Nel 2012 problemi di salute mi obbligarono a riorganizzare la mia agenda quotidiana inserendo attività fisica motoria da svolgere in palestra e non lasciarla alla disponibilità del mio tempo libero. Mi iscrissi a un palestra prossima al luogo dove abito. Mi favoriva la facilità di muovermi a piedi e organizzarmi conforme gli impegni di lavoro. Decisi di frequentarla la mattina, a giorni dispari, svolgendo la mia attività fisica in anonimato.

Dopo qualche settimana, una signora incontrandomi in palestra esplose con un grido di sorpresa: “Padre, anche lei qui”. Terminò così, nel giro di poche settimane, il mio anonimato. Le chiesi come mai mi conoscesse? Mi rispose che era stata a messa il sabato precedente. La notizia si diffuse all’interno della palestra, al punto che non mi ha mai fatto problema che fosse stata svelata la mia identità e il servizio che rendevo. Tuttavia, ci tenevo ad aggiungere che ero missionario e avevo trascorso parecchi anni nel Nordest del Brasile.

Oggi, continuo a frequentare la palestra ma non è cambiata la mia postura discreta e rispettosa nei confronti di quanti usufruiscono di questo spazio ginnico. Nel tempo, questo ha permesso alle persone da un semplice dialogo iniziale, da una curiosità sulla missione in Brasile di stabilire un rapporto più intenso di amicizia e di fiducia arrivando a livelli di comunicazione molto profondi. L’ambiente della palestra è uno spazio eterogeneo, praticato da persone più diverse. Qualcuno è impegnato nella sua parrocchia, c’è qualche catto-talebano, ma una buona fetta si mostra indifferente nei confronti della fede, nonostante abbiano frequentato collegi cattolicissimi e conoscono della chiesa quella dei social, dei mass media.

Gente seria, impegnata professionalmente, attenta alla famiglia, ai figli affidati alla loro custodia. E’ la generazione del traffico, della mobilità, della fretta, che stenta a fermarsi, anche se la città è il luogo dell’incontro, della mescolanza umana, delle tante opportunità; persone in continua mobilità, veri acrobati del tempo, in eterna transumanza. Sono volti, storie, esperienze, relazioni, urgenze che pongono all’ordine del giorno alcune grandi domande esistenziali che sono ridiventate questioni “politiche”: il senso della vita e della morte, la speranza, il primato delle relazioni, la malattia di cui alcuni hanno fatto esperienza sulla propria pelle, la riconciliazione con il proprio passato.

Nel maggio del 2020, durante la pandemia, quando si aprivano spiragli per svolgere attività fisiche all’aperto e non in luoghi chiusi fu avanzata la richiesta di utilizzare il campo di basket della parrocchia. La comunità parrocchiale accettò la proposta per due ragioni: dare un segno di ripresa della vita sociale cittadina, dopo i mesi di duro lockdown; creare le possibilità per gli istruttori della palestra di esercitare la loro professione, una volta che erano rimasti bloccati senza lavoro retribuito. L’esperienza è andata avanti fino a settembre del 2021, quando si è tornati in palestra.

Per me la palestra è diventa un plus di parrocchia liquida, aterritoriale, perché uno spazio mobile, indefinito. Non avrei immaginato che sarebbe diventato luogo generativo di relazioni, uno spazio per testimoniare il Dio in cui credo. Un Dio che ama in totale gratuità, un Dio che non fa richieste del certificato di buona condotta, un Dio cui non interessa il tuo passato ma che prova immensa gioia nell’accoglierti come figlio e figlia. La presenza discreta, prossima, di dialogo semplice, disarmata, non dogmatica, di ascolto empatico mi ha posto nella condizione di accogliere richieste d’aiuto che normalmente sono ignorate o non sono esposte per la vergogna di essere condannati e che accrescono la vasta schiera degli incompresi, aumentando il disagio, la frustrazione o la carica di sofferenza. Ho incontrato alcuni di loro nelle celebrazioni di esequie, matrimoni, ricorrenze particolari. Mentre faccio i miei esercizi in palestra altri si avvicinano e mi chiedono la disponibilità per un colloquio penitenziale, un confronto su un problema familiare, una preghiera per un’intenzione particolare. Tale presenza non percepita ingombrante, fanatica ha reso fecondo ciò che sembrava arido, convenzionale, formale. Relazioni di fiducia, circolari, di affetto reciproco. Da tutto questo sono nate occasioni per condividere la “gioia del Vangelo” attraverso la benedizione della casa, la preghiera in famiglia, celebrazione del sacramento del battesimo, iscrizione dei propri figli ai sacramenti di iniziazione cristiana, sacramento della riconciliazione, richiesta di una guida spirituale, visita agli ammalati e celebrazione delle esequie di qualche loro genitore, sostegno a iniziative di solidarietà missionaria, momenti di fraternità, appoggio economico a famiglie in difficoltà della parrocchia.

Cercare il compito che la vita ci consegna, permette di vivere la vita con gioia anche nelle difficoltà. Esistono connessioni tra le persone che non si possano spiegare con la ragione ma con il cuore e la passione per la fraternità. Immagino che queste siano una di loro.

Antonio Guglielmi, missionario comboniano a Palermo

(Nella foto: da sinistra a destra, p. Antonio Gugliemi, p. Benedetto Giupponi e fr Claudio Parotti)