Padre Alessio Geraci

A partire dal cuore ……

In questa ventiduesima domenica del tempo ordinario, il tema dell’umiltà è centrale nella vita del credente.

Nella prima lettura, la riflessione sapienziale del libro del Siracide, ci porta a considerare l’umiltà come qualcosa di necessario per i nostri rapporti sia con Dio che con i nostri simili.

È grazie all’umiltà che possiamo riconoscere il nostro posto nel mondo, senza pretese ambigue, riconoscendoci tutti figli di Dio, e non uguali a Lui.

È grazie all’umiltà che si generano meccanismi e dinamiche di solidarietà e di bene, perché vediamo l’altro come nostro prossimo e non come qualcuno inferiore a noi.

L’autore di questo libro sacro ci dice anche quanto che «grande è la potenza del Signore,e dagli umili egli è glorificato». La potenza del Signore si manifesta nella sua misericordia, per cui grande è la misericordia di Dio; ben sappiamo che tutta la Bibbia è immersa in questo concetto: la misericordia di Dio è più grande degli errori e degli orrori umani. Il primo atteggiamento di umiltà è quello di lasciarsi toccare da questa misericordia divina, di lasciarsi immergere in questo oceano d’amore che è Dio.

Solo gli umili possono comprendere pienamente questa misericordia, perché gli orgogliosi credono che tutto il bene che gli accade dipenda da loro stessi.Dobbiamo imparare ad essere umili e ad avere, come ci esorta questo testo, orecchi attenti, come i saggi. Orecchi attenti alla Parola di Dio, orecchi attenti al grido dei poveri e al grido della terra. Orecchi attenti per poter, in mezzo a tanto rumore, ascoltare la voce di Dio.

Il salmista presenta questa domenica Dio come «padre degli orfani e difensore delle vedove» Orfani e vedove erano due categorie di persone non protette, insieme agli stranieri. E nella Bibbia, Dio appare come Colui che si prende cura di loro, come il loro unico e ultimo baluardo di difesa, come Colui che è dalla loro parte. Lo sappiamo già, fin troppo bene: quando tutti ci abbandonano facendoci sperimentare una tremenda solitudine, Lui rimane con noi perché ama la nostra compagnia, perché è insieme a noi che vuole costruire un mondo migliore, più umano e giusto; è con noi che tutto ha un senso. Lui potrebbe fare tutto senza di noi, ma senza di noi, nulla ha senso per Lui. Il salmista nella sua riflessione aggiunge altre caratteristiche di Dio: «A chi è solo, Dio fa abitare una casa,fa uscire con gioia i prigionieri». A Dio non piace vederci tristi, oppressi, malati, che piangano dalla solitudine. Quando attraversiamo situazioni di tristezza, Dio stesso le attraversa con noi, perché è un Dio con noi, e non un Dio contro di noi.

Chi è oppresso, sappia con assoluta certezza che Dio combatte, aspetta, soffre con lui, con lei. Il popolo di Israele ha sperimentato Dio così: un Dio che protegge chi ha bisogno di protezione, che è rifugio e conforto, che è Colui che asciuga le lacrime e prepara una casa per chi ne ha più bisogno.

E noi, come sperimentiamo Dio? Non si tratta di ripetere automaticamente e freddamente ciò che abbiamo imparato dal catechismo o nei libri di teologia. Si tratta solo di aprire il cuore e lasciare che tutto scorra.

Nel Vangelo di questa domenica, Gesù, secondo quanto ci dice Luca nel suo quattordicesimo capitolo, entrando un sabato nella casa di un importante fariseo, aveva osservato come gli ospiti scegliessero tutti i primi posti.

E allora, attraverso una parabola, propone a questo fariseo e a tutti noi, che spesso agiamo come farisei moderni, il primo insegnamento. Meglio non sedersi nei primi posti quando siamo invitati a una festa, perché potrebbe arrivare qualcuno di più importante e saremmo costretti a rinunciare al posto e camminare imbarazzati, davanti a tutti, fino a raggiungere l’ultimo posto. Al contrario, Gesù propone di sedersi nell’ultimo posto: che bello e confortante sarà ascoltare la voce del padrone della festa che ci dirà davanti a tutti: «Amico, vieni più avanti».  Notate che il cammino che Gesù propone è esattamente l’opposto del cammino che questa società propone e impone, dove l’importante è apparire, l’importante è che gli altri vedano e riconoscano che siamo importanti, potenti, che siamo seduti nei “posti” importanti.

Pensiamo alle nostre celebrazioni liturgiche, specialmente quelle solenni: chi occupa i primi posti in chiesa? Le autorità, quelle persone che, per convenzione sociale, consideriamo come le più importanti! Riusciremo un giorno a far sedere gli impoveriti nei primi posti delle nostre chiese?

Il secondo insegnamento che Gesù ci dà oggi è davvero molto forte. Quando invitiamo qualcuno ad una festa, ad un matrimonio, non dovremmo invitare coloro che potrebbero invitarci a loro volta, ricambiando quindi l’invito: amici, parenti, vicini ricchi. Piuttosto, dobbiamo invitare coloro che non possono invitarci, coloro che non possono ricambiare l’invito: poveri, ciechi, storpi, zoppi.

Gesù ci dichiara felici (beati) perché agendo in questo modo entriamo nella logica della gratuità, poiché senza pagare abbiamo ricevuto l’amore di Dio, e senza farcelo pagare lo condividiamo. Beati saremo perché loro non possono pagarci. Infatti, loro (i poveri) non possono pagare, come siamo abituati con la nostra mentalità perché il denaro è diventato la misura delle cose in questa società dove tutto può essere comprato e tutto è in vendita. Pagheranno alla risurrezione dei giusti, quando saranno nostri testimoni “a favore”, quando diranno “Ho avuto fame e mi hanno dato da mangiare, ho avuto sete e mi hanno dato da bere”, come ci ha detto Gesù.

E tu, ti lasci influenzare dai criteri della società o segui Gesù e il suo Vangelo, nel momento concreto di agire?

Buona domenica!

Con la missione nel cuore
Padre Alessio Geraci