Padre Luigi Consonni
Prima lettura (Is 5,1-7)
Voglio cantare per il mio diletto
il mio cantico d’amore per la sua vigna.
Il mio diletto possedeva una vigna
sopra un fertile colle.
Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi
e vi aveva piantato viti pregiate;
in mezzo vi aveva costruito una torre
e scavato anche un tino.
Egli aspettò che producesse uva;
essa produsse, invece, acini acerbi.
E ora, abitanti di Gerusalemme
e uomini di Giuda,
siate voi giudici fra me e la mia vigna.
Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna
che io non abbia fatto?
Perché, mentre attendevo che producesse uva,
essa ha prodotto acini acerbi?
Ora voglio farvi conoscere
ciò che sto per fare alla mia vigna:
toglierò la sua siepe
e si trasformerà in pascolo;
demolirò il suo muro di cinta
e verrà calpestata.
La renderò un deserto,
non sarà potata né vangata
e vi cresceranno rovi e pruni;
alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia.
Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti
è la casa d’Israele;
gli abitanti di Giuda
sono la sua piantagione preferita.
Egli si aspettava giustizia
ed ecco spargimento di sangue,
attendeva rettitudine
ed ecco grida di oppressi.
“La vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione”. Con queste similitudini il profeta descrive la drammatica vicenda del rapporto fra Dio e il suo popolo.
Il brano, il cantico d’amore, è diretto al “mio diletto”, a Israele, il popolo stabilito nella terra promessa, metaforicamente segnalata come “vigna sopra un colle fertile”. Sebbene defraudato, sconcertato e amareggiato per l’infedeltà di Israele, il Signore non viene meno al suo amore e riassume gli interventi a favore del popolo nello stabilire le migliori condizioni, in modo che il popolo dia il meglio di sé nel procedere in sintonia con i canoni dell’alleanza.
Dopo la liberazione dalla schiavitù d’Egitto e l’Alleanza stabilita sul Sinai, il Signore ha condotto il popolo nel deserto, in cammino verso la terra Promessa, e l’ha introdotto sperando che producesse frutti abbondanti di giustizia e di fraternità, in conformità a quanto pattuito nell’Alleanza.
Il Signore “aspettò che producesse uva; essa produsse, invece acini acerbi”. Nel sentirsi defraudato e deluso si domanda: “Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? (…) Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi”. Gli è negato, ingiustamente, il frutto tanto atteso, nonostante l’accurata attenzione e cura posta, come il “costruire la torre e scavato anche un tino”, oltre a piantare viti pregiate.
Sperava di rendere operante il Regno di Dio, con l’accoglimento della sua sovranità, in modo che Israele divenisse “terra dove scorre latte e miele” (metafora di rapporti interpersonali e sociali di pace e armonia fra tutti e con tutto), punto di riferimento e modello di attrazione per le nazioni.
La risposta deludente e contraria suscita la volontà di capire cosa è successo e il motivo; e il Signore si chiede: “Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi?”. Il testo dà indicazioni su ciò che attendeva e l’accaduto: “si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue ed ecco grida di oppressi”. Praticare la giustizia è il rapporto adeguato con il prossimo e con Dio. Ma accade il contrario, al punto da spargere sangue e udire il clamore e le grida di dolore degli oppressi!
Le cause di tale condizione sono molteplici: la ricerca da parte delle autorità e dei notabili di interessi individuali o di lobby; la seduzione di altre proposte a favore di pochi e a scapito di molti; lo svincolo del culto a Dio dalla pratica della giustizia e del diritto; l’accomodamento alla propria convenienza e il disinteresse e l’indifferenza verso i deboli, gli emarginati, le vedove, gli orfani, lo straniero, ossia i più esposti allo sfruttamento e al sopruso.
Di conseguenza viene meno la fraternità, la solidarietà e, soprattutto, la speranza di pienezza di vita, offerta al “popolo eletto”, in comunione di vita e di intenti con il Signore nello sviluppo appropriato delle esigenze dell’Alleanza.
L’effetto dell’infedeltà al patto è la rottura dell’Alleanza e l’allontanamento dal Signore, che reagisce con durissime e sconcertanti parole, piene d’ira e collera: “toglierò la sua siepe (…) e verrà calpestata. La renderò un deserto (…) alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia”. Sono parole contrarie all’immagine del Dio buono, sempre pronto, in ogni momento, a perdonare il peccato, e che manifestano il profondo dolore e turbamento per l’accaduto.
Non si tratta di castigo divino o, peggio, di vendetta, ma della conseguenza per aver svalutato e ignorato le indicazioni del Signore abbandonando il cammino dell’Alleanza. La reazione del Signore è simile a quella del padre verso il figlio che, ostinatamente, procede per il cammino sbagliato, nonostante le indicazioni contrarie e i mezzi offerti per risultati soddisfacenti e condivisibili da entrambi.
Tuttavia la vigna non sarà rigettata e distrutta per sempre, ma soffrirà conseguenze. Le dure parole del Signore sono anche espressione di preoccupazione, di affetto e amore, come il padre che nel riprendere il figlio disobbediente lascia trasparire i veri sentimenti e propositi di bene. Prova ne sono le domande che pone a sé stesso: “che cosa dovevo fare ancora che non ho fatto?” Perché è successo tale disastro?
La seconda lettura fornisce alcune indicazioni su come non interrompere il cammino intrapreso.
Seconda lettura (Fil 4,6-9)
Fratelli, non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti.
E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.
In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri.
Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!
Paolo argomenta sulla base della propria esperienza, e rassicura la comunità riguardo al fatto che la “pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori”. La conoscenza e l’esperienza di ciò che Gesù ha operato in lui gli permette di porsi come riferimento e modello di vita ai membri della comunità.
La comunità è soggetta a tensioni interne di vario tipo, come il testo di domenica scorsa lascia intendere. Per Paolo è urgente ristabilire la pace e l’armonia nelle persone e nel convivio sociale. La comunità non può continuare in quelle condizioni e, meno ancora, è atta a testimoniare il fine dell’evento Gesù Cristo, per il quale ha consegnato la propria vita.
Pertanto l’apostolo esorta: “Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica”, ricordando loro che hanno davanti a sé lo stile di vita, le scelte, l’attività, l’esempio e la dedicazione come riferimento del loro agire, in modo da vivere e testimoniare l’autentica condizione di discepoli del Signore.
Evidenzia i valori etici e spirituali che i destinatari devono coltivare nel loro mondo interiore, indispensabile condizione per ricomporre la vita comunitaria e fraterna ostacolata dalla rivalità, dalla vanagloria, dal considerarsi superiore rispetto all’altro per interessi propri (cui fa riferimento anche la seconda lettura di domenica scorsa): “Quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri”.
Ciò è essenziale per la vita della comunità, la testimonianza della bontà e la validità del vangelo, pratica di vita che coinvolge altre persone nel dono del Signore, i cui effetti sono la pace di Dio che “custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Gesù Cristo”. Il dono proviene da Dio Padre, ma l’efficacia dipende dal rimanere in Cristo per l’azione dello Spirito Santo, maestro interiore che illumina e motiva l’attualizzazione degli effetti della morte e risurrezione di Cristo, ossia il vivere in sintonia con i valori sopra esposti.
Ricomposta l’armonia comunitaria e lo svolgimento adeguato della missione, ecco l’opportuna indicazione di Paolo: “Non angustiatevi per nulla…”, alla quale si possono ben associare le famose parole di Santa Teresa d’Avila: “Niente ti turbi, niente ti spaventi, solo Dio basta!”, “…ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti”.
Il dono ricevuto, motivo di ringraziamento, è lo sfondo sul quale valutare e formulare il contenuto della preghiera e della supplica a Dio, affinché ogni pensiero e azione sia coerente con lo sviluppo e crescita del dono nei suoi vari aspetti e nelle diverse circostanze.
La presenza di Cristo, l’azione di Dio Padre e dello Spirito, la preghiera, le suppliche e i ringraziamenti concorrono a promuovere la persona, la comunità e la società nell’accogliere l’avvento del regno di Dio, in modo che “il Dio della pace sarà con voi!”.
Il regno è partecipazione ad un banchetto di festa al quale tutti sono chiamati. Questo è l’insegnamento del vangelo di questa domenica.
Vangelo (Mt 21,33-43)
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
Continuando il discorso e gli ammonimenti rivolti ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo, Gesù pronuncia una sentenza sconcertante e inaccettabile alle orecchie delle autorità religiose e dei farisei: “Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che produca i frutti”.
Una pretesa inaudita quella di Gesù: “io vi dico!”. Essi pensano: con quale autorità, con quale fondamento? Pretesa blasfema di un soggetto, come Gesù, che non rispetta la legge e, addirittura, pretende di modificarla attribuendosi ciò che compete solo a Dio!
Gesù riprende la parabola della vigna della prima lettura e l’attualizza, aggiungendo il senso e la finalità della sua azione. La vigna è lasciata all’attenzione del popolo e, particolarmente, agli anziani e agli scribi che sono la guida. I frutti che i servi devono ritirare sono il diritto e la giustizia, la crescita e l’espansione del regno di Dio nella fraternità, solidarietà e responsabilità vicendevole. Ma sacerdoti e anziani, le autorità, non organizzano la vita personale e sociale in sintonia con l’accoglienza dell’avvento del Regno di Dio.
Al contrario, agiscono ingiustamente con oppressione, sfruttamento ed esclusione (gli acini acerbi della prima lettura). Non solo, bastonano e uccidono i servi con il proposito perverso di uccidere il figlio unico per appropriarsi dell’eredità: “Costui è l’erede, su uccidiamolo e avremo noi la sua eredità”. E così fecero: “presero l’erede lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero”.
La perversione ottenebra la loro mente al punto da non prendere in considerazione che mai raggiungeranno il fine proposto. La seduzione e l’ambizione di dominare, secondo i propri criteri, fa emergere la volontà e il desiderio a legge indiscutibile. È una forza irresistibile che fa perdere il buon senso e, con esso, la percezione della realtà in sintonia con la volontà del Padre.
La sete di potere e di dominio manda in pezzi l’integrità di servitori coscienti, al punto di impadronirsi, illusoriamente, di ciò che non è loro e mai potrà esserlo. Così finiscono per scambiare illusione e inganno per verità.
L’intento di appropriarsi di ciò che non appartiene loro, la seduzione è così intensa e dominante da non comprendere la domanda di Gesù su cosa farà il proprietario della vigna agli affittuari malvagi, al punto che essi rispondono sentenziando la propria condanna: “li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini”.
Gesù trae le considerazioni riguardo al suo futuro, citando le Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”. Ciò mostra il paradosso della sua missione, nel senso che la verità si mostra nel contrario.
Cosicché la missione di impiantare e accogliere l’avvento del Regno è ritenuta uno scandalo ma, poi, si manifesterà come meraviglia sorprendente ed espressione della volontà del Padre per la forza dello Spirito.
Poi aggiunge, rivolgendosi ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: “a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”; e aggrava ancora di più la loro posizione nei suoi confronti diseredandoli della promessa, che per loro è un’assurdità meritevole di morte.
La conversione richiesta da Gesù è il capovolgimento di criteri e di azioni che solo l’incondizionata fiducia può motivare e sostenere.