la sua eterna comunione d’amore come Spirito Santo.

3. Piano compiuto: la rigenerazione della Nigrizia

L’eterno patto d’amore di Dio viene riscoperto e celebrato dalla Nigrizia, la quale si sente rigenerata nelle sue energie vitali più recondite e creative di verità-amore-bellezza-vita. Tale alleanza trasformatrice viene ratificata dal lavacro battesimale nelle acque del Nilo. Attraverso la vivificazione dello Spirito, la Nigrizia si apre al banchetto eucaristico, segno dell’intimità d’amore tra il Dio-Cristo sposo e la Nigrizia sposa-chiesa, “bruna, ma bella” (Ct 1,5).

• “Noi speriamo […] che la santa Chiesa, l’eco dell’Eterna Parola del Figliuolo di Dio attraverso i secoli […]. Gli apostoli, che marceranno a quella grande conquista, non porteranno all’Europa le spoglie dei vinti; ma ai vinti recheranno il tesoro della fede cattolica e della civiltà europea: non soggiogheranno quei popoli a guisa di terreni conquistatori; ma ad imitazione del divin Pastore, dalle spine ond’erano avviluppate, e dalla oppressione nella quale giacevano. Toglieranno sopra le loro spalle quelle misere pecorelle, menandole in trionfo ai liberi ed ubertosi pascoli della Chiesa: si che i conquistati non già vinti dalla forza, ma vincitori di sè medesimi e della loro natura, avranno conquistato col battesimo la vera religione, e il gran benefizio della vita civile” (S 2791).

Queste righe finali dell’epilogo riassumono il contenuto del Piano con l’immagine del Buon Pastore, della Parola di Dio e del Battesimo, segno della conversione e rigenerazione dell’Africa, che viene così introdotta a pieno diritto nei pascoli della Parola di Dio e nel banchetto dei figli di Dio (Eucaristia), promuovendo l’inculturazione della fede. Fede e cultura vanno sempre insieme. La Nigrizia può esperimentare la nuova creazione, la vittoria finale del kairós sul chronos, attraverso l’accoglienza e la risposta al kairós del Vangelo e dell’amore del Dio trinitario, creatore, redentore e vivificatore. 
Lo stesso Postulatum esprime l’idea del Battesimo quale sorgente di una nuova creazione, del patto sponsale fecondo d’amore tra Dio e la Nigrizia, famiglia di Dio in terra africana. Vengono così scoperte le veri origini del Nilo, che non hanno solo un carattere geografico, ma, per così dire, hanno un significativo simbolismo trinitario ed ecclesiale. Il chronos, implacabilmente e apaticamente indifferente, esprimentesi nelle condizioni naturali-geografiche avverse (cf. clima micidiale, terre infuocate, aridi deserti, distanze immense), viene vinto dal kairós, espresso simbolicamente dalle maestose acque del Nilo, che bagnano e rendono paternamente e maternamente fecondo il territorio che attraversa. Questi, da passivo osservatore, se non collaboratore diretto alla situazione di miseria e schiavitù dell’Africa Centrale, santificato dallo Spirito, si trasforma in interprete della rigenerazione della Nigrizia e diventa partecipe nella sua redenzione mediante le  acque battesimali.

• “Una speranza di redenzione e di vita  […] che si possa dire davvero che il Nilo ha finalmente rivelato le sue sorgenti, affinchè i popoli confinanti siano purificati dal santo Battesimo con le sue acque” (S 2307).

Le lacrime di Dio, che si addolora e piange per la “muta agonia” del suo popolo in terra d’Africa, si trasformano, finalmente, in lacrime di gioia per il ritorno dei suoi figli alla sua alleanza, e si mescolano con le stesse lacrime di pentimento e di gioia dei suoi figli africani rigenerati a vita nuova. Queste lacrime di dolore e di gioia si uniscono nel Battesimo alle fragorose acque del Nilo, che cantano e danzano giulive con le sue numerose cateratte e cascate. Il Piano della Rigenerazione della Nigrizia è compiuto.
Le varie celebrazioni per la Canonizzazione di Comboni nelle Provincie Comboniane hanno testimoniato l’entusiasmo che Comboni suscita particolarmente in terra d’Africa. Esse sono state il segno che il Piano non fu un’utopia o un’ideologia religiosa di un entusiasta, ma la risposta di fede, speranza e carità ad un kairós.

V.
ELEMENTI DI TEOLOGIA SISTEMATICA COMBONIANA DEL KAIRÓS

Alla luce delle riflessioni precedenti, tento alcune linee sintetiche di “teologia sistematica comboniana”. Tale teologia deve aiutare a riflettere sulla realtà e sulle sue manifestazioni “kairologiche”, alla luce del “puro raggio della fede” (S 2747), quale processo di discernimento teologico, che dia consistenza ad una ragione critica teologica comboniana dal punto di vista di un “un Dio morto in Croce per la salvezza delle anime” (S 2892).

1. Per una definizione di “teologia sistematica comboniana”

Propongo una definizione generale di “teologia sistematica comboniana” e di un metodo ermeneutico per la sua formulazione. La “teologia sistematica comboniana” è l’indagine sul logos-agape, che diventa carne (kairós) nella persona di Gesù Cristo, al fine di manifestare e comunicare in coordinate spazio-temporali la proposta della salvezza di Dio Padre, in termini di pienezza di verità-amore-bellezza-vita per tutti gli uomini. Il principio ermeneutico del kairós del Dio misericordioso, dal cuore trafitto, sofferente d’amore, simboleggiato dal Cuore di Cristo, diventa la chiave di lettura dell’esperienza originaria del Comboni, espressa nei suoi scritti, e dell’esperienza della tradizione missionaria comboniana, esplicitata negli scritti dei confratelli più significativi, in correlazione con i documenti ufficiali dell’Istituto e del Magistero. Tale riflessione, senza complessi di inferiorità, deve sapere entrare in dialogo con il dibattito teologico contemporaneo.
La teologia è chiamata a cogliere le possibilità e le modalità della presenza di Dio che opera nell’antropologico, trasformandolo dall’interno, facendone una nuova realtà, in cui la forza dello Spirito agisce gratuitamente, affichè l’energia umana, così illuminata e potenziata, possa rispondere liberamente e creativamente ai suoi stimoli. In questo modo, viene salvato il modello cristologico: una persona divina (realtà nuova, rigenerata dallo Spirito), in cui lo Spirito libero creativo di Dio (natura divina) interagisce liberamente nello spirito libero dell’uomo (natura umana). Il divino e l’umano, il teologico e l’antropologico, la religione e la cultura, la fede e la ragione, la filosofia e la teologia, possono così interagire costruttivamente nell’esperienza della verità-amore-bellezza-vita di Dio (logos-agape), che si fa carne (kairós) nella storia delle popolazioni, che vivono in situazioni di emarginazione e di abbandono, apparentemente dimenticate da Dio, dalla Chiesa e dalla società civile.

2. Il kairos centrale della storia: concentrazione trinitaria

Il kairós centrale della storia è una concentrazione trinitaria, come viene espresso significativamente dal Piano di Comboni. Dio irrompe attraverso le coordinate del tempo e dello spazio, creando le condizioni per la sua presenza operante come Dio uno e trino, nel cui cuore, il cuore trafitto di Cristo Buon Pastore e Buon Samaritano, è piantata la Croce, quale assunzione redentiva del dolore umano, causato dal peccato (egoismo),  e quindi quale espressione rivelativa e liberante dell’amore sofferente e solidale di Dio.
Dio, Padre e creatore, è l’iniziatore della comunione con l’essere umano, l’architetto del piano della salvezza per ogni popolo e cultura. Dio Padre invita l’uomo a esperimentare la verità della vita, che è l’amore gratuito che la energizza, e la bellezza, che fa sentire la verità e l’amore come pienezza e appagamento dell’esistenza. Tutto ciò è mediato da Cristo nella consistenza della verità (logos) e dell’amore (agape) di Dio, che vuole la vita e non la morte delle sue creature (Sap 1,13-15; 2,23-24). Dio è un Padre “patetico”, il quale sente profonda “passione” per il mondo, che è mistura di bene e di male, di luci e di ombre, di energie vitali e di frustrazioni mortali. Dio non fa preferenze di popoli o di culture, ma soffre d’amore specialmente per i popoli dimenticati e crocifissi dalla storia, che scende con la sua Shehkinah su di loro, pone la sua tenda in mezzo a loro e diventa solidale con loro. È un Dio, che sa piangere in segreto, quando il suo popolo gli si ribella, disdegna la verità della vita che rende liberi (cf. Gv 8,32) e la bellezza dell’amore oblativo e segue, invece, la strada dell’auto-distruzione, si procura un dolore più grande e una morte più crudele, tradisce così il suo amore di Padre, turpando la bellezza della vita e l’immagine divina posta nelle sue creature al momento della creazione.
Gesù Cristo, Figlio, rende quindi percepibile tale consistenza veritativa della amore-bellezza-vita  nell’antropologico, come logos fatto carne, kairós spazio-temporale. La persona di Gesù Cristo è il Figlio incarnato, l’immagine perfetta del Padre. Egli esercita la sua missione quale mediatore della volontà del Padre (verità-amore-bellezza-vita) attraverso quattro dimensioni fondamentali: (1) l’obbedienza paziente ai segni spazio-temporali della volontà del Padre in termini di verità-amore-bellezza-vita; (2) la proclamazione della vicinanza del Regno di Dio Padre attraverso l’annuncio della parola, le guarigioni e le parabole, che fanno appello a continua conversione, rendendo presente Gesù Cristo stesso come trasformante logos-agape, bellezza, tenerezza e passione del Padre per il piccolo, l’oppresso e l’emarginato; (3) la manifestazione nella sua persona del Regno di Dio come comunione degli uomini con Dio e tra di loro, nella solidarietà con il povero, che si sente felice e ricco nella sua povertà e nell’accoglienza incondizionata e liberante del peccatore, che si sente giosamente accolto nella sua inaccettabilità peccatrice; (4) il sacrificio totale di sè stesso sulla Croce, la quale riassume tutta la sua vita di dedizione al Padre nel soffrire profondamente tutto il dramma umano della religione divenuta superstizione magica e idolatra, in nome di un’immagine distorta di Dio, di una ideologia religiosa ribelle al Dio autentico, della tentazione, del rifiuto del proprio simile e della vendetta criminale del fratello sul fratello, dell’emarginazione, della schiavitù, del razzismo, del terrorismo e dell’ingiustizia. In questo modo Gesù Cristo comunica solidarietà, conforto e forza, che provengono dalla compagnia nel dolore del Dio trinitario, intimamente toccato dal dolore che crocifigge l’umanità.
Cristo, abbandonandosi totalmente al Padre, dona lo Spirito Santo: comunione d’amore totale tra il Padre, il Figlio e l’umanità; sorgente del discernimento dei vari kairoi della storia alla luce del Vangelo di Cristo; energia d’amore che ispira responsabilità e coraggio nella risposta a tali kairoi; perspicacia intuitiva di ogni possibilità di dialogo, perdono e riconciliazione, in ogni situazione culturale, religiosa e politica. Lo Spirito, illuminando ed energizzando lo spirito umano, lo sintonizza sull’onda dell’intensità dell’ascolto, dell’obbedienza e dell’amore gratuito del Figlio alla volontà del Padre (verità-bellezza-vita), creando comunione e solidarità a gloria del Padre tra tutti coloro che accolgono Cristo in libertà. Lo Spirito suscita decisioni creative, espressioni della vittoria, piena di speranza, sul chronos, accettando audacemente il rischio dei “cieli nuovi” e di “una terra nuova”, intraprendendo così con coraggioso profetismo il compito di “aprire nuove vie verso la verità” .

3. La Chiesa, segno del kairos di Cristo, logos fatto carne, attraverso Parola e Sacramenti

La Chiesa, comunione d’amore, nata dal cuore trafitto di Cristo sulla Croce, grazie all’azione rigeneratrice dei carismi dello Spirito, è il “luogo teologico” della compassione e della tenerezza di Dio. Gli agenti pastorali, le forze missionarie e il laicato impegnato nella società e nella politica sono ministri dal cuore ferito in quanto profeti contemplativi dell’amore sofferente e misericordioso di Dio per il suo popolo. Sono compagni solidali nel dolore delle popolazioni, con cui condividono la vita, in nome di Dio Padre, fonte della vita e dell’amore, e di Cristo Buon Pastore e Buon Samaritano. La Chiesa è l’ovile di Cristo, comunità di Buoni Pastori, che, quali segni di Cristo Buon Pastore, “luce dei popoli” e risposo dei giusti, portano in braccio le pecorelle smarrite e confuse verso l’esperienza della verità che rende liberi (cf. Gv 8,32), nell’amore che assorbe l’odio, generatore della morte, mediante la bellezza della pace tra i popoli e le culture e la celebrazione della vita di ogni uomo e donna quale dono di Dio. La Chiesa di Cristo è la comunità dei Buoni Samaritani, che sanano le ferite sanguinanti degli emarginati, abbandonati sulle strade del mondo, superando ogni barriera di clericalismo, classismo o di separazione auto-giustificante.
La Chiesa, icona della Trinità, si rivela e si costruisce nella celebrazione contemplativa e gioiosa della Parola di Dio, che rivela e comunica la sapienza amorosa di Dio quale chiave di lettura “kairologica” della realtà, vittoriosa su ogni chiusura pessimistica “chronologica”, e dei Sacramenti che sanciscono e approfondiscono progressivamente l’alleanza con un Dio misericordioso, sofferente d’amore per il suo popolo. I Sacramenti si fondano sul Battesimo, che rigenera a creatività nuova nella verità-amore-bellezza-vita, nella trasfigurazione della creazione (cf. acque del Nilo), che diventa libro aperto, rivelatore della vicinanza di un Dio che cammina nella brezza della sera con gli umani. I Sacramenti culminano nell’Eucaristia, segno efficace del sacrificio di Cristo e della Chiesa. Il sangue di Cristo sulla Croce, che riassume una vita di dedizione incondizionata a Dio e all’umanità, si mescola con il sangue e sudore di tutti gli agenti pastorali, missionari, laici impegnati nel sociale e nel politico e di tutti i giusti africani, in particolare degli schiavi, degli orfani, dei rifugiati, delle vittime dell’ingiustizia e delle guerre, assorbendo e valorizzando ogni goccia di sangue e di sudore versata per amore, in cui si riflette l’amore appassionato di Dio per l’umanità.

 
4. Il kairós quale principio cristologico della correlazione tra teologico e antropologico

Il concetto di kairós, quale incontro di Dio con l’uomo in coordinate spazio-temporali, è connaturato con il principio cristologico, che evidenzia il principio della correlazione tra il teologico e l’antropologico, tra l’eterno e il temporale, tra l’assoluto e il relativo, tra l’universale e il particolare. Il concetto di correlazione indica interdipendenza tra due realtà o polarità indipendenti . Esso rivela la dinamica sancita dal dogma cristologico di Calcedonia tra il teologico e l’antropologico, tra il divino e l’umano, senza mescolanza e senza separazione. La sfida della teologia in tutti i tempi, e quindi anche la teologia comboniana, è quella di mediare il teologico e l’antropologico, la filosofia e la teologia, la fede e la ragione, il Vangelo e la cultura, senza sorvolare il drammatico rapporto tra le due dimensioni, evadendo nell’assorbimento dell’umano nel divino o l’assorbimento del divino nell’umano, fagocitandolo.
Il supernaturalismo teista, da una parte, e l’antropologismo naturalista immanentista, dall’altra, tradiscono il mistero del logos fatto kairós. Il teologico e l’antropologico, in autonomia e reciprocità, devono mantenere la loro rispettiva identità, libertà, originalità e creatività. La ragione teologica comboniana deve sapere cogliere nella realtà e nella libertà dell’umano la realtà e libertà del divino, senza sottacere la realtà drammatica e antinomica del male, e senza ricorrere ad una metafisica razionalista, concettualista o estrinsicista, come quella espressa da una certa teologia neoscolastica, che dal tempo del Comboni fino al secolo XX, con tentativi anche nel presente, pretende di difendere il divino, sorvolando o manipolando l’umano, o prendendo la storia solo come semplice occasione o pretesto per un’apologetica di un divino a-storico, quasi che Dio avesse bisogno delle nostre legittimazioni o difese ideologiche. Questa visione genera una concezione giuridica, legalista, moralista e volontarista della religione, che fondamentalmente rimane a livello di religione naturale, rivelando la sua impotenza e le varie distorsioni devozionaliste ed emozionaliste, che non rigenerano la persona umana, ma la frustrano ancor di più, lasciandola in preda delle sue facoltà naturali, stimolate, ma non rigenerate o trasformate.
Alla luce delle precedenti considerazioni fondamentali sulla salvezza, che Cristo offre come compimento dell’esistenza umana, viene spontaneo interrogarsi sul valore salvifico delle religioni non cristiane, sul  come chi per ragioni storiche non è cristiano, perchè segue altre forme di religione, o non è ancora cristiano, perchè non ha ancora avuto la proposta della salvezza di Cristo, possa realizzarsi in pienezza come essere umano, grazie al piano universale della salvezza in Cristo, mediatore assoluto di Dio. La domanda si fà più drammatica, quando ci si chiede come sia possibile pensare e parlare di Dio, di Cristo e dello Spirito Santo in una situazione di sofferenza ingiusta, che milita contro ogni idea sensata di Dio.
Un orientamento generale per una risposta a queste domande, da sviluppare sistematicamente, ci viene dai documenti del Concilio Vaticano II. Infatti una prima luce positiva, ottimistica, con risonanza comboniana, ci sembra essere offerta dalla Gaudium et Spes 22, che collega il mistero di Cristo con la rigenerazione dell’uomo, con l’uomo nuovo, affermando che in Cristo l’uomo, tutti gli uomini trovano il senso della loro esistenza. Lumen Gentium 16 considera Cristo come “colui che illumina ogni uomo affichè abbia finalmente la vita”. Gaudium et Spes 22, a sua volta,  vede in Cristo il destino di ogni uomo, affermando che “ciò non vale solamente per i cristiani ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia”. Conseguentemente, bisogna credere che “lo Spirito Santo dia a tutti a possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, con il mistero pasquale”. Il presente contributo ha tentato di accendere qualche lumicino in tale direzione.

 

CONCLUSIONE
LINEE METODOLOGICHE DI TEOLOGIA SISTEMATICA COMBONIANA

Ho tentato di considerare Comboni dal punto di vista della metodologia teologica e della teologia sistematica, sottolineando l’importanza dello sviluppo di una theologia crucis, fondata sulla categoria del kairós, che offra un senso alla sofferenza-compassione di Dio nella persona di Cristo per l’Africa Centrale del secolo XIX, con apertura universale, facendo sì che “la dottrina dell’apatia della natura divina finalmente scompaia dalla teodicea cristiana, consentendoci così di vedere la Croce del Golgotha piantata nel cuore del Dio trinitario, per percepire quel Dio che si rivela nel Crocifisso” . A me sembra che questa sia la prospettiva che debba assumere una teologia comboniana del Cuore di Cristo o una cristologia comboniana, della cui creazione molti sentono la necessità .
La teologia sistematica comboniana deve riflettere sulla storia dell’evangelizzazione e sulla storia e la cultura delle popolazioni tra cui lavoriamo, scoprendo come in Dio sia inserita tutta la sofferenza umana, poichè la morte di Gesù “contiene tutte le profondità e abissi della storia umana”. Di conseguenza, il Missionario Comboniano, alla luce di una theologia crucis comboniana, deve essere capace di esperimentare e percepire anche riflessivamente che “non esiste alcuna sofferenza che in questa storia di Dio non sia sofferenza di Dio, come non esiste alcuna morte che non sia diventata morte di Dio nella storia del Golgotha” .
Il Comboni “teologo” ci insegna che il Dio uno e trino è un Dio “patetico”, che sente “passione” e commozione per i popoli tra cui svolgiamo la nostra missione. Seguendo l’ispirazione del Comboni, fare “teologia sistematica comboniana”, sotto il profilo del kairós, vuole dire cinque cose fondamentali:
1. Fare esperienza diretta e coinvolgente dei vari kairoi (“situazioni kairologiche”) del popolo tra cui viviamo alla luce del kairós di Cristo, compiutosi sulla Croce, sintonizzandosi sulla sensibilità e sullo slancio appassionato del Comboni. Ciò richiede capacità di ascolto ai “segni dei tempi” dei popoli, attenzione ai loro fremiti culturali verso una pienezza di senso esistenziale, e specialmente generosità coraggiosa nel dare e promuovere risposte adeguate alle varie “provocazioni kairologiche”, che le loro situazioni sollecitano. Bisogna lasciarsi “ferire” dalle loro condizioni di vita, per saper cogliere in esse, attraverso il cuore ferito di Cristo, le vibrazioni della ferita d’amore del Dio trinitario, che partecipa appassionatamente alle sorti del popolo e si sente toccato intimamente dalle sue tragedie. Tale ferita d’amore effonde la carità di Cristo, lo spirito del Vangelo, motivando l’impulso apostolico, lo “spirito dell’apostolato”. Solo quando le due “ferite”, quella di Dio e quella del popolo, si incontrano nel cuore del missionario si fa autentica contemplazione e missione comboniana.
2. Fare discernimento sapienziale dei vari kairoi (“situazioni kairologiche”), in rapporto ai vari chronoi (“situazioni chronologiche”), percepire il duello dialettico storico e culturale tra di loro, e promuovere la vittoria del kairós (novità, creatività, audacia, coraggio, decisione, rischio, spirito profetico, fiducia nella storia) sul chronos (repetitività fatalista, paura del rischio, routine, abitudine, mediocrità, superficialità, esteriorità, pessimismo e scoraggiamento).
3. Esaminare e studiare tutte le dimensioni della storia e della cultura dei popoli, che possono aiutare a coglierne il senso e la direzione dei movimenti intrinseci veritativi-esistenziali-liberatori, per intuirvi l’irruzione della volontà di Dio (verità-amore-bellezza-vita), che invita a prendere delle decisioni in suo favore per la rigenerazione di quei popoli. Bisogna essere motivati dalla convinzione che “la vera conoscenza è la conoscenza nata dal kairós, cioè del destino del tempo, del punto dove il tempo è disturbato dall’eternità” . Una pietà disincarnata dalla storia, dal discernimento dei “segni dei tempi” (kairoi), che crede di cogliere Dio attraverso principi ideologici, sentimentali, volontaristici, moralistici o legalisti, sorvolando la storia, è una religione distorta e non cristiana, anche se con tinte apparentemente cristiane. Essa non è la fede nel Dio trinitario, che si rivela nel kairós centrale della storia, Gesù Cristo, e in tutti i suoi kairoi, che nello Spirito ne attualizzano la dinamica rivelativa e redentiva.
4. Formulare una riflessione teorica consistente e convincente, coerente e sistematica, dinamica ed elastica, sensibile alle “nuove vie verso la verità”, aperta all’imprevisto e alla sorpresa, recettiva dell’ambiguità e dialettica della vita umana e attenta alle percezioni dell’ “ambiguità” e “dialettica” di Dio stesso di fronte al male.
5. In questa riflessione teologica sistematica comboniana bisogna superare ogni forma di biblicismo (sola Scriptura), cristomonismo (solus Christus), spiritualismo (solus Spiritus), ecclesiocentrismo (sola Ecclesia) e pastoralismo (solus populus). Tutte queste dimensioni devono intrecciarsi sistematicamente e dinamicamente. Nel discernimento esperienziale e riflessivo sulla realtà è necessario promuovere l’interdisciplarietà tra le diverse aree del sapere (teologia, filosofia, antropologia, scienza, psicologia, teologia, politica, arte, etc.), sapendo cogliere creativamente l’interrelazione dinamica tra le diverse luci ed ombre, dinamiche e ambiguità, distorsioni e risoluzioni alla luce del kairós centrale della storia: il mistero di Cristo. In questo modo si può cogliere, pur con fatica, i tocchi di Dio alla porta del tempo, con cui egli vuole aprirsi una varco rivelativo e redentivo nella storia e cultura dei popoli.
In un parola, la riflessione teologica sistematica comboniana deve saper mostrare come Dio, in Cristo e nello Spirito, sappia agire nella storia e cultura dei popoli, in cui viviamo e con cui lavoriamo, attraverso fattori diversi tra loro, per manifestare i suoi kairoi, i suoi “segni dei tempi”, che cercano di combattere e vincere l’implacabile chronos della ripetitività pessimistica e fatalistica dell’egoismo ad ogni livello, con cui monotonomamente e compulsivamente tiene il controllo dell’universo, dei cuori e delle menti umane.
Ogni minima idea filosofica e teologica, sviluppata ed espressa nella storia, ogni minima azione, ogni simbolo, ogni movimento, ma specialmente ogni lacrima esistenziale versata a causa del male e del dolore innocente, lasciano un segno nell’universo mediante l’interconnessione dei diversi fattori che muovono il mondo e l’umanità, segnando anche il destino di Dio. “Tutte le cose vicine e lontane, segretamente sono tra loro legate da un’immortale potenza, sicchè cogliendo un fiore, una stella è turbata” , versando una lacrima, Dio subisce una ferita, facendo un atto gratuito d’amore, Dio si commuove, perchè in esso ravvisa un riflesso della Croce del Figlio, piantata nel suo cuore di Padre.