Padre Tonino Falaguasta Nyabenda
Abbiamo celebrato, il 1° novembre, la festa di tutti i Santi. Il giorno seguente abbiamo fatto la Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Di solito nel pomeriggio del 1° novembre ci rechiamo nei cimiteri (che vuol dire: luogo del riposo o della dormizione) per ricordare tutti i nostri cari defunti. Fino all’epoca napoleonica (1806 in Italia), i defunti venivano sepolti attorno alle chiese, per indicare l’unità della Chiesa, e per insegnare a chi entrava nell’edificio per la Messa, che le persone decedute non erano scomparse, ma che aspettavano, come tutti noi, il ritorno del Gesù glorioso, alla fine dei tempi, quando ci sarà il giudizio universale, così come è descritto dal Vangelo di Matteo (Matteo 25, 31–46). Il giudizio poi si ridurrà a una sola domanda sulla carità, come ci ha spiegato anche san Giovanni della Croce (1542-1591). Se avremo obbedito al comando di Gesù, Egli ci dirà: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me… Se ne andranno i giusti alla vita eterna” (Matteo 25, 40 e 46).
Ora invece, seguendo una moda che viene dagli USA, si celebra Halloween, una festa pagana. In origine era una festa cristiana, durante la quale si ricordavano tutti i Santi e i nostri cari defunti. Ma la Riforma protestante (XVI secolo; ha anche abolito il Purgatorio) e le risorgenze pagane del 19° secolo hanno proposto Halloween. E con una zucca, contenente una fonte luminosa, si va in giro (dicendo in italiano: dolcetto o scherzetto!) per scongiurare i mostri, legati al mondo dell’aldilà: è chiaramente una festa pagana, di origini celtiche, che il Cristianesimo aveva corretto, invitando i fedeli a venerare tutti i Santi e a ricordare tutti i fedeli defunti.
Ma andiamo da Gesù che oggi, nel Vangelo, ci invita ad ascoltare le sue parole. “Uno solo è il vostro maestro (= rabbi nella lingua di Gesù)…, uno solo è il Padre vostro, quello celeste”. Che differenza con le zucche illuminate e con i ghigni di mostri!.,.. Gesù ci invita a non avere paura di nessuno, di nulla, neppure della morte. C’è Qualcuno che pensa a noi. Basta che accettiamo il suo amore di Padre. Appunto “Padre”. Gesù infatti non pronuncia mai il nome di Dio nella sua lingua materna (che comunemente veniva indicato come il ‘sacro tetragramma’: YHWH). La sola preghiera che Gesù ci ha insegnato e che recitiamo durante la Messa è il “Padre nostro”. Ecco: questo è il nome di Dio per Gesù.
Paul Ternant, biblista francese, ce ne dà una spiegazione esauriente, che comunque è facile da capire, senza tante spiegazioni. Per mezzo di Gesù, Dio si è rivelato come Padre. Pregando nell’orto degli ulivi, ad est di Gerusalemme, poco prima della Passione, egli diceva: “Abba! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Marco 14, 36). “Abba” vuol dire: papà. Gesù è figlio del Padre per natura. E’ il Figlio unico e diletto (Giovanni 1, 14.18; 3, 16. 18).
E noi? Noi pure siamo figli, perché siamo adottati. Lo spiega chiaramente l’apostolo Paolo: “Ma quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: ‘Abbà! Padre!’. Quindi non sei più schiavo (della Legge Mosaica e di ogni peccato), ma figlio, e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio” (Galati 4, 4-7).
Siamo figli mediante la fede battesimale, che fa di noi un solo essere in Cristo. La nostra condizione di figli si manifesta nella preghiera, ma soprattutto nella carità fraterna: infatti se amiamo il nostro Padre, non possiamo non amare tutti i suoi figli, che sono pertanto nostri fratelli e sorelle. Lo dice chiaramente l’apostolo Giovanni: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore… Carissimi, se Dio ci ha amati così (mandandoci il suo Figlio Gesù), anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri… Noi amiamo perché Dio ci ha amati per primo. Se uno dice: ‘Io amo Dio’ e odia suo fratello’, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede!” (1 Giovanni 4, 7-8 e 11 e 19-20).
Meditando questo insegnamento di Gesù, come può un Religioso, un sacerdote farsi chiamare: “Padre!”?. E’ inammissibile! San Francesco d’Assisi (1181-1226) voleva che i suoi amici e seguaci si facessero chiamare ‘frati e sorelle’.
Quando uno si mette al posto del ‘padre’, compie cioè un parricidio (come vorrebbe lo psicanalista Sigmund Freud [1856-1939], per diventare uomini adulti), si rifiuta di essere figlio e nello stesso tempo rifiutiamo gli altri come fratelli. La storia di Caino ce lo insegna (Genesi 4, 1-12).
Ascoltiamo la parola di Gesù e mettiamola in pratica. Solo il Cristo è il nostro Maestro e la nostra Guida: impareremo ad amare Dio come nostro Padre e gli altri come fratelli.
San Daniele Comboni (secolo XIX) considerava gli abitanti dell’Africa Centrale come suoi fratelli, che Dio ama e che hanno bisogno di conoscere il Vangelo per essere salvati. Così scriveva al Cardinal Alessandro Barnabò, Prefetto di Propaganda Fide, il 30 ottobre del 1859, da Verona: “Voglia il Signore e la Vergine Immacolata Regina della Nigrizia, rivolgere benigno lo sguardo su quelle popolazioni, che siedono ancora nelle tenebre e che formano il centro dei miei sospiri, perché desidero la loro salvezza!”.