Padre Alessio Geraci

A partire dal cuore ……

Questa domenica, ventiseiesima del tempo ordinario, coincide con la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato.Le fredde statistiche ci dicono che nel 2022 oltre 1.000 donne, bambini e uomini sono morti o dispersi nel Mar Mediterraneo. Di questi, l’84% ha perso la vita nel Mediterraneo centrale. Papa Francesco nel suo messaggio per questa giornata ci ricorda, parlando del Regno di Dio e del progetto divino, che «nessuno dev’essere escluso. Il suo progetto è essenzialmente inclusivo e mette al centro gli abitanti delle periferie esistenziali. Tra questi ci sono molti migranti e rifugiati, sfollati e vittime della tratta. La costruzione del Regno di Dio è con loro, perché senza di loro non sarebbe il Regno che Dio vuole. L’inclusione delle persone più vulnerabili è condizione necessaria per ottenervi piena cittadinanza.Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati significa anche riconoscere e valorizzare quanto ciascuno di loro può apportare al processo di costruzione.Cari fratelli e sorelle, e specialmente voi, giovani! Se vogliamo cooperare con il nostro Padre celeste nel costruire il futuro, facciamolo insieme con i nostri fratelli e le nostre sorelle migranti e rifugiati. Costruiamolo oggi! Perché il futuro comincia oggi e comincia da ciascuno di noi. Non possiamo lasciare alle prossime generazioni la responsabilità di decisioni che è necessario prendere adesso, perché il progetto di Dio sul mondo possa realizzarsi e venga il suo Regno di giustizia, di fraternità e di pace».

E le letture della liturgia di questa domenica ci fanno capire sempre meglio che è solo attraverso l’incontro con l’altro che possiamo creare, oggi, qui e ora, le condizioni per entrare nel regno di Dio, un regno che si accoglie e costruiscetutti insieme, considerando l’altro non come una minaccia, ma come un dono, una ricchezza. Considerare quindi l’altro come un fratello, una sorella, da amare.

Nella seconda lettura di questa domenica, vediamo alcuni preziosi consigli di Paolo a Timoteo. Consigli che sono validi anche per ognuno di noi oggi. Vorrei sottolineare come inizia questa lettura: «Tu, uomo di Dio». Così è come Paolo chiama Timoteo e vorrei che ognuno di noi potesse sentirsi chiamato così perché in realtà riflette chi siamo veramente: uomini e donne di Dio.

Ecco il consiglio di Paolo: «tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza».Possiamo onestamente chiederci se questi suggerimenti nella nostra vita quotidiana li stiamo vivendo, li stiamo mettendo in pratica. Possiamo chiederci se siamo davvero uomini e donne di Dio, uomini e donne di fede, uomini e donne pazienti, pii, gentili. È così che la gente ci conosce? È così che le persone ci riconoscono? Come uomini e donne di Dio?

Vivere in pienezza questi consigli ci porterà a combattere «la buona battaglia della fede» per conquistare la vita eterna a cui tutti siamo stati chiamati.

Ma dobbiamo riconoscere che molte volte combattiamo altri tipi di “battaglie”, specialmente usando la polemica, perché vogliamo sempre avere la ragione dalla nostra parte e poter dire così l’ultima parola. Invece il nostro obiettivo, il nostro orizzonte, la nostra meta è già tracciata: la vita eterna. E l’esperienza di questi consigli che Paolo ci ha dato ci aiuta a camminare liberamente, gioiosamente e con leggerezza lungo questo cammino.

Il salmo di questa domenica è un grande aiuto per noi per capire sempre meglio chi è il nostro Dio. Il salmista, infatti, ci dice che «il Signorerimane fedele per sempre». Già questa prima affermazione basterebbe a comprendere la grandezza del nostro Dio, in un mondo dove la globalizzazione dell’infedeltà sembra sia sempre di più considerata come normale. La fedeltà di Dio verso di noi, inoltre, è un grande mistero: nonostante tutti i tentativi, e con ottimi risultati da parte nostra, di rompere l’alleanza, di tradire la sua fiducia e il suo amore, Dio ci rimane fedele.

Sì, possiamo affermarlo con certezza e possiamo dirlo a pieni polmoni: “nella buona e nella cattiva sorte” Dio mantiene perpetuamente la sua fedeltà.

Il Vangelo di questa domenica ci porta al capitolo 16 di Luca. È importante notare che la parabola che Gesù racconta non è rivolta ai suoi discepoli ma ai farisei, i quali,chiusi nella loro autoreferenzialità, dividevano il popolo in giusti e peccatori, puri e impuri.                Loro si consideravano giusti e puri, e gli altri secondo loro erano tutti peccatori e impuri. Pensavano di essere così vicini a Dio, ma in realtà… con il loro modo di agire e di pensare, Dio era molto lontano dal loro orizzonte…

I protagonisti di questa parabola, propria di Luca, sono due uomini,con caratteristiche ben precise: uno è ricco e l’altro povero. Uno vive nell’ostentazione della sua ricchezza, l’altro vive in estrema povertà. Uno è noto per il suo stile di vita, in quanto era sempre ben vestito e banchettava lautamente ogni giorno; l’altro è noto per la sua miseria. Uno, il ricco, non ha nome, e sappiamo bene che il nome è identità;la tradizione gli ha dato il nome di Epulone perché questa parola esprime bene il saltare da un banchetto all’altro. L’altro, il povero, invece ha un nome: Lazzaro, che sarebbe Eleazaro, che significa “Dio è il mio aiuto”. Il ricco Epulone, dall’alto della sua vita lussuosa, non era stato in grado di rendersi conto che il povero Lazzaro era lì ogni giorno, mendicando alla porta della sua casa. I loro sguardi non si erano mai incrociati perché il ricco aveva usato quello che molti chiamano l’ottavo vizio capitale: l’indifferenza. La morte arriva per entrambi e qui assistiamo a un totale cambio di ruoli: Lazzaro, la cui vita terrena è stata tutta una sofferenza, fu portato dagli angeli alla presenza di Abramo, invece il ricco, la cui vita è stata un continuo eccesso di piaceri effimeri, fu portato in un luogo di tormento. Il ricco a questo punto avanza una richiesta speciale ad Abramo: mandare Lazzaro ad allievargli le sofferenze, con un po’ d’acqua. Spesso i ricchi pensanoai poveri come degli oggettipossono usare a loro piacimento, per ottenere benefici, dimenticando che anche i poveri, sono dei soggetti e non degli oggetti. In molti luoghi ci sono situazioni di estrema povertà anche per questo: perché i poveri vengono sistematicamente “cosificati”, ignorati, trattati come schiavi, senza diritti, senza voce.

La risposta di Abramo è netta: «tra noi e voi è stato fissato un grande abisso». Possiamo chiederci chi ha creato questo grande abisso. È stato Dio? Non proprio! A crearlo sono state le nostre azioni, le nostre relazioni non proprio ottimali, con noi stessi, con gli altri, con la natura e poi con Dio. Sono loro che ci collocano in un posto o nell’altro. La capacità di avere empatia e compassione, di prendersi cura dell’altro, della sua vita e dei suoi bisogni, di essere corresponsabili e non più indifferenti, sono le cose che contano davvero. Il ricco, una volta capito che non poteva più fare nulla per migliorare la sua situazione, fa un tentativo per salvare la sua famiglia: chiede che vada Lazzaro, con la sua testimonianza, per evitare che i suoi cinque fratelli finiscano per condividere con lui i tormenti. Ma qual è il tormento più grande? Indubbiamente, la mancanza di comunione con Dio e con gli altri. Il tormento più grande è non poter godere della contemplazione del volto di Dio, tormento che il ricco si è procurato grazie alla sua incapacità di condividere e aprire gli occhi del cuore ai tormenti terreni di Lazzaro e dei tanti Lazzari del suo tempo. Ancora una volta Abramo è netto nella sua risposta: «hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». Infatti, non abbiamo bisogno di qualcuno che risusci dai morti e ci parli in modo che possiamo convertirci e cambiare vita, come propone il ricco. La Parola di Dio è sufficiente e ci porta alla solidarietà, all’empatia, all’inclusione, al rispetto, alla ricerca del bene comune. Bisogna ascoltarla, meditarla e metterla in pratica. Così facendo, capiremmo veramente che ciò che Dio vuole è un mondo migliore, più umano e fraterno, senza ingiustizie o pregiudizi o oppressioni, un mondo in cui tutti si riconoscano come appartenenti alla stessa famiglia: la famiglia umana, e che quindi vivano come fratelli tutti. Così facendo, vivremmo questo tempo di pandemia, di guerre, di profonda incertezza politica, sociale ed economica, in modo diverso, migliore, prendendoci cura concretamente l’uno dell’altro, vivendo ciò che papa Francesco ci chiede: la cultura della cura.

Questa parabola come abbiamo visto Gesù la rivolge ai farisei di tutti i tempi, coloro che in nome di Dio dividono, separano, classificano, credono di essere i perfetti e i santi, i veri ed unici conoscitori di Dio. Quanto c’è di fariseo nella tua vita?

Empatia, solidarietà, condivisione… ecco cosa è mancato al ricco della parabola, perché non aveva gli occhi aperti e le orecchie attente, non sapeva vedere i segni dei tempi. I tuoi sensi invece, come stanno? I tuoi occhi e soprattutto il tuo cuore, sono aperti per vedere cosa sta succedendo intorno a te e sintonizzare il tuo cuore con quello dei tanti Lazzari che continuano a giacere e implorare, a volte mancando di tutto, aspettando che qualcuno li riconosca come persone?

Buona domenica!

Con la missione nel cuore
Padre Alessio Geraci