Vari giornalisti molto conosciuti, commentando i vari messaggi di cordoglio arrivati da tutto il mondo, subito dopo la notizia della morte del Papa, hanno parlato di “palese ipocrisia”, nelle parole contenute appunto nei messaggi. Card. Domenico Battaglia, arcivescovo di Napoli, è stato più chiaro e più duro dicendo che “i potenti, alle esequie del Papa, erano come Erode con Giovanni il Battista. C’è il rischio di beatificare il Papa a parole, per dimenticarlo nei fatti. Lui parlava chiaro, senza fare sconti, come fanno i profeti”.
A Papa Francesco va indubbiamente riconosciuto il merito di aver alzato la voce, forse come mai nessuno, contro la guerra. Ha ripetutamente invocato la pace giusta e duratura per l’Ucraina, per Gaza, per l’Africa e per tanti altri conflitti sparsi in tutto il mondo. La sua visione di Chiesa, e non poteva che essere così, si è scontrata spesso con una radicata, consolidata visione di chiesa occidentale, curiale, direi, romana. L’esperienza di Francesco, venuto dalla fine de mondo, e il suo modo di concepire il ministero petrino, era in palese antitesi con quanto la chiesa ha vissuto per secoli. Una chiesa povera, quella dell’America latina, una chiesa sofferente, perseguitata, ma allo stesso tempo viva, impegnata, immersa in una dimensione sociale, non facile da capire e immaginare, nel contesto europeo e “romano”, piuttosto fermo e arroccato su posizione tradizionali, consolidate, quasi intoccabili.
L’idea di chiesa di Francesco, era piuttosto una chiesa senza catene, nel senso di libertà da tutto ciò che, appunto nel sud America, spesso la vorrebbe imprigionata al potere politico, militare, come quello conosciuto da Bergoglio, non sempre in sintonia con i principi del vangelo. Basti pensare al martirio di mons. Romero e alle centinaia di sacerdoti, laici e catechisti uccisi. Però Francesco era un gesuita, dai piedi fino all’ultimo capello. Il che significa che la sua fedeltà alla chiesa era un punto fermo e non negoziabile. Questo non gli ha impedito, in questi anni di pontificato, di scardinare alcuni pilastri che, fino a un decennio fa, sembravano intoccabili. Un boccone non sempre digeribile per noi occidentali. Amato fuori della chiesa per questo, quanto osteggiato dentro la chiesa. Il continuo richiamo agli ultimi, agli scarti della società, ai migranti, alla povertà, ad una sinodalità della comunità cristiana, hanno fatto del suo pontificato, il punto di forza e, allo steso tempo, di debolezza. Quasi una ossessione, il suo continuo richiamo all’accoglienza, che possiamo invece capire appieno solo se leggiamo le prime pagine della sua autobiografia “SPERA”. In quelle pagine Francesco offre la chiave di lettura del perché. Chiamato a guidare la barca di Pietro, dopo la rinuncia di Benedetto XVI, diverso da lui per formazione, per indole e per sensibilità intellettuale, ha fatto scelte forse alle quali non eravamo pronti.
Ha spalancato tante porte, non ultimo il Sinodo, senza effettivamente chiuderne nessuna. Lascia sul terreno temi scottanti, delicati, dossier caldi e fumiganti, che nelle mani del successore, saranno la vera spina che gli trafiggerà la fronte. Le sue scelte spesso hanno diviso i potenti, anche quelli che ora lo osannano, appunto, senza però ascoltarlo. La pace da lui invocata, inascoltata, la lotta alla povertà, inascoltata, l’accoglienza, altro tema inascoltato. Rinnovamento della chiesa, che tra l’altro non si può risolvere, sia con pur generoso impegno, con quattro tavoli sinodali, e neppure mettendo qua e là religiose a guidare i dicasteri romani.
Allora, chi era Papa Francesco? Un innovatore? Un rivoluzionario? Un progressista tirato per la giacchetta, o per la talare, a seconda della comodità del momento? Forse era un po’ di tutto. Qualcuno dopo la scelta del nome Francesco, ha commentato che il suo pontificato, con quel nome evocativo di un potente tsunami nella storia della chiesa, sarebbe diventato per lui un peso difficile da portare. E così è stato. Che farà il suo successore? Continuerà sul solco tracciato da Francesco, o tornerà alla chiesa pre-bergogliana? Tornerà al Palazzo apostolico o continuerà ad abitare a Santa Marta? Che fine farà il Sinodo, tormentone di questi ultimi anni? C’è sempre un prima e un dopo. Il prima lo dimenticheremo in fretta, infatti il papa è come i reali inglesi, il re è morto, viva il re. Così come non ha fatto in passato, la Chiesa non abbandonerà i poveri, gli emarginati, i migranti; non mancherà di annunciare a voce alta la pace. Continuerà, come ha sempre fatto, a visitare Regina Coeli, il Bambin Gesù ed a prendersi cura degli ammalati. Dentro e fuori le mura leonine, la Chiesa, pur con le sue debolezze, miserie umane, peccati, saprà, come sempre, guidare i suoi figli. Purtroppo la sorte dei papi, di tutti i papi, è portare la croce fino al giorno della morte, anche se inascoltati, anche da chi, oggi, non senza una nota di ipocrisia, tesse l’elogio di papa Francesco. Anche lui inascoltato.
A cura di P. Teresino Serra
Fonte: Gianfranco Pala, VOCE DEL LOGUDORO, 27 aprile 2025 | n. 16reato