All’inizio di questo avvento la Parola ci invita a gettare uno sguardo di fede sulla storia umana per riconoscere come in essa non vi sia solo l’agire dell’uomo ma anche l’opera di Dio. Laddove noi vediamo il fallimento, dice Geremia, Dio fa nascere un germoglio. E Gesù gli fa eco dicendo che, anche se venissero meno il sole e la luna, per chi crede si avvicina la liberazione, si avvicina il tempo dell’estate, cioè la pienezza della vita e si avvicina il Regno di Dio, cioè il momento in cui, continua Geremia, Dio rende stabili, definitive tutte le promesse e le parole di consolazione che aveva rivolto al suo popolo. Questo avvicinarsi di Dio e del suo agire nella nostra vita, che noi chiamiamo avvento, d’altra parte, esige da parte nostra un atteggiamento corrispondente di accoglienza che non si può dare per scontato. Noi pensiamo normalmente alla nostra vita e alla storia come ad un progetto tutto umano e autonomo, la realizzazione di determinate aspettative o obiettivi proporzionati alle nostre forze e alla nostra intelligenza. Ed e’ vero, ma e’ anche vero che il progredire dell’uomo porta con sé molte ambiguità. L’uomo, infatti, si rende conto che quello che realizza non ha mai la qualità di giustizia e quindi di equilibrio che gli permetta di riposare. Anche le cose più affascinanti come l’intelligenza artificiale portano con sé implicazioni ambigue che possono togliere il sonno. Quando Gesù dice che un giorno gli uomini moriranno semplicemente per la paura dell’attesa di ciò che deve accadere, sta descrivendo ciò che accade ad un’umanità che pensa al suo futuro senza Dio. L’avvento allora torna a ricordarci che la storia e l’umanità non sono lasciate a sé stesse. La storia non è solo il risultato dell’operato dell’uomo, il suo presente che si proietta verso il futuro. Essa è anche il futuro di Dio che viene verso di noi e quindi l’operare di Dio che realizza delle promesse che superano ogni umana aspettativa. La nostra liberazione, l’estate, Il Regno sono alle porte. Non ancora in casa, ma nemmeno propriamente lontane. In un certo senso queste tre realtà esprimono la triplice venuta di Dio, a Betlemme, nella nostra vita e finalmente alla fine del mondo, come una sua vicinanza che bisogna riconoscere ed accogliere. Ci sono tante cose nella vita che anche al presente ci fanno soffrire e ci umiliano e spesso ci fanno abbassare lo sguardo, ci fanno pensare che non c’è niente da fare, che non c’è nulla da aspettarsi. L’avvento ci richiama a rialzare lo sguardo e sollevare il capo e a riconoscere come qualunque cosa stia accadendo nella nostra vita e sempre possibile aprire la porta a Dio, imparare ad avere Dio in casa, credere di poter affrontare ogni cosa insieme a colui che di fatto siamo tentati di escludere sempre più dall’orizzonte delle cose rilevanti di ogni giorno. Si tratta di aprire gli occhi sul fatto che il nostro agire diventa giusto, capace cioè di dare soddisfazione e riposo, solo quando si interseca così intimamente con l’agire di Dio da farci esclamare, come nel profeta Geremia: “Jaweh nostra giustizia.” Cosa fare, dunque, per renderci più accoglienti a questa venuta di Dio nella storia? Gesù ci ricorda che per riconoscere la sua venuta c’è soprattutto due cose da imparare sempre di nuovo: l’interiorità o attenzione a sé stessi e quindi la vigilanza. L’attenzione a sé stessi è quell’atteggiamento interiore di resistenza alla superficialità, alla distrazione, alla dispersione. Noi siamo continuamente tentati di perderci nell’esteriorità perché tendiamo alla dissipazione, alla ricerca, cioè del piacere oppure alla preoccupazione per le cose della vita, cioè all’assolutizzazione del dovere. Non siamo al mondo per godercela ma nemmeno per farcela a tutti i costi. Siamo qui per amare ed essere amati e se perdiamo di vista questa cosa ci addormentiamo e diventiamo resistenti all’opera di Dio, come persone sonnolenti che non reagiscono agli stimoli della grazia e alle novità della vita. Vigilate nella preghiera ogni momento, dice Gesù, perché ogni momento c’è una grazia a nostra disposizione che cerca – come ricorda San Paolo – di farci crescere e sovrabbondare nell’amore, di rendere i nostri cuori saldi nella santità. Questa vigilanza amorevole ci rende capaci di quel discernimento per il quale mentre tutti subiscono le cose della vita che fanno soffrire, che umiliano, che spaventano, noi invece stiamo in piedi davanti al figlio dell’uomo, cioè attendiamo fiduciosi l’incontro con lui. Non c’è una forza più grande e significativa di questa: l’amore di Dio che rafforza il cuore e ci insegna ad affrontare in piedi le circostanze della vita, con responsabilità e perseveranza, con coraggio e generosità, fino a stupirci di noi stessi e poter dire: Yahweh nostra giustizia. Si scuotono le potenze del cielo ma rimane stabile questa promessa del Signore.