LA NOSTRA PRESENZA SUL TERRITORIO
1 – 15 dicembre 2021
Ricordo che già dagli anni del seminario, ossia dalla prima media nel lontano 1954, ogni anno si partecipava a un corso di esercizi spirituali. Quello di quest’anno è stato il corso n. 67. Tenendo presente che prima di essere consacrato sacerdote ho partecipato anche al mese ignaziano (un corso di esercizi spirituali di un mese) il totale dei giorni di esercizi spirituali ammonta a 365, esattamente un anno.
Forse questi conteggi interessano solo il sottoscritto che riconosce che gli esercizi spirituali hanno segnato la sua vita. Vi assicuro che quest’anno mi ci sono tuffato con un tuffo in profondità in compagnia di san Daniele Comboni al quale ho chiesto di condividere con lui la passione per gli ultimi.
Spegnere il computer e il telefonino per tutta la settimana è stata una sola facciata, quella del distacco. La vicinanza intima con Gesù mi ha fatto riscoprire il dono della missione e questa è la facciata positiva!
Condivido ora con ciascuno di voi due momenti, nessuno dei due programmato, ambedue dono.
Il primo: appena arrivato a Pesaro, luogo degli esercizi spirituali, incontro un confratello giovane e gli chiedo: “Chi sei? Mi risponde “Sono Christian”. “Quale Christian?”. “Christian Carlassare!”. Avevo in mano il libro della Liturgia delle ore. Lo apro e gli mostro l’immaginetta della sua consacrazione sacerdotale avvenuta nel 2004. Ci abbracciamo.
Il secondo: “Ma qui siamo tutti o quasi tutti anziani”, osservo con una certa tristezza. Apro la Bibbia e trovo la chiamata di Abramo il novantanovenne” (Genesi 17,1). Mi consolo e sento che anche a me viene chiesto di “uscire” e anche a me viene promessa fecondità.
Non appena terminano gli esercizi, il 27 novembre, parto subito alla volta di Bologna dove incontro persone con le quali ho vissuto momenti belli di animazione missionaria. Nel pomeriggio incontro un gruppo di laici missionari comboniani e alla sera sono a Pesaro con un piccolo gruppo di giovani di Fano. Domenica mattina mi trovo già a Viserba (Rimini). Incontro i ragazzi del catechismo, alcuni dei membri dei gruppi di lettura popolare della Bibbia e la comunità parrocchiale nella celebrazione delle ore 11,00.
Iniziamo così il cammino di Avvento alla luce della Parola e del Sinodo.
La Parola ci presenta il volto di un Dio “giusto” che dà a ciascuno ciò di cui ciascuno ha bisogno, mai ciò che ciascuno merita! Il Sinodo ci chiama a vivere “comunione, partecipazione, missione”!
Nel pomeriggio intraprendo in macchina il lungo viaggio di quasi 500 km che mi riporta a Troia dove giungo alle 18,40.
E adesso ci attende il mese di dicembre. Uso il plurale. Sottolineo: Ci attende!
Nella prima quindicina dobbiamo terminare la realizzazione del presepe: “È NATO GESÙ”. “È NATA LA VITA”. “LAUDATO SI’”. Il presepe potrà essere visitato fino al 2 febbraio. Chiediamo ai gruppi di prenotare la visita (348-2991393).
Tutti: impegniamoci a fare conoscere la missione diffondendo:
– ANGENDA BIBLICA MISSIONARIA – edizione normale € 15,00; edizione piccola € 10,00
– SORELLE E FRATELLI COME DONO – il libro strenna ricco di testimonianze – € 5,00
– NIGRIZIA e PIEMME. Rinnoviamo l’abbonamento per il 2022 e procuriamo almeno un nuovo abbonamento. L’abbonamento (nuovo o rinnovo) a Nigrizia costa € 35,00 e a PIEMME € 28,00.
Tutti compiamo un gesto di condivisione.
Aiutiamo i missionari offrendo l’importo corrispondente al 10% delle spese che facciamo a Natale e capodanno per il pranzo, per gli addobbi, per il vestiario, per i regali. Suor Carolina dal Congo per le sue studentesse. Suor Loreta ancora dal Congo per la scuola. Suor Pompea con gli immigrati del Sud del Messico. Fratel Enrico dal Ciad con i gruppi giovani che hanno… fame! E molti altri ci chiedono di non voltarci dall’altra parte passando oltre. E poi persone che qui sul territorio ci implorano…
AIUTATECI AD AIUTARE! Ecco i dati dei conti banca e ccp:
INTESA SANPAOLO IT52G0306909606100000105858 – Missionari Comboniani – Troia;
Conto Corrente Postale N. 12031712 intestato a: Missionari Comboniani – Troia FG
Con amore. 1° dicembre 2021 p. Ottavio
APPENDICE
“Comunione, partecipazione, missione. Le tre parole-chiave del Sinodo”
Riporto in maniera integrale il discorso di Papa Francesco, pronunciato in occasione del momento di riflessione per l’inizio del Sinodo.
Credo che queste parole hanno la forza di farci dire SI!
“Cari fratelli e sorelle, desidero anzitutto ringraziarvi per essere qui, all’apertura del Sinodo. Siete venuti da tante strade e Chiese, ciascuno portando nel cuore domande e speranze, e sono certo che lo Spirito ci guiderà e ci darà la grazia di andare avanti insieme, di ascoltarci reciprocamente e di avviare un discernimento del nostro tempo, diventando solidali con le fatiche e i desideri dell’umanità.
Viviamo questo Sinodo nello spirito della preghiera che Gesù ha rivolto accoratamente al Padre per i suoi: «Perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). A questo siamo chiamati: all’unità, alla comunione, alla fraternità che nasce dal sentirci abbracciati dall’unico amore di Dio. Tutti, senza distinzioni, e noi Pastori in particolare, come scriveva San Cipriano: «Dobbiamo mantenere e rivendicare con fermezza quest’unità, soprattutto noi Vescovi che presidiamo nella Chiesa, per dar prova che anche lo stesso episcopato è uno solo e indiviso» (De Ecclesiae Catholicae Unitate, 5). Nell’unico Popolo di Dio, perciò, camminiamo insieme, per fare l’esperienza di una Chiesa che riceve e vive il dono dell’unità e si apre alla voce dello Spirito.
Le parole-chiave del Sinodo sono tre: comunione, partecipazione, missione. Comunione e missione sono espressioni teologiche che designano il mistero della Chiesa e di cui è bene fare memoria. Il Concilio Vaticano II ha chiarito che la comunione esprime la natura stessa della Chiesa e, allo stesso tempo, ha affermato che la Chiesa ha ricevuto «la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio» (Lumen gentium, 5). Due parole attraverso cui la Chiesa contempla e imita la vita della Santissima Trinità, mistero di comunione ad intra e sorgente di missione ad extra. Dopo un tempo di riflessioni dottrinali, teologiche e pastorali che caratterizzarono la ricezione del Vaticano II, San Paolo VI volle condensare proprio in queste due parole – comunione e missione – «le linee maestre, enunciate dal Concilio».
Commemorandone l’apertura, affermò infatti che le linee generali erano state «la comunione, cioè la coesione e la pienezza interiore, nella grazia, nella verità, nella collaborazione […] e la missione, cioè l’impegno apostolico verso il mondo contemporaneo» (Angelus, 11 ottobre 1970). Chiudendo il Sinodo del 1985, a vent’anni dalla conclusione dell’assise conciliare, anche San Giovanni Paolo II volle ribadire che la natura della Chiesa è la koinonia: da essa scaturisce la missione di essere segno di intima unione della famiglia umana con Dio. E aggiungeva: «Conviene sommamente che nella Chiesa si celebrino Sinodi ordinari e, all’occorrenza, anche straordinari» i quali, per portare frutto, devono essere ben preparati: «occorre cioè che nelle Chiese locali si lavori alla loro preparazione con partecipazione di tutti» (Discorso a conclusione della II Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, 7 dicembre 1985).
Ecco dunque la terza parola, partecipazione. Comunione e missione rischiano di restare termini un po’ astratti se non si coltiva una prassi ecclesiale che esprima la concretezza della sinodalità in ogni passo del cammino e dell’operare, promuovendo il reale coinvolgimento di tutti e di ciascuno. Vorrei dire che celebrare un Sinodo è sempre bello e importante, ma è veramente proficuo se diventa espressione viva dell’essere Chiesa, di un agire caratterizzato da una partecipazione vera. E questo non per esigenze di stile, ma di fede. La partecipazione è un’esigenza della fede battesimale. Come afferma l’Apostolo Paolo, «noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo» (1 Cor 12,13). Il punto di partenza, nel corpo ecclesiale, è questo e nessun altro: il Battesimo. Da esso, nostra sorgente di vita, deriva l’uguale dignità dei figli di Dio, pur nella differenza di ministeri e carismi. Per questo, tutti sono chiamati a partecipare alla vita della Chiesa e alla sua missione. Se manca una reale partecipazione di tutto il Popolo di Dio, i discorsi sulla comunione rischiano di restare pie intenzioni. Su questo aspetto abbiamo fatto dei passi in avanti, ma si fa ancora una certa fatica e siamo costretti a registrare il disagio e la sofferenza di tanti operatori pastorali, degli organismi di partecipazione delle diocesi e delle parrocchie, delle donne che spesso sono ancora ai margini. Partecipare tutti: è un impegno ecclesiale irrinunciabile!
Il Sinodo, proprio mentre ci offre una grande opportunità per una conversione pastorale in chiave missionaria e anche ecumenica, non è esente da alcuni rischi. Ne cito tre. Il primo è quello del formalismo. Si può ridurre un Sinodo a un evento straordinario, ma di facciata, proprio come se si restasse a guardare una bella facciata di una chiesa senza mai mettervi piede dentro. Invece il Sinodo è un percorso di effettivo discernimento spirituale, che non intraprendiamo per dare una bella immagine di noi stessi, ma per meglio collaborare all’opera di Dio nella storia. Dunque, se parliamo di una Chiesa sinodale non possiamo accontentarci della forma, ma abbiamo anche bisogno di sostanza, di strumenti e strutture che favoriscano il dialogo e l’interazione nel Popolo di Dio, soprattutto tra sacerdoti e laici. Ciò richiede di trasformare certe visioni verticiste, distorte e parziali sulla Chiesa, sul ministero presbiterale, sul ruolo dei laici, sulle responsabilità ecclesiali, sui ruoli di governo e così via. Un secondo rischio è quello dell’intellettualismo: far diventare il Sinodo una specie di gruppo di studio, con interventi colti ma astratti sui problemi della Chiesa e sui mali del mondo; una sorta di “parlarci addosso”, dove si procede in modo superficiale e mondano, finendo per ricadere nelle solite sterili classificazioni ideologiche e partitiche e staccandosi dalla realtà del Popolo santo di Dio, dalla vita concreta delle comunità sparse per il mondo. Infine, ci può essere la tentazione dell’immobilismo: siccome «si è sempre fatto così» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 33) è meglio non cambiare. Chi si muove in questo orizzonte, anche senza accorgersene, cade nell’errore di non prendere sul serio il tempo che abitiamo. Il rischio è che alla fine si adottino soluzioni vecchie per problemi nuovi: un rattoppo di stoffa grezza, che alla fine crea uno strappo peggiore (cfr Mt 9,16). Per questo è importante che il Sinodo sia veramente tale, sia un processo in divenire; coinvolga, in fasi diverse e a partire dal basso, le Chiese locali, in un lavoro appassionato e incarnato, che imprima uno stile di comunione e partecipazione improntato alla missione.
Viviamo dunque questa occasione di incontro, ascolto e riflessione come un tempo di grazia che, nella gioia del Vangelo, ci permetta di cogliere almeno tre opportunità. La prima è quella di incamminarci non occasionalmente ma strutturalmente verso una Chiesa sinodale: un luogo aperto, dove tutti si sentano a casa e possano partecipare. Il Sinodo ci offre poi l’opportunità di diventare una Chiesa dell’ascolto: di prenderci una pausa dai nostri ritmi, di arrestare le nostre ansie pastorali per fermarci ad ascoltare. Ascoltare lo Spirito nell’adorazione e nella preghiera, ascoltare i fratelli e le sorelle sulle speranze e le crisi della fede nelle diverse zone del mondo, sulle urgenze di rinnovamento della vita pastorale, sui segnali che provengono dalle realtà locali. Infine, abbiamo l’opportunità di diventare una Chiesa della vicinanza che non solo a parole, ma con la presenza, stabilisca maggiori legami di amicizia con la società e il mondo: una Chiesa che non si separa dalla vita, ma si fa carico delle fragilità e delle povertà del nostro tempo, curando le ferite e risanando i cuori affranti con il balsamo di Dio.
Cari fratelli e sorelle, sia questo Sinodo un tempo abitato dallo Spirito! Perché dello Spirito abbiamo bisogno, del respiro sempre nuovo di Dio, che libera da ogni chiusura, rianima ciò che è morto, scioglie le catene, diffonde la gioia. Lo Spirito Santo è Colui che ci guida dove Dio vuole e non dove ci porterebbero le nostre idee e i nostri gusti personali. Il padre Congar ricordava: «Non bisogna fare un’altra Chiesa, bisogna fare una Chiesa diversa» (Vera e falsa riforma nella Chiesa, Milano 1994, 193). Per una “Chiesa diversa”, aperta alla novità che Dio le vuole suggerire, invochiamo con più forza e frequenza lo Spirito e mettiamoci con umiltà in suo ascolto, camminando insieme, come Lui, creatore della comunione e della missione, desidera: con docilità e coraggio. Vieni, Spirito Santo. Tu che susciti lingue nuove e metti sulle labbra parole di vita, preservaci dal diventare una Chiesa da museo, bella ma muta, con tanto passato e poco avvenire. Vieni tra noi, perché nell’esperienza sinodale non ci lasciamo sopraffare dal disincanto, non annacquiamo la profezia, non finiamo per ridurre tutto a discussioni sterili. Vieni, Spirito d’amore, apri i nostri cuori all’ascolto. Vieni, Spirito di santità, rinnova il santo Popolo di Dio. Vieni, Spirito creatore, fai nuova la faccia della terra.