(L’arte di mettere le mani nelle tasche degli altri).
E’ la moda dei nostri giorni. Una coppia prossima al matrimonio presenta in qualche negozio “ad hoc” la lista dei regali desiderati in dono. Regali ben scelti e indicati. La lista è portata a conoscenza di parenti, invitati, amici e conoscenti. Ognuno si premurerà di fare il regalo che più gli aggrada e che sia a misura delle sue possibilità economiche. Si tratta della celeberrima “Lista Nozze”, che non è certo osannata dai poeti, e ancor meno dal Cantico dei Cantici.
Qui nel nostro angolo sperduto nel nord est della RDC, la moda va ben oltre la lista nozze dei matrimoni. Prende un nuovo nome, quello del “Faire Part” (Far parte). Tutte le occasioni sono buone per consegnare le richieste di “faire part”. Le buste giungono anche a chi questa moda sta sui calli. La lista dei motivi è enorme, complessa e in continua evoluzione come l’universo: Matanga (Lutti), kobala (Sposalizi), kobota (nascite), compleanni, battesimi, prime comunioni, cresime, e divagando anche esami e tasse scolastiche, promozioni e via dicendo. E’ una bella moda anche per chi sta bene e che per i “faire part” contano sulle tasche degli altri, non importa se sono di magro contenuto, fossero pure bucate. Il mercato tira bene, e la richiesta è ottima. Le comunità religiose sono letteralmente inondate dalle suddette richieste. Non mi stupirebbe che qualche genio inventasse le macchinette distributrici di regali “faire part” da istallare in ogni comunità.
Un fenomeno che meriterebbe uno studio sociologico, culturale e religioso approfondito. Chi avrebbe veramente bisogno di aiuto non ha neppure i soldi per stampare “faire part”. La stampa, da chi può, è fatta su carta patinata, arricchita da girigogoli, con la foto dell’interessato. Bisogna poi comprare centinaia di buste in cui infilare le preziose richieste da distribuire in tutta la città. La convenienza sociale e la paura, sono di stimolo anche per i poveracci che si sentono obbligati, a dare qualcosa che svuoti ancora di più il loro magro portamonete. Gesù stesso né da un esempio nel Vangelo quando fece notare quella povera vedova che metteva due monete di rame nel tesoro del tempio… dando tutto ciò che le rimaneva per vivere. (Lc 21,1-4).
Non è giusto mettere le mani nelle tasche dei poveri. La povertà non usa i “Faire part”, inventati da chi già sta bene. Purtroppo i poveri si sentono obbligati dalla società, dai benestanti e dalla paura a dare qualcosa della loro miseria.
In altre occasione il “faire part” può prendere il nome di “lista Sacerdozio” o “lista Episcopato”, lista Santi Voti, e altro, che più o meno sfruttano lo stesso stile della Lista Nozze. Di solito non sono fatte dai diretti interessati ma dai comitati delle celebrazioni. In occasione delle ordinazioni sacerdotali tra i regali, oltre ai paramenti sacri, non può mancare la moto dono dei parrocchiani, o la macchina data dalle autorità dello stato che, senza giudicare, “puzza di interesse politico”. Accettando regali di questo tipo la Chiesa si trova con le mani legate e la bocca tappata. Come controprova basti pensare al fatto che nessun politicante si preoccupa dei poveri o dei prigionieri. Quello che colpisce è costatare che nessuno dei diretti interessati, cioè dei festeggiati, si dissoci o rifiuti almeno i regali compromettenti. Tanto meno nessuno dei prescelti consiglia di dare i doni a chi ne ha diritto: ai poveri, agli orfani, alle vedove “in detresse”, agli ammalati, ai prigionieri.
Un altro aspetto correlato e non divergente sono le “prise en charge” (farsi carico) richieste durante le Celebrazioni Eucaristiche, in particolare quelle che debordano dal buon senso e che danno un’idea falsa sui veri bisogni in particolare dei sacerdoti e religiosi che sperperano i sacrifici di chi da della propria povertà. Entra in crisi anche senso delle celebrazioni di ringraziamento. C’è da domandarsi: “Quanta simonia sta alla radice di simili atteggiamenti?”
Non parliamo poi delle esigenze esplicite e pesanti delle diocesi, che “mungono” più delle mungitrici di nuova generazione, succhiando la gente e le loro paure. Eppure Gesù dice anche per noi che: “Non si può servire due padroni…. Non potete servire Dio e i soldi”. Mt. 6, 24 – Lc. 16,13. Continua Luca: “ I farisei stavano ad ascoltare tutto quello che Gesù diceva. Essi erano molto attaccati al denaro e perciò ridevano delle sue parole”. Chissà se i farisei d’oggi ridono e si gongolano ancora. Quelli che ci rimettono sono sempre i poveri che già hanno problemi per sbarcare il lunario. In tutto questo “poto poto” (fango) il diavolo ci sguazza e fa festa.
Le Parole di Gesù, indirizzate anche oggi a noi, sono esigenti: “Quando vi mettete in viaggio, non prendete nulla. Né bastone, né borsa, né pane, né denaro, e non portate un vestito di ricambio…” (Lc. 9,1-6).
Dice san Paolo: “Quando abbiamo di che mangiare e di che coprirci accontentiamoci … L’avidità del denaro, infatti, è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti”. (1 Timoteo 6, 5-ss) Che potere e denaro siano strumenti del diavolo ne abbiamo prove plurimillenarie nelle società e anche nelle religioni, compresa la nostra che si dice cristiana.
Se nel rispondere ai Faire part, siete generosi sarete osannati per la vostra bontà. Se invece rispondete alle necessità dei poveri, degli ultimi, dei prigionieri, di chi ha veramente bisogno, diventate subito “paternalisti” termine al quale vi possono allegare aggettivi poco simpatici. Altro che, “Vai, vendi quello che hai, e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi”.
Che lo Spirito Santo c’illumini e guidi verso un serio cammino di conversione, con scelte radicali, nell’attenzione ai poveri, agli emarginati, alle vedove, agli orfani e ai carcerati, in sintonia con il messaggio evangelico.