Suor Stephanie Berocan Nyamungu è una giovane e brava suorina delle Domenicane Missionarie della Famiglia (DMF). In questi giorni il loro Istituto ha avuto assemblee e incontri di preghiera e formazione nella nostra parrocchia si Sainte Anne. Ogni giorno suor Stephanie veniva per dirmi: “Siamo senza acqua e siamo in molte. Ci vuole acqua anche per la cucina. Puoi portarci i tuoi due rimorchi cisterna?” Mandavano lei la più giovane, e lei sfoderava la richiesta incorniciata da un sorriso accattivante, migliore di quello della Gioconda. L’ultimo giorno mentre si riempivano le cisterne, gli ho chiesto di raccontarmi qualcosa della sua famiglia e della sua vocazione, sicuro che avrei avuto delle sorprese.
Sr. Stephanie, immagino che tu non sia di Isiro. Da quale angolo sperduto del Congo sei uscita?
Vengo dalla diocesi di Bunia nella Provincia dell’Ituri, cioè da quell’angolo a nord est della RDC ai confini con l’Uganda. La mia famiglia è del territorio di Mahagi-Nyoka, siamo degli Alur congolesi.Oltre alle nostre lingue tribali, parliamo lo Swahili. Ho l’onore e l’onere di possedere un nome swahili di grande importanza, mi chiamo Nyamungu che, pensa un po’, vuol dire niente meno che “Figlia di Dio”. Beh tutti siamo figli di Dio, ma proclamarlo con il proprio nome è straordinario. Ho vent’otto anni e sono nata a Bunia, dove la famiglia aveva acquistato un terreno e dovepossediamo la casa. Papà Samuel e mamma Marie Goretti, da buoni cristianisi erano sposati in chiesa. Siamo della parrocchia della cattedrale in Bunia diretta dal clero diocesano.Ero animatrice e seguivo come “angelo del cielo” (gruppo animatrici della parrocchia) le “gioiose” (altro gruppo parrocchiale) cioè lebambine che animavano la Messa con la danza. Mio papà Samuel era autista di grossi camion e meccanico, e lavorava per varie società, trasportando bevande e altre mercanzie fino a Isiro, ritornando all’est poi con il camion carico di olio di palma. Nel 2015, fece unultimo viaggio da Bunia a Isiro,rientrando poi con un grosso carico di olio di palma. Cominciò a stare male e il suo addome si gonfiò molto. Giunto a casa, non mangiava e vomitava. Si parlo di avvelenamento. Dopo cinque giorni di questa malattia il papà morì. Fu un grande dolore. Stavo studiando e mi trovavo ancora in famiglia.
Quanti eravate in famiglia?
La mamma e papà hanno avuto nove figli, io sono la seconda, ma mia sorella maggiore è morta e così ho ereditato la primogenitura, che qui nella nostra Africa ti carica di responsabilità e impegni. A casa con la mamma restano tre sorelle e tre fratelli. Ho studiato a Bunia, fino a ottenere il diploma di Stato all’Istituto superiore di Pedagogia, specializzandomi poi nell’insegnamento del Francese. Anche alcuni dei mei fratelli hanno già ottenuto quella che in Italia chiamate “la Maturità”, da noi “Diploma di Stato”.
L’Est del Congo vive situazioni di guerra con ribelli di varie denominazioni che vogliono mettere le loro manacce sulle terre e le grandi ricchezze di quei territori. Com’è la situazione a Bunia e dintorni?
Anche a Bunia viviamo situazioni di gravi tensioni tra le tribù Ema e i Landu. Si tratta di una guerra etnica che colpisce la gente inerme e i villaggi. Molte persone sono assalite per strada e barbaramente uccise. Alcuni villaggisono stati incendiati e distrutti. Si vive l’insicurezza e la paura. La gente scappa in foresta o cerca rifugio lontano dalle proprie terre.Nelle loro incursioni violente abbiamo perso tutti i nostri zii, le zie e diversi cugini.Anche la “mamma Leki” (sorella minore della mamma) è stata bruciata assieme ai suoi figli nella sua capanna. La mia famiglia ristretta si è miracolosamente salvata. Nella zona di Bunia girano molti di questi ribelli che ti sparano facilmente. In città ci sono tre campi di rifugiati con molte persone, che vivono in situazioni pietose. Persone e bambini muoiono ogni giorno. Non hanno soldi per acquistare le bare e i bambini sonosepolti avvolti in foglie di banano, i più “fortunati” nelle “liputa” (stoffe usate dalle donne per vestirsi).
Non avevi paura a vivere queste situazioni rischiose?
Come potevo aver paura? Sono nata li, nella nostra terra , tra la nostra gente. Ci sono spesso sparatorie soprattutto la notte…Questi ribelli si drogano e si ubriacano diventano violenti e i rischi aumentano. Purtroppo ci si abitua e si continua a vivere con fiducia sperando in un futuro migliore. Per venire a Isiro non potevo prendere l’aereo per mancanza di mezzi, e sono venuta in macchina passando in una zona ad alto rischio dove sono state uccise molte persone. Viaggiammo in colonna con altri tre veicoli… per darci coraggio. Ci siamo imbattuti in diversi gruppi di ”Kadeko”, giovani e feroci ribelli sbandati, che uscivano dalla foresta ben armati. Non hanno scrupoli se decidono di tirarti una pallottola in testa. Ci hanno bloccati e ci hanno chiesto soldi. Uno di loro mi ha riconosciuto come suora e ha chiesto agli altri di lasciarci passare.Ho pregato un rosario dietro l’altro per tutta la strada confidando nell’aiuto della Madonna.Per evitare altri incontri pericolosi abbiamo sconfinato e percorso un bel po’ di strada in Uganda, evitando anche i posti di blocco di quel paese. Gli autisti spingevano gli acceleratori a tavoletta, tra salti, buche e botte. Tutti i passeggeri si sono armati di sacchetti e hanno vomitato. Io pure, pentita di aver mangiato qualcosa prima di partire da Bunia.
La mamma certamente sente la tua mancanza e si sentirà inquieta per i figli…
E’ logico che la mamma rimasta sola, avesse paura per noi. Si trova a far fronte alle diverse difficoltà contando sulle sue forze. Deve badare ai figli cercando i mezzi per vivere giorno per giorno. L’attività che gli permette di trovare i soldi necessari per la vita è di produrre una specie di birra ottenutacon il granoturco fermentato, la “mandrakpà”,che non è solo bevanda ma anche nutrimento.
Se non mi sbaglio a Bunia non c’è nessuna comunità di suore Domenicane Missionarie della Famiglia. Dove ti hanno pescato, o meglio, dove le hai pescate tu?
La mia famiglia ha solide basi cristiane e la mamma ci ha sempre spinte a partecipare attivamente alla vita parrocchiale, alla Messa, a tutte le celebrazioni e a far parte dei gruppi dei giovani. Quando ero in quarta superiore, sono entrata a far parte del gruppo vocazionale, di cui divenni la segretaria. Diciamo che il mio orientamento verso le DMF è risultato da ricerche su internet…potenza vocazionale del progresso. Ho preso i primi contatti con la Generale madre Graziella. Terminate le superiori papà voleva che continuassi iscrivendomi all’università. Gli dissi che mi sentivo chiamata a essere suora. Lui, pur non essendo contrario, insistette perché prima continuassi gli studi e mi perfezionassi per l’insegnamento della lingua francese. La mamma mi disse che era molto favorevole che una figlia rispondesse alla chiamata del Signore, e che partissi con la sua benedizione. Papà morì ma la mamma restò sempre favorevole alla mia risposta vocazionale.
Quali sono le difficoltà che hai trovato iniziando il cammino vocazionale?
Sono la “yaya” (primogenita) di tutti i fratelli, e tutti loro contano su di me. Tanto più ora che sono suora e che pensano abbia la possibilità di aiutarli per le spese per la scuola. Non è facile spiegare che non posso disporre di denaro come loro suppongono e desiderano. La mamma mi aiuta a far loro capire questa realtà. Recentemente sono stata a casa per un po’ di vacanze assieme alla mamma e ai fratelli e sorelle. Perché tutti i nostri parenti sono stati uccisi, non ho nessun altro luogo da visitare se non il cimitero e la casa della mamma, non possiamo contare sul aiuto di nessuno. La mamma deve farsi carico di tutto. Anche i campi che avevamo e che ci davano i prodotti necessari, sono stati presi per i rifugiati. La mamma è coraggiosa e paziente. Le vacanze a casa sono l’occasione per ascoltare lei e tutti i fratelli, e portare nel cuore le loro sofferenze e anche le loro gioie.
Da quanto tempo sei qui a Isiro tra le suore domenicane?
Sono a Isiro da quattro anni. Ho seguito il cammino di formazione religiosa per essere suora tra le Domenicane Missionarie della Famiglia. Il nostro è ancora un Istituto a diritto Diocesano e siamo un piccolo drappello di una trentina di suore. Viviamo da buone sorelle, anche se veniamo dai quattro angoli dell’orizzonte. Sono a mio agio in convento, mi trovo bene con le consorelle, e amo la mia vita o meglio la mia vocazione. Già questa è una bella testimonianza in un paese lacerato da guerre.
Qual è il tuo campo di apostolato a Isiro come suora?
Sono insegante alle elementari. Il nostro è un Istituto povero, tanto che non posso prendere mezzi per andare a scuola ma devo percorrere la strada a piedi ogni giorno. I vescovi delle diocesi di Bunia e Dungu vorrebbero che aprissimo delle comunità nelle loro diocesi, e anche diverse parrocchie ci richiedono. Devono avere pazienza e attendere. Abbiamo vocazioni di giovani ragazze e stiamo crescendo di numero. Guardiamo avanti con fiducia perché siamo nelle mani del Signore e lui conduce la nostra storia. Al di là delle ombre di morte che ci circondano, vedo un futuro luminoso davanti a noi. La luce viene dall’Alto ed è forte.