Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

Stiamo andando verso la fine dell’Anno Liturgico. Dopo che avremo celebrato la Festa di Cristo Re (26 novembre 2023), inizieremo l’Avvento con un anno nuovo, quello B. La liturgia allora ci propone spesso delle letture che riguardano gli ultimi tempi, con la venuta finale e gloriosa del Signore Gesù (= parusia). Parusia anticamente indicava la visita solenne di un re a una regione determinata, con tutto quello che comportava. Ma i Cristiani, applicando a Gesù questa parola, hanno voluto significare la sua venuta negli ultimi tempi.

Il Vangelo di Matteo, come sappiamo, ci presenta 5 discorsi di Gesù, perché l’evangelista paragona Gesù a Mosè (autore dei primi 5 libri della Bibbia), ma immensamente più autorevole, perché Figlio di Dio.

Con il Vangelo di oggi, inizia il quinto discorso, quello escatologico, cioè riguardante la parusia. Con la distruzione del Tempio e della città di Gerusalemme ad opera dell’esercito romano, nel 70 dopo Cristo, i Cristiani hanno capito che il ritorno di Gesù (o parusia) non era imminente.

Egli ha detto: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi” (Matteo 28, 20). Allora oggi dov’è? Dove lo troviamo? Con l’Ascensione, Cristo è presso Dio e siede alla destra del Padre (come dice il Credo che recitiamo durante la Messa della domenica).
“Uomini di Galilea – dissero i due Angeli agli Apostoli, sul monte degli Ulivi ad est di Gerusalemme, – perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (Atti 1, 11).

Attualmente noi troviamo Gesù nella fede dei discepoli; lo scopriamo nei poveri e negli “scarti” dell’umanità, nei quali il Signore chiede di essere servito (Matteo 25, 40); è presente nella sua parola, che deve essere ascoltata (Luca 10, 16); è presente nei Sacramenti che riceviamo con fede e nella comunità di coloro che sono riuniti per pregare nel suo nome (Matteo 18, 20).
La parabola delle 10 vergini, che ascoltiamo nel Vangelo di oggi, ci insegna quello che dobbiamo fare in questo tempo di attesa della parusia.
E’ vero, nella tradizione giudaica, le 10 vergini accompagnavano la sposa. Lo sposo è il Cristo e la sposa è la Chiesa, cioè tutti noi battezzati.
Le 10 vergini sono l’immagine della Chiesa, sia quelle sagge che quelle stolte.
“Ecco lo sposo , uscite per l’incontro con lui!” si grida nel mezzo della notte (cioè proprio quando forse meno lo aspettiamo).
Questa parabola è una metafora dell’esistenza umana. Infatti noi siamo sempre in una situazione di uscita. Lo dicono bene André-Alphonse Viard, biblista francese, e anche Silvano Fausti, biblista italiano. Tutta la nostra vita è un’uscita: dal seno della madre per arrivare a vivere; da ogni azione che facciamo per diventare quello che siamo; e, alla fine dell’esistenza, usciamo dalla vita per incontrare lo Sposo e vivere in comunione con il Dio Trinità nella beatitudine eterna. Non conosciamo l’ora esatta della nostra dipartita finale; ma dobbiamo sempre essere pronti, con le lampade accese e l’olio in riserva nei vasetti.

Padre Bernardo Sartori fu chiamato la mattina di Pasqua del 1983. Era inginocchiato ai piedi dell’altare a Ombaci (Uganda), con il rosario in mano e la lampada accesa, prima dell’alba di quella festa liturgica. Che esempio stupendo!

E noi dove staremo? Come saremo? Il discorso escatologico di Gesù ci invita ad avere sì le lampade accese, ma anche a tenere il vasetto della riserva dell’olio ben ripieno. E come? Le nostre lampade possono essere accese e i nostri vasetti pieni di olio, se durante la nostra vita ascolteremo la Parola di Gesù e la metteremo in pratica. In questo modo saremo pieni di attenzione e di amore verso le sposo. Lo avremo riconosciuto e amato. Solo così possiamo entrare per partecipare alle nozze dello sposo, che è il Cristo.
Ogni volta che riconosciamo il Signore, facendo atti di carità, aggiungiamo dell’olio nei nostri vasetti: saremo colmi cioè di Spirito Santo.
Ma attenzione, abitualmente assomigliamo alle vergini stolte. Come quel cantante che urlava: “Tra la vita e la morte, scelgo la chitarra!” ( Francesco De Gregori dixit). Se i nostri vasetti saranno vuoti, cioè senza amore, la nostra vita sarà spenta. Dobbiamo darci da fare. La nostra salvezza dipende da quello che facciamo qui e ora, con le nostre scelte eseguite liberamente dalla nostra volontà.

Il discorso escatologico di Gesù non ha come scopo quello di spaventarci. Ci mette in guardia. Abbiamo tutto il tempo della vita presente per agire, per fare il bene, per riempire di olio i nostri vasetti della riserva, per manifestare la nostra carità. “Non chi dice Signore, Signore – ha detto Gesù, – entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio” (Matteo 7, 21).

E la volontà di Dio in che cosa consiste? Nel vivere da figli (di Dio!) amando gli altri come fratelli e sorelle.

San Daniele Comboni (secolo XIX) era sempre spinto dall’amore in tutto quello che faceva per gli abitanti del suo immenso Vicariato dell’Africa Centrale. Così scriveva a suo cugino Eugenio Comboni da Verona, il 24 dicembre 1879: “Al mondo, grazie a Dio, non ho mai lasciato di amare la carità (verso gli Africani), e la vita del missionario è carità”.