La scena della trasfigurazione riassume in un certo senso tutte le scritture. Mose ed Elia, infatti, la legge e i profeti, parlano con Gesù del suo esodo da compiersi in Gerusalemme. Le scritture in fondo sono un invito a concepire la nostra vita come un esodo dalla terra al cielo, come un cammino verso una relazione con Dio così intima da superare ogni nostra aspettativa o desiderio. Il salmista prega così: hai messo un invito nel mio cuore: cercate il mio volto. Ed io ripeto al mio cuore: il tuo volto io cerco. Cercare il volto di Dio significa credere nella possibilità di avere una relazione di reciprocità con Dio. Noi ci rispecchiamo nel suo volto e lui nel nostro. Questo per noi è vitale perché solo Dio è originariamente persona (Tenace). Noi, nascendo individui, diventiamo persone, cioè capaci di relazione e quindi capaci di amore, cercando appunto il volto di Dio. Ed e’ Dio stesso che suscita nel nostro cuore un tale desiderio che altrimenti non avremmo. Nel libro dell’esodo Dio ci si rivolge ad Abramo, ormai vecchio e deluso nella sua speranza di avere un figlio proprio e gli dice: esci dalla tua tenda e guarda il cielo. Lasciati condurre fuori dall’orizzonte basso e limitato delle tue aspirazioni per aprirti ad uno alto e vasto come il cielo. Conta le stelle se sei capace. Credi alla possibilità che io ti possa offrire qualcosa che supera le tue aspirazioni, le tue competenze o i tuoi meriti. Abramo credette e questa fiducia piacque al signore che glielo accreditò come giustizia, come cioè la disposizione adatta ad ottenere i doni di Dio. Anche nel Vangelo è Gesù che prende l’iniziativa di far salire tre dei suoi discepoli su un alto monte. Pietro vorrebbe costruire delle tende da abitare ma anche in questo caso Gesù trattiene i discepoli sotto il cielo stellato. Pietro non sa cosa dice perché non capisce ancora che la grazia che sta sperimentando è per il cammino verso il cielo e non per sistemarsi su questa terra. Essa non è per il gusto di un momento ma per un cammino lento e graduale. I discepoli sono, quindi, invitati ad entrare in una nube oscura nella quale il padre richiede loro ciò che ha chiesto ad Abramo per giustificarlo, cioè, la fede. Ascoltatelo, dice la voce dalla nube. Dategli fiducia, lasciatevi condurre fuori dalla vostra tenda per seguirlo nel suo esodo, nel suo cammino verso il padre. Paolo conferma questo invito che viene dalla fede a muovere lo sguardo dalle cose terrene a quelle celesti ricordando ai filippesi che sono cittadini del cielo e che sono chiamati ad una gloria che non possono ottenere con le loro forze ma solo con quell’energia che proviene da Cristo e che ha il potere di sottomettere a sé tutte le cose. Ora per quanto allettante possa essere questo invito a cercare il volto di Dio esso non risuona nel nostro cuore senza vincere certe resistenze. Abramo dovrà vegliare con fatica tutta la notte in attesa di un intervento di Dio che sancisse l’alleanza e nella notte dovrà lottare contro la paura ed il sonno. Anche nel Vangelo, proprio quando la gloria di Cristo si rivela ai discepoli, questi sono appesantiti dal sonno e devono lottare per rimanere vigilanti. La natura umana, anche quando è toccata dalla grazia, tende a ripiegarsi su sé stessa, ad accontentarsi, a ridurre tutto a interessi e a considerazioni terrene. Questa tensione tra la chiamata alla gloria e le resistenze dell’antica natura appesantita dal sonno e dalla paura viene richiamata da Paolo ai Filippesi quando ricorda loro che è possibile illudersi di essere amici di Cristo, di camminare dietro a lui, senza tuttavia essere amici della Croce. Paolo deve ripeterlo più volte perché la cosa può sfuggire all’attenzione o alla consapevolezza di chi crede. Molti, egli dice, camminano come nemici della Croce di Cristo, cioè, soddisfatti di starsene nella loro tenda, attenti alle cose terrene più che a quelle del cielo, inconsapevoli di questo invito a cercare il volto di Dio. La trasfigurazione della nostra natura esige un morire a tutto ciò che non vuole morire; essa esige il coraggio di andare oltre la sazietà materiale che, per quanto sembri preservare la vita in realtà (Tenace) ci trattiene nella morte, perché essa ci distoglie dalla ricerca di Dio e dall’ascolto della sua volontà. Nella sazietà è più facile addormentarsi che affidarsi a Dio. È più facile abituarsi alla nostra miseria e cedere all’inganno che fa apparire come normale ciò che in realtà è vergognoso perché appartiene ad una natura ferita e senza gloria: la sopraffazione, l’egoismo, l’interesse proprio, tutto ciò che è passionale e non duraturo. Se non permettiamo alla gloria di Cristo di sottomettere tutto ciò che di fatto domina il nostro cuore rischiamo di vivere da addormentati e da deboli. Per la fede dobbiamo imparare a desiderare di più della saziata terrena e con il salmista mantenere con fermezza la nostra speranza rivolta al cielo: Spera nel Signore, prega il salmista, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.