Padre Alessio Geraci

A partire dal cuore ……

Le letture della liturgia di questa diciannovesima domenica del tempo ordinario ci aiutano a riflettere sulla nostra fede.

Nella prima lettura, la riflessione sapienziale del libro della Sapienza ci presenta un interessante legame tra fede e speranza. I nostri antenati sapevano bene in chi avessero riposto la loro speranza:nel Dio liberatore, nel Dio capace di farli uscire dalla schiavitù dell’Egitto e dare loro la libertà e la terra promessa. E noi…in che cosa o in chi abbiamo riposto la nostra speranza?Soprattutto… c’è ancora spazio per la speranza nella nostra vita?

Per esprimere la forza creatrice della speranza, il Concilio Vaticano II sottolineava che «si può pensare legittimamente che il futuro dell’umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza» (GS 31). Ed è vero: in mezzo ad una pandemia infinita, alla comparsa di altri virus come, per esempio, il vaiolo delle scimmie,in mezzo alla follia delle guerre, in mezzo a tante notizie false che inondano social network e canali televisivi, in mezzo a questa profonda incertezza a livello politico, economico e sociale, abbiamo bisogno di avere speranza.       

A questo proposito, ci possono aiutare queste belle parole del poeta spagnolo Ramón de Campoamor (1817-1901): «La mia cara più fedele era la speranza… che di solito mi inganna e non me lo permette». Dio non ci inganna, perché è fedele… Lui è la Speranza… dobbiamo seguirlo se vogliamo costruire un mondo più umano e fraterno, più giusto e vivibile. E papa Francesco ci augura “di non lasciarci rubare la speranza” (EG 86). La speranza deve essere nostra fedele compagna, non deve mai abbandonarci… ma al contrario, dobbiamo incoraggiare gli altri con la nostra speranza. Che le persone che ci incontrano siano trasformate, come se avessero bevuto acqua pura e fresca da questa grande sorgente che è la nostra speranza.

In risposta a questa Parola, con il salmista anche noi possiamo dire: «Beata la nazione che ha il Signore come Dio,il popolo che egli ha scelto come sua eredità». Ma vale la pena chiedersi se oggi la nostra nazione, le nostre nazioni, confidano in Dio, se Lui è davvero il Signore dei nostri popoli, o se piuttosto coloro che ci governano, pensano di essere i proprietari e i signori dei popoli.

Con il salmista anche noi possiamo dire oggi che «il Signore è nostro aiuto e nostro scudo», ed è per questo che«l’anima nostra attende il Signore». Possiamo dirlo perché lo viviamo, lo sperimentiamo quotidianamente.

Nella seconda lettura, l’autore della lettera agli Ebrei presenta alcuni personaggi veterotestamentari, come modello ed esempio di fede, in particolare Abramo. In questa lettera ci viene presentata una bella descrizione della fede: «fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede».Quindi, la fede implica e presuppone, oltre alla speranza, anche la fiducia: la fede è sperare con assoluta fiducia, è essere totalmente convinti di qualcosa o di Qualcuno.

Nel Vangelo di questa domenica, nel dodicesimo capitolo di Luca, Gesù si rivolge ai suoi discepoli, di ieri, di oggi e di domani, e la prima parola che rivolge a loro e a noi è: «Non temere, piccolo gregge». Ed è bello poter vedere come ancora una volta Gesù ci dice di non temere, di non avere paura, di non essere angosciati. E soprattutto che si rivolge a una comunità, e non a una persona in particolare. La fede si vive in comunità e tutti noi formiamo la comunità dei discepoli missionari di Gesù.

Gesù ci dà anche la spiegazione del perché non dobbiamo avere paura: «perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno».Il Regno non è una promessa, una speranza, un sogno, è al contrario qualcosa che già sorge, che già accade, qualcosa che il Padre nella sua infinita bontà, ci ha già donato.

Gesù ci chiede di accumulare un tesoro sicuro nei cieli, che i ladri non saranno in grado di rubarci, né il tarlo riuscirà a rovinare. Un tesoro prezioso ed enorme, un tesoro inesauribile in cielo. Che cosa è questo tesoro? È vivere come figli amatissimi del Padre. È considerarsi figli, non schiavi, di questo Dio. È entrare nella dinamica del Regno, dove siamo tutti fratelli. Dove si trova questo tesoro, là saranno i nostri cuori.

Questa Parola che ci viene rivolta ci spinge a domandarci con sincerità dove troviamo i nostri cuori, verso cosa sono rivolti, verso chi?Di cosa è pieno il nostro cuore? C’è ancora spazio per Dio?

Molte volte ci sforziamo per ottenere ciò che la società considera un tesoro: ricchezza, fama, prestigio. Tutte cose che portano a vivere insicuri, perché pensare solo ai beni materiali, ci fa preoccupare per come difenderli dall’assalto dei ladri e dall’incuria del tempo. Gesù invece chiede a noi, suoi discepoli missionari, di saper aprire i nostri cuori, avere un cuore sempre disponibile, per poter condividere con tutti, specialmente con coloro che ne hanno più bisogno. Avere quindi, gli occhi e gli orecchi spalancati capaci di essere “reattivi” davanti i bisogni della gente. E considerare l’amore di Dio come l’unico tesoro: ma non come un tesoro da tenere sotto sorveglianza continua, ma come un tesoro da condividere. Solo così questo tesoro sarà inesauribile.

Ma dobbiamo essere preparati, vigili, perché non sappiamo quando verrà il Figlio dell’Uomo. Proprio come un servo non sa quando il suo padrone tornerà a casa. Il padrone vuole trovare i suoi servi in un’attesa vigilante, che porterà frutto. Non vuole trovare al suo ritorno servi che si ubriacano perché pensano che il padrone non sia ancora arrivato o tarderà ad arrivare. Gesù vuole discepoli che sappiano essere attenti, vigili, con occhi, orecchi e cuore aperto. Discepoli di cui il Maestro possa fidarsi.

Sei in grado di essere di questi discepoli che il Signore vuole, di essere un «amministratore fidato e prudente»?

Chiediamo oggi al Signore la grazia di saper essere sempre attenti, vigilanti, “operativi”, degni della fiducia del Maestro!

Buona domenica!

Con la missione nel cuore
Padre Alessio Geraci