La perla bruna – Giampaolo Pezzi

LA PERLA BRUNA DI COMBONI

A-. PRIMA PARTE

0. Premessa.
Ci é chiesto di riflettere sul tema da un triplice approccio ermeneutico:
– scientifico,
– partendo da angolature preferenziali
– fondandole sulla propria esperienza.
E questo con tre finalità:
– Legare Comboni all’oggi della missione (teologia in atto e dialogo con l’oggi)
– Trarre stimoli per una spiritualità e impegno missionario in Europa
– Trovare spunti per coinvolgere i Mccj in un servizio più qualificato alla missione.

1. Leggiamo l’espressione La Perla Bruna-Africa, limitante traduzione di nigricans margherita, con un

1.1-. Approccio storico: senso dell’espressione. La ricerca storica porta sul Significato dell’espressione sulla bocca di Comboni.
• Comboni scrive:
“Poiché fu decretato che la solenne benedizione del Nuovo Testamento debba cancellare tutte le maledizioni dell’Antico, sarà una gloria nobilissima per il Concilio Ecumenico Vaticano l’aver affrettato il compimento di questa realtà.
Possa l’Africa Centrale partecipare alla gioia solenne del prossimo trionfo della Chiesa.
Che nel diadema ornato di gemme celesti, di cui è cinto il capo augusto della Vittoriosa e Immacolata Madre di Dio, risplenda il popolo dei Neri, ormai conquistato a Cristo, come una perla bruna”. 
• Contenuto
La Perla Bruna è ovviamente
– lo spazio umano e culturale del popolo dei Neri
– oggetto “di una delle più antiche maledizioni” 
– che risente ancor oggi in modo della forza malefica di questa maledizione
– per cui l’ “Infelice Nigrizia giace tuttora sotto il dominio di Satana”.
Forte della sua fede Comboni afferma che:
– “La solenne benedizione del NT cancella tutte le maledizioni dell’Antico”
– La Chiesa deve accelerare il compimento di questa realtà inevitabile
E quindi si augura:
– Che l’Africa Centrale partecipi pronto all’allegria del trionfo della Chiesa
– Che nel diadema della Madre di Dio, risplenda, come una Perla Bruna, il popolo dei Neri, ormai conquistati a Cristo.
• Il Contesto
– Il termine Perla Bruna appare in Comboni solo in questo testo; il contesto, essenziale alla sua comprensione, è il Postulato in favore dei Neri dell’Africa Centrale preparato per il Concilio Vaticano I e presentato con la data del 24 giugno 1870 accompagnato da una lettera.
– Chiocchetta nel suo studio analizza come in Comboni è nata l’idea,  come è stato formulato, il suo itinerario, i firmatari, la sua continuità con il Piano e poi aggiunge alcune indicazioni che lo inquadrano:
– I due capisaldi della riflessione di Comboni, la Bibbia e la Storia Universale: ad essi si ascrivono: sia le citazioni di Sofonia e del Salmo sulla presenza degli Etiopi nella Chiesa, rilevando in Comboni una visione di Chiesa non sociologica ma come “Storia di Salvezza”; sia “la speranza della rigenerazione e della vita” : “Il solo pensiero che ci impedisce la disperazione è la storia della Chiesa”.
– L’atteggiamento critico di questo testo verso una Chiesa soddisfatta, dedita a discussioni verbali, incurante dell’ora di grazia che sta vivendo. L’Africa diventa così per questa Chiesa un caso di coscienza.
– La benedizione del NT : “Voi e le comunità di cui siete pastori, portate all’Africa il nome di Gesù: fatelo scaturire come Parola di Vita su quelle labbra riseccate dall’arsura; Lui che ha rivelato sul Golgota la paternità universale di Dio e la fraternità universale di tutti coloro che sono stati riscattati dal sangue di Cristo”. 
• Connotazione del contesto. Questo contesto è espressamente religioso e  sviluppato nella lettera di presentazione in termini ecclesiali: anche i popoli neri sono chiamati da Dio a crescere e maturare fino alla propria pienezza.
– Ecco il richiamo: Al Concilio sono presenti nella persona dei loro vescovi i popoli di tutta la terra . Solo l’Africa Centrale  rimane privata di così “grande fortuna e che ancora neppure la conosce”.
– Questa parte d’Africa “siede nelle tenebre, soggetta alla morte e al dominio crudele del demonio” e i suoi popoli “ancor oggi sono oppressi dalle tenebre profonde dello spirito, si degradano nel culto sacrilego dei demoni e nel fango vergognoso dei vizi”.
– Eppure “da diciotto secoli” essi sono stati liberati “dalla maledizione del padre” dal sangue di Cristo,” che “li ha acquistati come propria eredità”.
Da questa visione nasce l’appello ai Padri Conciliari per “questa infelicissima Nigrizia”, “immersa nelle tenebre”, “smarrita  nei precipizi, senza guida, senza luce, senza fede, senza Dio”.
Manca d’approfondire solo due temi, pur essenziali alla comprensione del messaggio di Comboni. Che cos’era per Comboni
L’antica maledizione.
L’immagine biblica che subito ci viene alla mente è quella del Salmo:
“Abitavano nelle tenebre e nell’ombra della morte,
prigionieri della miseria e dei ceppi,
perché si erano ribellati alla parla di Dio e
avevano disprezzato il disegno dell’altissimo.
Egli piegò il loro cuore sotto le sventure, cadevano e nessuno le aiutava.” 
 La maledizione è dunque la realtà oggettiva dell’Africa in quel momento: l’Africa è così è perché è maledetta; maledizione e sue conseguenze sono la stessa cosa. Il fatto è che il Vangelo non ha ancora tolto questa maledizione.
Africa soffre perché vive nel peccato.
La nigricans margarita
L’Africa di cui parla Comboni è dunque l’Africa della fame, della siccità, dell’assenza di cultura, della schiavitù; l’Africa della poligamia, degli idoli, dei vizi, visti dalla prospettiva cattolica.
L’Africa della Chiesa locale, del Continente in via di sviluppo, del dialogo interreligioso con l’Islam o con le religioni tradizionali, non è ancora presente : è la nigricans margarita che manca. Lo sarà, e Comboni pretende che lo sia per i cammini che il suo Piano indica: ma in quel momento l’Africa che lui ha davanti è quella maledetta, schiava di satana, dove tutto è male, perfino la presenza del bianco, pure portatore di civiltà ai suoi occhi.

E qui nascono le due domande che molti anche comboniani si pongono ancora. Comboni descrive l’Africa con toni pessimisti
– Lo fa’ solo per far risaltare in termini di promozione la sua opera e del suo Piano?
– O nel fondo era anche razzista, almeno con il senso che diamo oggi a questo termine?

1.2-. Approccio Antropologico : valore culturale dell’espressione.

Comboni aveva studiato teologia per sapere ciò che doveva credere ed è vissuto credendo in quanto aveva studiato: perfino nel potere temporale del Papa!!! Al Concilio Vaticano I c’è andato perché ci voleva andare e vi é entrato come esperto perché era per lui l’unica porta.
Ma Comboni non era un teologo. Era aperto ai nuovi umanismi, accoglieva scienza e cultura come valori, leggeva i rapporti degli esploratori con passione. Grazie anche al pensiero rosminiano, ma queste nuove idee non gli creavano patemi d’animo né teologici, né filosofici né ecclesiali come ad altri. Nel bene e nel male, pur innamorato dell’Africa, illuminato dalla fede e nutrito da nuove idee sulla missione, Comboni ragiona in termini di cultura contemporanea, cioà nell’alveo del pensiero razionalista che fa’ della cultura europea il culmine del progresso umano.
• Taylor, nato un anno dopo Comboni, segna la nascita di quella che si chiamerà in seguito Antropologia Culturale e coniava nel 1871,  il termine animismo e l’anno della morte di Comboni, nel 1881, scriveva: “Le tribù selvagge e barbare rappresentano più o meno gli stadi culturali attraverso i quali sono passati tanto tempo fa’ i nostri progenitori”? 
– Questa visione, unita all’evoluzionismo darwiniano  darà origine al chiamato “evoluzionismo culturale” di visione strettamente eurocentrica. Comboni non poteva sottrarsi a questo pensiero, essendo l’unico in voga.
– Il Piano si allinea sull’evoluzionismo culturale etnocentrico e nella sua introduzione usa il termine feticismo nel senso dispregiativo. 
– L’Antropologia Culturale apporterà come frutto positivo, insieme a tanti danni per il suo connubio con il colonialismo, il relativismo culturale. Ma Comboni questa evoluzione del pensiero non la conobbe.
• La corrente cattolica opposta all’evoluzionismo, non è certo migliore.
– L’arcivescovo di Dublino, Richard Wathely, affermava che non c’é progresso senza un esplicito intervento divino  e che “ai selvaggi [è] concesso progredire solo se aiutati da una umanità già in possesso di una civiltà ottenuta per grazia divina”. 
– Sulla stessa linea sono l’inglese John Lubbock in Prehistoric Times e il danese Sven Nilsonn. Questi nel 1843 sosteneva: la vita dei primitivi abitanti Europei è paragonabile a quella dei “selvaggi contemporanei”.
– Dicendo che i popoli dei Neri non possono essere lasciati “avvolti nell’infedeltà e nella barbarie”   Comboni sembra riflettere queste idee.
– Comboni, di sua natura attivo, primario, emotivo e perciò istintivamente ottimista, è di evidengte pessimismo nel giudicare la realtà dei popoli neri. Un pessimismo non solo sociologico per la realtà che gli sta intorno, ma anche teologico, di tipo agostiniano: la maledizione antica impedisce ogni liberazione autogena, la cultura dei popoli neri è irrimediabilmente compromessa, solo la croce di Cristo può salvare l’africano;
– E si rifà a “quel Dio, che volle altresì per i negri morir sulla croce”  con un’espressione che riecheggia san Agostino: “Perché gli uomini stentano a credere che un giorno vivranno con Dio, quando già si è verificato un fatto molto più incredibile, quello di un Dio morto per gli uomini?”.
 Ma qui entriamo nel terzo approccio.
 
1.3-. L’esperienza personale: criterio ermeneutico di lettura.
Ho una convinzione: noi ci portiamo dentro un ordine etico inconscio, frutto di educazione, esperienze, condizionamenti socio-culturali; un comportamento etico autonomo non si raggiunge senza una sua rilettura critica. Allo stesso modo ognuno di noi ha già incrostata nel profondo dell’anima la sua Ratio Missionis che senza una rilettura critica, induce il nostro fare missione in modo esogeno.  
La mia rilettura dell’esperienza missionaria e di Comboni iniziò al ritorno in Africa. L’esperienza del Burundi nonostante il suo epilogo, mi aveva marcato in modo positivo ma acritico e forse la mitizzavo: ero arrivato sessantottino, critico della religiosità tradizionale, ma durante gli avvenimenti del 1972 avevo scoperto quanto la grazia della risurrezione stava facendo in quel popolo.
In America Latina la pastorale afro mi aveva deluso : i neri americani sono lontani dagli africani come i lombardi dai celti e l’approccio afro mi pareva illusorio, mitizzante della cultura, incapace di far penetrare la fede nel cuore.
Al ritorno, l’Africa, o meglio gli africani, e in particolare i congolesi, avevano pure le carte in regola per deludermi e venne la Guerra dei Sei Giorni a Kisangani. Sotto le bombe, il sentimento non era esattamente quello di Comboni: Africa salverà l’Africa, ci dicevamo però intanto Africa distrugge Africa.
Venne la rilettura degli anni di missione, insieme alla lettura autonoma di Comboni, all’approccio antropologico, alla sfida di rimettere la Parrocchia, al coinvolgimento nel Consiglio Provinciale e nella Commissione per Ratio Missionis :
– Con le disillusioni delle guerre, la presa di coscienza di certi mali africani -menzogna oggettiva, comportamenti etici discutibili, rifiuto di responsabilità-, l’ingenuo ottimismo e l’idealizzazione erano finiti;
– La criminalizzazione della colonizzazione e di ogni apporto culturale esterno, compreso quello europeo e cristiano, coltivato anche dalle nostre riviste, mi apparvero adatti più a coltivare il vittimismo che a risolvere i problemi;
– Gli slogan comboniani mi suonavano non profetici e provocatori, ma ingenui e mistificatori : cosa vuol dire, Africa salverà a Africa? Cos’é in sostanza la fiducia di Comboni nell’africano?

B. SECONDA PARTE.

2.0. Premessa.
Che può apportare questo discorso alle finalità di questo incontro?
Penso anzitutto che l’idea è veramente buona e anche molto ambiziosa per cui bisognerà facendo cammino enucleare meglio gli obiettivi di ogni incontro.
Ma penso anche che essere eredi di Comboni, non è solo continuare quello che ha fatto e con lo spirito con cui l’ha fatto, a anche fare quello che lui non ha potuto o non é riuscito a fare, per essere morto giovane, per le circostanze storiche, per l’incomprensione della Chiesa e della società del suo tempo. Le sintesi del messaggio di Comboni che troviamo in Gonzales e Lozano potrebbero essere un ottimo punto di riferimento.
Voglio qui indicare solo alcuni spunti.
 
2.1-. Legare Comboni all’oggi della missione
Possiamo chiederci: questa Perla Nera é oggi incastonata nella corona della chiesa? Penso che dalla prospettiva di Comboni ancora no.
• La presenza strutturale e la visibilità della Chiesa sono senza dubbio realtà che si impongono e possono dare l’illusione che l’Africa sta salvando Africa.
• Ma la condizione dell’Africa non è oggi migliore di quella dei tempi di Comboni
– Le variabili socio-umane non sono molto cambiate e lo schiavismo s’è modificato nelle sue forme ma non nella sostanza;
– La realtà spirituale non ha fatto molti progressi: la poligamia, la stregoneria, la frantumazione culturale sono di ritorno con l’imperversare dell’Aids, della corruzione, dei vizi segnalati da Comboni;
– Pur essendoci segni di vitalità e risurrezione, la santità quotidiana, il genio africano incarnato nella filosofia e teologia, le comunità viventi di fede sono ancora un sogno: il Vangelo ha toccato ma non penetrato i cuori.
– Il cristianesimo africano, se prendiamo nigricans nella sua forma di participio presente, non ha per nulla i riflessi bruni che ci si aspetta perché sia una ricchezza non solo numerica per la vita della Chiesa.
– Si può attribuirlo al dominio di Roma o dell’impero però è un fatto, anche là dove il clero indigeno conduce diocesi e parrocchie queste rimangono cloni di queste impiantate dagli espatriati.
• Avere il coraggio di guardare la realtà effettuale pur nell’ottimismo del proprio carattere o della fede è un riappropriarci di Comboni. Questo:
– Ci esige anche di cominciare a distinguere il Comboni della nostra tradizione dal Comboni storico, cioè il Comboni letto per intenderci da Chiocchetta e Gonzalez da quello di Romanato.
– Questo implica purificare l’immagine che ci facciamo e proiettiamo di Comboni da clichè e toni da vangeli apocrifi. 
– Noi siamo i comboniani della 4° generazione : dopo quelli che l’hanno conosciuto personalmente, quelli che l’hanno dimenticato come fondatore e quelli che l’hanno ricercato e sublimato per arrivare alla canonizzazione.
– Ora è il tempo di una lettura popolare di Comboni, di uno studio di “pares” di membri della famiglia disincantati e critici perché lo possiamo accogliere come fonte di una ispirazione che sia pane di ogni giorno.

2.2.- Trarre stimoli per una spiritualità e impegno missionario in Europa.

Che cosa allora può apportare l’esperienza missionaria che si inspira del Comboni alla spiritualità e all’impegno missionario in Europa?
Abbiamo visto già ieri l’apporto delle comunità di base e dei ministeri; ce ne sono senza dubbi altri; ma quello che arrivando dalla missione sento oggi per l’Europa come una esigenze è l’identità culturale e come un bisogno è dialogo interculturale.
C’è, instillata dallo strutturalismo, una tensione in antropologia fra identità culturale e evangelizzazione che porta alla conclusione : per rispettare l’identità cultuale di un popolo un annuncio del vangelo è inaccettabile.
– La distinzione fra Cristo e Vangelo da una parte, e Chiesa e cultura occidentale dall’altra è solo un palliativo. Per l’antropologia culturale la religione è sempre e solo parte della cultura; come lo sono la struttura del lavoro, dell’autorità, del parentado, della famiglia.
– D’altra parte un vangelo e una fede disincarnati, dunque fuori da una cultura specifica, sono inconcepibili, come l’anima senza un corpo.
– Dire che il Vangelo e la fede non distruggono la cultura ma la portano a suo compimento, è una bella frase che non dice nulla: per il relativismo culturale la singola cultura è l’unico soggetto del suo autosviluppo.
– Ogni progresso infine, e quindi ogni progetto di sviluppo, di promozione umana, di educazione porta in sé i germi di un cambio culturale che, per sé stesso non può non divenire anche fonte di distruzione o almeno destabilizzazione culturale.
Come eredi del Comboni ci tocca trovare risposte
– alla sua visione di un Africa sotto le tenebre e il dominio di satana,
– e alla sua esperienza di un annuncio che ha sofferto persecuzioni e distruzione proprio per la sua identificazione con una cultura e con un potere, quello coloniale.
Questo ci chiede di
1-. Trasformare il discorso comboniano di internazionalità in termini di interculturalità, un discorso già iniziato, ma mi pare ora bloccato per mancanza di basi concettuali.
2-. Ripensare il discorso culturale che ponga basi capaci di una una risposta a queste obiezioni che saranno sempre più acri. Io ne ho individuate tre:
• Una concezione del peccato originale che sia legata o che lo identifichi con la cultura come progetto di vita;
• Una visione della cultura come progetto di vita aperto al futuro che ne identifichi i limiti in termini storici e culturali per l’interesse del soggetto stesso. Questo diventa possibile quando si concepisce la cultura come sistema simbolico coerente messo in movimento nel quotidiano dalla intercomunicazione che lo costituisce progetto di vita perchè un popolo possa affrontare il suo presente e sopratutto il suo futuro;
• E’ questa prospettiva del futuro che apre spazi di dialogo con la fede e il Vangelo. Una visione dell’identità culturale che parte dal passato ne fa’ un museo da riscoprire in cui ogni oggetto –ogni tratto culturale nuovo-, appare come un intruso; se è occupata dal futuro, da quella escatologia che non è solo spazio di fede ma anche utopia, la cultura ogni si presenta bisognosa di aiuto.
• Se non fosse per ragioni tempo non resisterei alla tentazione di rileggere a questo punto la cultura dei bambuti, il popolo pigmeo della foresta dell’Ituri: hanno famiglia strettamente monogamica, non hanno nessuna struttura di potere, non conoscono la proprietà privata né accumulazione di beni, strutturano in perfetto equilibrio le relazioni di genero: ma non per questo soffrono meno della paura della morte né sono aperti ad una fratellanza o al futuro che garantisca il dialogo con il diverso.
Questo discorso ci porta anche a sostituire la contrapposizioni fra Vangelo e Impero, persona e struttura con una riflessione sulle relazioni fra fede e cultura aprendo spazi al dialogo interreligioso, perchè rimette ogni popolo ed ogni cultura di fronte al Vangelo nella casella di partenza; per l’Antropologia culturale è ormai chiaro che ogni cultura vale in sé stessa e non per i valori etici che veicola; le culture dominanti nella variabile spazio-temporale non lo sono in quanto cultura ma in quanto espressione di un altro tipo di dominio: i pigmei hanno la loro cultura come gli americani e gli arabi; però hanno la loro cultura anche i medici come gli operai e i religiosi, gli stati come la chiesa.
Ognuna di queste culture deve rivedere la sua posizione di fronte al Dio della fede e al Vangelo.

2.3.- Spunti per coinvolgere i Mccj in un servizio più qualificato alla missione.
• Una spiritualità nostra.
Ci manca non solo spiritualità ma anche una vera spiritualità comboniana, di cui oggi non possiamo più farne a meno. L’identità culturale che ci veniva dall’Europa etnocentrica, da un’idea unica di Chiesa e di missione,  dallo spirito di famiglia fondato su una RdV monolitica è scomparso. Senza questa identità di gruppo, le rivendicazioni identitarie di paese, razza, cultura si faranno disgreganti.
Però Comboni non è un Francesco d’Assisi, né un Giovanni della Croce, né un Agostino. Dobbiamo accettare che tocca a noi forgiare questa spiritualità, raccogliendo le ricchezze di Comboni certo e senza fargli dire quello che non ha detto o mistificando la realtà storica.
E’ un lavoro che ha cominciato da molto tempo ma che bisogna, riprendere e ristrutturarlo per dargli un’anima, un fulcro nuovo. Quale?
Per quello che aveva studiato, Comboni aveva al centro della sua fede i sono misteri fondamentali: Unità e Trinità di Dio, Incarnazione, morte e risurrezione di Cristo. Ebbene Comboni non parla mai della Trinità né dello Spirito Santo;   al centro della sua esperienza di fede e della sua vita missionaria sta “Dio che volle altresì per i negri morir sulla croce”.
E’ l’Incarnazione come punto focale della missione. Attorno a questo punto focale le intuizioni che ci hanno sorretto durante anni potrebbero unificarsi in una spiritualità unitaria: Il Cuore trapassato del Buon Pastore, la teologia della Croce, l’amore radicale alla missione e all’Africa scaturirebbero armonicamente dalla dimensione soteriologica dell’incarnazione. 
• La fiducia nell’Africano.
Non è oggi facile con tutti i problemi dell’Africa, con tutti i guai che ci crea la nuova geografia vocazionale, con le assurde rivendicazioni di cui si fanno voce anche molti uomini di Chiesa, questa fiducia negli africani, non è facile. Qual è il suo senso?
Comboni credeva senza dubbio che gli africani possono prendersi in mano la loro storia e per questo voleva l’Africa presa d’assalto da istituti professionali, seminari e università. Fiducia quindi nella chiesa locale e sopratutto nei laici dando loro responsabilità, coinvolgendoli in progetti e in decisioni.
Ma non é solo questo. La grande fiducia di Comboni negli africani, che spesso passiamo sotto silenzio complice, era nella loro capacità di liberarsi dalla poligamia, dalla superstizione, dall’ignoranza religiosa, dal peccato, insomma di farsi santi come Zenon, Agostino, Bakhita, Anuarite, Bakanja e i martiri d’Uganda. Il suo sogno non era d’aver dei professori, dei tecnici, dei preti africani ma di mandare anime in cielo, anche all’ultimo momento senza catechesi adeguate, perché questo era per lui il Regno. Assurdo sarebbe stato per lui sentirsi dire: « Ma noi africani siamo così!”.
I cristiani africani della prima generazione anche se formati in un contesto di un certo paternalismo e razzismo avevano capito bene che essere cristiani ed essere santi é la stessa cosa. Questa fiducia che Dio e la Chiesa missionaria ripone nell’africano “Salvare Africa con Africa” non è allora una nozione metodologica ma un atto di fede.  Non stiamo tornando indietro, forse per farci accettare, per farci amare, per non passare per integralisti, per necessità strutturali e organizzative? Se solo chi é sposato in chiesa e non è poligamo può dirigere un gruppo come la mettiamo con tutti i gruppi di una parrocchia ? Per coprire tutti i posti di responsabilità dell’organizzazione chiesa non giochiamo ad un cristianesimo a scartamento ridotto?
• La missione è della Chiesa.
E’ senz’altro una delle intuizioni di Comboni. Fare che la missione sia della chiesa e non degli istituti è l’eredità non realizzata che Comboni ci lascia. Non credo che la stiamo prendendo troppo sul serio.
• Riscoprire da Comboniani la santità di Comboni. Comboni é dichiarato santo e il decreto di canonizzazione ne da sue motivazioni. Ma per noi comboniani quali ne sono i segni? Io dico i miei come tracce di vita:
– Il 10 di ottobre moriva in Africa, il suo letto era la sua croce, il suo fisico potente era stroncato da malattie; unico fondatore di istituti missionari che muore come missionario sul campo del lavoro;
– Accanto alla sua croce pochi fedeli disfatti dalle malattie e dal dolore: come accanto alla croce di Cristo; né capi di stato né delegazioni né televisione;
– Alla sua morte chi lo riconosce Mutran es Sudan no é Propaganda Fide, magari contenta che sparisca in gloria un imbarazzante personaggio, né il papa: sono pochi fedeli, molti pagani, dei musulmani; come sotto la croce di Gesù è il centurione che esclama, “Costui era veramente Figlio di Dio”;
– Il Centurione lo crede perché lo vede morire senza cadere nella disperazione pur gridando “Padre, Padre perché mi hai abbandonato!”. Il “Io muoio ma la mia opera non morirà” di Comboni, è il grido di fede di chi sa di vivere e operare nelle mani di Dio;
– Dopo la risurrezione, la tomba di Gesù non sarà meta di pellegrinaggi, non vi porteranno fiori né candele; quella di Comboni è profanata e distrutta;
– Ci vorranno 20 anni prima che il nome di Cristo dia origine ad Antiochia a quello di “cristiani”: ci vorranno decine di anni prima che il nome di Comboni sia ricuperato dai suoi figli.
La santità di Comboni non é quella delle celebrazioni, ma di una tomba distrutta, di una croce nuda, di una vita perduta per il vangelo, di una pietra sepolta senza apparenze nell’edificio della salvezza. Se questa santità ci inspira:
– Il nostro discorso missionario abbandonerà certi toni, cominciando con l’eliminare da biografie e libretti l’apologia e episodi mistificatori.
– La sua rilettura in prospettiva antropologica ci farà rivisitare la visione culturale di Comboni e i suoi limiti ci insegneranno a vedere i nostri.
– La Perla Nera la vedremo come Comboni non mitizzata da una visione russoniana, ma nella loro realtà, con i loro valori -vedi i pigmei- ma anche con i loro non valori che li fanno soggetti e nostri fratelli di redenzione.
– Il popolo dei Neri riprenderà allora il suo posto di Perla nera che manca ancora, perché per loro anche oggi Dio muore sulla croce, li ama e per loro da la vita; sono un popolo che può redimere e rigenerare se stesso: atto di fede e non fiducia umana nell’africano.
smagliante di altri, la perla nera non brilla più delle altre, ma ha una particolarità:
• E’ arrivata alle soglie del mondo culturale universale quando si scopriva il relativismo culturale
• al mondo economico portando più materie prime che tecnica, più vie di mercato che modi di produzione