Juan Antonio raccontami qualcosa di te. In che angolo della Spagna sei nato e come hai vissuto la tua infanzia e giovinezza?
L’angolo della Spagna dove sono nato è ben conosciuto da tutti, perché è la capitale Madrid. L’anno della mia nascita è per così dire “profetico”, si tratta infatti del 1960 anno dell’indipendenza del Congo, finalmente libero dal dominio Belga. Il Congo che sarà il “primo amore”, la mia prima terra di missione. Sono cittadino “madrileno” doc: di nascita, di crescita e di formazione, sono anche il maggiore di tre figli nato in una famiglia profondamente cristiana. Ho frequentato la scuola dei “marianisti” seguendo poi le scuole magistrali. A quei tempi anche in Spagna era obbligatorio il servizio militare e alla fine delle magistrali, mi sono ritrovato nell’ aviazione militare, con i piedi sempre a terra, come aviere. Ero in una base non lontana dalla città. Quando non ero di guardia, libero da altri impegni, potevo visitare la famiglia e frequentare l’università.
Cosa mi racconti della tua famiglia:
Mio papà Alessandro era un operaio della azienda municipale di trasporti della città di Madrid. La mammaFlorencia era occupata con noi figli e lavorava anche come sarta.
Papà in un primo tempo fu autista di autobus, ma poi divenne controllore per dirigere il traffico degli autobus delle linee. Lavorava con una trasmittente per sapere la posizione dei mezzi, le condizioni delle strade e per intervenire in caso di guasti o evitare ingorghi. Ebbe poi un ictus con conseguente paralisi della parte sinistra del corpo. In un primo tempo la situazione restava critica, poi si stabilizzo e papà restò paralizzato ma fuori pericolo. Restò in quelle condizioni per otto anni.
Finita la “naja”, come viene chiamato il servizio militare in Italia, cosa è successo?
Dopo il servizio militare cercai lavoro, e venni assunto per due anni come aiuto meccanico nel garage della agenzia municipale dei trasporti. Non pensavo di restare a vita in un garage così ho perso l’occasione di imparare qualcosa di più serio in meccanica arricchendo il bagaglio tecnico che sarebbe poi stato utile in missione. Mi preoccupavo piuttosto della mia famiglia e di guadagnare qualcosa per poter continuare gli studi. E’ in questo periodo che sentii quella vocina che iniziò a tormentarmi chiedendomi: “Perché non Missionario?” Cominciava una lotta interna di cui non avevo coraggio di parlarne con nessuno. Non avevo mai pensato alla vita sacerdotale e religiosa, anche se uno zio, fratello della mamma, era sacerdote diocesano. Ero già fidanzato con una ragazza della mia parrocchia e volevamo terminare gli studi prima di prendere in considerazione la vita matrimoniale. Ero anche impegnato come catechista in parrocchia.
Una scelta non facile… come è avvenuta la svolta?
Spesso passavo davanti alla casa dei Comboniani per andare a fare una nuotatina in piscina. Un giorno mi decisi ad entrare in cerca di lumi. Ho cercato un padre per confessarmi e poi parlare. Gli raccontai tutto. Mi disse: “Guarda mi trovo qui di ritorno dalla missione in vacanze, ma posso indirizzarti a chi è incaricato di seguire i giovani che vorrebbero essere missionari”. Il padre disse di chiamarsi Senen Gandara, era un nome strano, veniva dalla Galizia e la famiglia viveva a Barcellona. Non avrei mai immaginato che con p. Senen mi sarei ritrovato a vivere nella stessa comunità a Butembo in RDC. Partecipai a un incontro di tre giorni, ma non trovai la luce che mi aspettavo e ritornai a casa. Qualche giorno dopo nella mia mente tutto si è messo in ordine e ho capito chiaramente che essere missionario era il mio cammino. Andai dai comboniani e per dire quello che sentivo in cuore. Mi aspettavo che mi dicessero: “ Bene, entra subito!”. Invece il padre mi disse: “Bene, ma per tutto l’anno vieni regolarmente agli incontri di formazione vocazionale e poi, se l’idea non cambia, vedremo…”
L’attesa anche se non gradita, aiuta ad approfondire e consolidare la scelta…
Mi trovavo tra l’incudine e il martello: dovevo dirlo alla mia famiglia, alla mia fidanzata, agli zii e ad altri ancora. Nessuno capì, neanche in famiglia, nonostante fossero tutti lettori della rivista comboniana Mundo Negro. Mi dissero: “Sei professore, se vuoi essere sacerdote resta qui in diocesi”. Lo dissi alla mia fidanzata la quale disse: “Sono molto triste. Mi consola il fatto che non mi tradisci per un’altra ragazza”. Gli zii mi dissero: “ Tu sei matto! Hai già un buon lavoro come insegnante, una brava ragazza che ti ama e con cui puoi fare una bella famiglia, sei il maggiore dei figli con una certa responsabilità…” Quel anno di preparazione e attesa fu una vera croce. Non avevo mai avuti crisi di fede, e in quell’anno fui tormentato da tutte. Tra l’altro mio padre oltre alla sua paresi ebbe delle forti crisi cardiache. Mi accorsi che quel tempo sulla croce era un tempo di luce, di crescita, e di decisione. In quel periodo il papà ebbe un’altra seria crisi cardiaca fu ricoverato in ospedale e restò ulteriormente indebolito. La mamma diceva: “Vuoi partire ora che il papà e ammalato, sei il maggiore dei fratelli…” Pregavo dicendo :”Signore se vuoi che ti segua e parta in missione, perché permetti che sia tormentato da tante difficoltà?”
Quante difficoltà hai trovato poi?
Ritentai e mi ripresentai convinto che sarei stato subito accolto dai Comboniani, invece mi fu detto: “Guarda siamo a dicembre e l’anno di formazione è già iniziato da tre mesi. Dovrai attendere l’inizio del prossimo anno di formazione ”. Finalmente a settembre, a ventitré anni, sono partito da casa.Non me ne resi conto, ma proprio in quel giorno era il 25° anniversario di matrimonio dei miei genitori… Loro erano talmente addolorati che non ne hanno fatto cenno, anche perché in fondo al cuore sentivano che io, primo nato del loro matrimonio venivo offerto a Dio come primizia. Mia mamma, coraggiosa, preparò con ordine tutte le cose in valigia e partii in Postulato. Tutti infondo appoggiavano la mia decisione, e mi aiutarono anche economicamente. Per le vacanze di Natale ebbi la possibilità di trascorrerle con tutta la mia famiglia a fianco a mio padre che era molto debole. Papà era curioso e voleva sapere tutto sul cammino di formazione. Ad esempio non capiva che cosa fosse “il deserto” durante il Noviziato e chiedeva che gli spiegassi ogni cosa. Dopo le vacanze rientrai in Postulato e pochi giorni dopo, il 19 gennaio, mi telefonarono da casa dicendo che il papà aveva avuto un’altra crisi cardiaca seria e che era deceduto. Fu un colpo forte ma sentivo anche come il Signore aveva fatto bene le cose, perché era morto serenamente, contento di aver compiuto bene il suo compito. Nonostante il dolore tutti sentivamo una pace profonda nel cuore.
Cosa ti ha riservato il cammino di preparazione al sacerdozio e alla missione?
Ho vissuto il Postulato a Granada, come un momento di grazia assieme ai miei compagni e dubbi e paure erano già spariti. Arrivò il tempo del Noviziato e fummo inviati a Moncada, vicino a Valenzia. Fu tempo di ricerca e incontro con Dio, con il Cristo e con Comboni. In tutte due le tappe ho avuto dei bravi e santi formatori. Alla fine del noviziato pensavo di essere mandato a Parigi per lo studio della Teologia e del Francese in vista della partenza per l’Africa, toh che mi cade una tegola sulla testa: dalla Direzione Generale mi dicono che per la teologia devo andare a Innsbruck in Austria. Pensavo fosse uno scherzo e invece… che botta! Mai avrei pensato a Innsbruck. Il tedesco mi sembrava duretto da imparare, e studiare in tedesco non mi attirava e poi mi domandavo a quale missione sarei inviato… Non è che non volessi andarci, ma a Innsbruck non ci avevo mai pensato. Il Signore scombussola sempre i nostri piani. Meglio restare docili. Il Signore trova sempre il metodo di farci crescere e maturare.Nello scolasticato tutte le attività errano fatte alla luce della “prise en charge”, e al servizio fraterno. Dopo lo scolasticato e alla fine di dieci anni di formazione vedevo che era stato un tempo prezioso e che Dio fa le cose molto bene.
Il primo periodo di formazione normalmente termina con i voti perpetui, il diaconato e l’ordinazione sacerdotale. E poi…?
Lasciando Innsbruck avevo tra le mani la lettera del Generale con la destinazione per lo Zaire di allora. L’8 Gennaio nel 1994 sono stato ordinato nella mia parrocchia di Madrid, dal Vescovo delegato delle Opere Pontificali Missionarie, che era Catalano. Erano presenti la mamma, mio fratello e mia sorella. Poi venne la partenza per l’Africa. Duru fu la prima missione dove fui inviato arrivando in Zaire, missione di frontiera. Il parroco P. Lino Salvi doveva partire per l’Italia con problemi di salute. Restai un anno a fare da spalla a P. Ferruccio Gobbi che sostituiva p. Lino. Per me fu la gioia dell’incontro con quell’ Africa che avevo molto desiderato. Già sentivo di amare la gente e di coglierne le grandi ricchezze religiose e culturali. Nei miei pensieri rivivevo quella che era stata la vita e le difficoltà vissute da Daniele Comboni e dei suoi primi missionari. Sentivo anche la presenza di tutti quei meravigliosi confratelli che mi avevano preceduto a Duru e nelle altre missioni. Dal Provinciale P. Lorenzo Farronato, mi fu chiesto di scendere a Isiro, trecento chilometri più a sud in sostituzioni di P. Crea, in aiuto al Parroco P. Sergio Cailotto. Bisogna essere sempre disposti a lavorare dove Dio ci mette, e fare quello che è possibile, al resto ci pensa Lui.
Dalla “brousse” (foresta) alla città…che sorprese hai trovato?
Beh le sorprese non sono mancate. A Sant’ Anna ci rimasi cinque anni facendo cose che non mi aspettavo. In quel periodo abbiamo vissuto la guerra con i saccheggi, ed ho sperimentato quanto Dio ci protegge e il grande dono che ci ha dato facendoci comunità. I cristiani non solo non ci hanno abbandonati. Il giorno di Natale celebrammo con loro la Messa della Nascita di Gesù anche se nei quartieri si sentivano sparatorie. Seguirono tre giorni di saccheggi nei quartieri e anche in missione,durante i quali per prudenza assieme alparroco P. Sergio, P. Fernando Zolli e P. Biasotto Giacomo, ci nascondemmo nel giardino interno della parrocchia. Non avevamo niente per mangiare, se non qualche frutto che cadeva dagli alberi e dormivamo tutti e quattro su una coperta stesa per terra sotto le stelle. Si sentivano i colpi d’arma e i soldati che ci cercavano. Tutte le stanze e il magazzino di casa erano aperti così i soldati si distraevano rubando. Eravamo molto più vicini di quanto pensassero. I cristiani della parrocchia ci aiutarono lasciare questo nascondiglio non troppo nascosto e cercare rifugio in foresta dagli amici pigmei. P. Sergio ebbe anche il coraggio di uscire per vedere cosa succedeva.La mattina del quarto giorno ci spostammo presto verso la palude in fondo alla valletta verso est e durante la notte attraversando la foresta guidati da alcuni cristianiandammo dai nostri amici pigmei che ci nascosero in un luogo isolato in foresta.Ricordo mamà Kalokalo che lasciando la sua casa restò in chiesa e si oppose all’ invasione da parte della soldataglia. Mamà Kalokalo, donna di grande coraggio e santa cristiana, venne anche alla nostra ricerca in foresta, perché aveva paura che i soldati ci avessero ammazzato, e quando ci trovò si mise a piangere abbondantemente, ringraziando Dio per averci salvato. Restammo in foresta per un paio di settimane. Dalle nostre ambasciate fu inviato un aereo per metterci in salvo. Con attenzione riuscimmo a giungere all’aeroporto e partire.
Un periodo sofferto per tutta la gente dello Zaire che presto avrebbe cambiato nome… . cosa ti ha riservato il dopo guerra?
Alla fine del duemila, come conclusione dei cinque anni a Sant’Anna ecco che mi arriva un’altra letterina dalla direzione Generale con nuova destinazione: “ Vai a Innsbruck come formatore degli scolastici!”. C’ero stato da scolastico e ci ritornavo da formatore…che è peggio… Prima di spedirmi in Austria, mi fermano a Roma per seguire un corso per formatori. Poi rieccomi formatore pivellino tra i giovanotti scolastici, e ci rimasi tre anni. Anche questi anni belli e preziosi , trascorsero in fretta. Alla fine ero pronto per il rientro in RDC , ma ero anche nella lista di coloro che avrebbero dovuto fare “l’anno comboniano” in Messico, un anno importante di ricarica spirituale, di approfondimento del nostro carisma, d’incontro e condivisione sulle esperienze missionarie con tanti confratelli di ritorno dalle missioni.
Quando sei ritornato in missione?
Ho potuto ritornare nel Congonel duemilacinque e per quattro anni mi sono ritrovato nella bella missione di Mungbere. Ma poi, visto la mia esperienza come formatore, il P. Provinciale P. Eliseo Tacchella, mi inviò con P. Senen Gandara all’est del Congo a Butembo per aprire la Propedeutica per la prima tappa di formazione per gli aspiranti comboniani. Si trattava anche di seguire i lavori per la costruzione degli edifici. Fu una bella esperienza anche se le mie conoscenze del Lingala non mi aiutavano in una zona di Swahili. Mi colpiva la laboriosità e la fede della gente Nande, una realtà ben diversa da altre regioni del Congo. Ci rimasi fino al duemila undici.
Valige in mano, quale è stata l’ulteriore destinazione?
Dalla Spagna il Provinciale mi scrisse: “ Stai prestando servizio in missione e fuori dalla Spagna da diverso tempo. Abbiamo bisogno anche qui. Ritorna!”. Così rieccomi al lavoro in Spagna. Dopo sette anni in patria speravo di rientrare in missione, ma fu l’inizio dell’epidemia da ”coronavirus” e rimasi bloccato per altri tre anni. Ridandomi il permesso di ripartire il P. Generale mi chiese un nuovo servizio: essere Padre Maestro in Noviziato a Isiro. La nostra disponibilità ed elasticità è messa a continua prova dal Signore attraverso i superiori. Sono al termine di questo periodo come Padre maestro per i miei quattordici novizi che hanno fatto la Prima Professione il 12 maggio. Poi vedrò che cosa il Signore mi riserva.
Quali sono gli aspetti belli della tua esperienza missionaria che conservi nel cuore?
Un aspetto bello e ricco è sempre stata la vita comunitaria, anche se si vivono momenti non facili. Se sono qui devo ringraziare le comunità dove ho vissuto in amicizia e che mi hanno aiutato a vivere con e per la gente nella missione dove sono stato inviato. Soprattutto nei momenti della guerra dove se fossi stato solo senza l’appoggio della comunità, non avrei resistito. Del resto è come comunità che diamo anche la nostra prima testimonianza su come il Signore ci ama: “…Da questo conosceranno che siete miei discepoli”.
Ho vissuto diversi momenti con P. Antonio nei vari anni di missione e lo ringrazio per la sua amicizia, la testimonianza di fede, di disponibilità, di spirito di sacrificio e di amore verso le persone che il Signore a cui ci ha donato per essere testimoni del suo Amore. Auguri Antonio per le prossime tappe.