Padre Alessio Geraci
A partire dal cuore ……
La liturgia di questa diciassettesima domenica del tempo ordinario, ci presenta attraverso le letture, l’urgenza e l’importanza della preghiera, e ci fa vedere diversi modi di pregare, presentandoci anche alcuni esempi concreti.
La preghiera di intercessione è molto importante, forse la più conosciuta e persino usata. Quante volte riceviamo richieste di preghiere: “prega per me per favore”, “prega per la mia famiglia”, “prega per questa persona”, “prega per questa situazione”, etc. Attraverso la preghiera di intercessione,chiediamo a Dio per ciò che realmente ci preoccupa, ci interessa, per ciò che realmente muove i nostri cuori. Lo facciamo con l’assoluta certezza che la nostra fiducia in Dio, oggetto delle nostre preghiere, è ben riposta.
Abramo è un grande esempio di intercessore, come vediamo nella prima lettura. Il libro della Genesi ci presenta due città, Sodoma e Gomorra, e i loro abitanti, i cui peccati agli occhi di Dio sono gravi. Abramo è interessato a salvare l’intera città di Sodoma. Persone che conosce e persone che non conosce. Ed è la sua perseveranza su cui mi soffermerei: Abramo non si stanca mai di rivolgersi a Dio per salvare quante più persone possibili. Questo è intercedere: presentare ad un’altra persona, una richiesta con la convinzione che questa persona possa aiutarci.
Il salmo responsoriale di questa domenica ci presenta un altro modo di pregare: l’azione di grazie. È bello vedere come i sentimenti del salmista siano “plasmati” in una composizione così bella e piena di gratitudine: «Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore». Il salmista spiega le ragioni di questa lode a Dio: il suo amore e la sua fedeltà;«Quando ti ho invocato mi hai ascoltato, hai accresciuto il coraggio nella mia anima».
La domanda di oggi potrebbe essere: siamo in grado di ringraziare il Signore per tutte le meraviglie che opera in noi e attraverso di noi?Siamo in grado di ringraziarlo per i tanti benefici ricevuti, per le grazie che Lui ci dona, per il dono della vita? O forse, una volta che chiediamo e riceviamo, ci dimentichiamo di ringraziare e dimentichiamo completamente il Signore… fino ad un nuovo bisogno di chiedere? Come iniziamo la nostra giornata e come la finiamo? Ringraziamo il Signore per un altro giorno di vita o pensiamo a tutto e a tutti tranne che a Dio?
Il Vangelo di questa domenica presenta Gesù come modello ed esempio di preghiera.
In realtà, la preghiera è sempre stata un atteggiamento costante di Gesù. Un atteggiamento che suscita l’ammirazione di tutti i suoi discepoli, di ieri, oggi e domani.
Luca, all’inizio del suo undicesimo capitolo, ci presenta questa richiesta dei discepoli di Gesù: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Una richiesta semplice ma piena di speranza. E Gesù comincia donando loro e a tutti noila preghiera del Padre Nostro. È più corta che nella versione di Matteo, ma ugualmente molto densa.
La prima parola è Padre. E fin dall’inizio ci permette di capire quale deve essere il rapporto con Dio: figli davanti al Padre nostro. Non è una divinità lontana che vive lassù in cielo ed è irraggiungibile. È un Padre, che conosce bene i problemi quotidiani dei suoi figli. Questa prima parola apre le porte a un cambio totale di relazione: ci presentiamo davanti a Dio con la fiducia dei figli. Con l’intimità con cui un bambino si rivolge a suo padre. Ecco perché la preghiera è aprire il cuore e parlare liberamente, senza vergogna, senza paura, senza barriere o ostacoli.
Gesù chiede poi nella preghiera che ci insegna, che il nome di Dio sia santificato; un nome che in realtà tante volte nel corso della storia, abbiamo usato, bestemmiandolo, per fare guerre, per uccidere, condannare, dividere, per ottenere potere. Santificare il suo nome significa vivere come figli amati di questo Padre. Dio è santo e noi che siamo suoi figli dobbiamo essere come nostro Padre: santi. Ricordiamo il detto che dice: tale padre, talefiglio!Quindi il suo nome è santificato quando realmente viviamo come suoi figli, come fratelli tra noi, amandoci e rispettandoci l’un l’altro. Da questo sapranno di chi siamo figli, a chi apparteniamo, allo stesso modo in cui un figlio quando commette qualche “marachella” quando è bambino, la prima cosa che si fa è andare dal padre. Ma anche in presenza di qualcosa di molto bello e lodevole, si dice che questo o quel valore, ad esempio l’onestà, è stato ereditato dal padre e, più in generale, dai suoi genitori.
Gesù chiede anche che quando preghiamo, diciamo:«venga il tuo regno». Ma non basta dirlo con le labbra: bisogna impegnarsi concretamente e quotidianamente affinché il regno di Dio possa essere accolto qui e ora in questo mondo, e attraverso di noi, diffondersi sempre di più, fino agli estremi confini della terra, perchéè un regno di pace, giustizia, fraternità, lealtà, misericordia, vita.
Ora Gesù pensa ai discepoli, che sono una comunità, pensa a ciò di cui possono aver bisogno quando diventano discepoli missionari e predicano il Regno di Dio: «dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,e perdona a noi i nostri peccati,anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,e non abbandonarci alla tentazione». Queste tre richieste rappresentano accoglienza, perdono reciproco e forza nelle difficoltà. Richieste che anche noi, come discepoli missionari del2022, presentiamo oggi al Signore per noi e per le nostre comunità cristiane.
E dopo averci donato il Padre Nostro, ci dona tre verbi chiave: chiedere, cercare e chiamare. Chiedere è tipico di chi non ha, di chi si sente bisognoso di qualcosa. Questo deve essere il nostro atteggiamento verso Dio quando si tratta di pregare. Chiedere a Dio perché ci manca davvero qualcosa, perché sentiamo e sappiamo che solo Lui può aiutarci.
Cercare…per trovare. Ma non con un atteggiamento passivo, ma con la sicurezza di trovare qualcosa o Qualcuno, l’oggetto della nostra ricerca. Chiamare, che rappresenta perseveranza, insistenza. E cosa chiedere a Dio? Con l’atteggiamento di chi cerca perché sa di poter trovare, con l’atteggiamento di chi chiede perché ne ha davvero bisogno, con l’atteggiamento di chi insiste perché è davvero importante, chiediamo il dono dello Spirito Santo, vero motore della Chiesa e di ogni nostra azione.
Con questo atteggiamento ci rivolgiamo in preghiera al Padre, ben sapendo che se gli chiediamo un pesce non ci darà una serpe, se gli chiediamo un uovo non ci darà uno scorpione, ma ciò di cui abbiamo veramente bisogno.
Gli chiediamo lo Spirito Santo per essere persone nuove, rinnovate e rinnovatrici, persone che, come ci dice Paolo nella seconda lettura, nella sua lettera ai Colossesi, sono morte al peccato e sono risorte con Cristo.
Celebriamo questa domenica la seconda giornata mondiale dei nonni e degli anziani; ci lasciamo accompagnare dalle parole di Papa Francesco nel suo messaggio per questa giornata:«Il mondo vive un tempo di dura prova, segnato prima dalla tempesta inaspettata e furiosa della pandemia, poi da una guerra che ferisce la pace e lo sviluppo su scala mondiale. Non è casuale che la guerra sia tornata in Europa nel momento in cui la generazione che l’ha vissuta nel secolo scorso sta scomparendo. E queste grandi crisi rischiano di renderci insensibili al fatto che ci sono altre “epidemie” e altre forme diffuse di violenza che minacciano la famiglia umana e la nostra casa comune.
Di fronte a tutto ciò, abbiamo bisogno di un cambiamento profondo, di una conversione, che smilitarizzi i cuori, permettendo a ciascuno di riconoscere nell’altro un fratello. E noi, nonni e anziani, abbiamo una grande responsabilità: insegnare alle donne e gli uomini del nostro tempo a vedere gli altri con lo stesso sguardo comprensivo e tenero che rivolgiamo ai nostri nipoti. Abbiamo affinato la nostra umanità nel prenderci cura del prossimo e oggi possiamo essere maestri di un modo di vivere pacifico e attento ai più deboli. La nostra, forse, potrà essere scambiata per debolezza o remissività, ma saranno i miti, non gli aggressivi e i prevaricatori, a ereditare la terra (cfr Mt 5,5)».
Questa domenica 24 luglio 2022 ricorre anche l’anniversario del martirio del servo di Dio padre Ezechiele Ramin, missionario comboniano, assassinato in Brasile il 24 luglio 1985, quando aveva solo 32 anni, per difendere la vita, la dignità e i diritti dei “senza terra”, riconoscendo in loro il volto sofferente di Cristo.
Lo ricordiamo con alcune sue frasi:«Qui molta gente aveva terra, è stata venduta. Aveva casa è stata distrutta. Aveva figli, sono stati uccisi. Aveva aperto strade, sono state chiuse. A queste persone io ho già dato la mia risposta: un abbraccio». «Ho la passione di chi segue un sogno Questa parola ha un tale accoramento che se la raccolgo nel mio animo, sento che c’è una liberazione che mi sanguina dentro.Non mi vergogno di assumere questa fratellanza. Uomini buoni o no, generosi o no, fedeli o no, rimangono fedeli. Noi siamo nel linguaggio del Signore». «Dopo che Cristo è morto vittima di ingiustizia, ogni ingiustizia sfida il cristiano». «Sto camminando con una fede che crea, come l’inverno, la primavera. Attorno a me la gente muore, i latifondisti aumentano, i poveri sono umiliati, la polizia uccide i contadini, tutte le riserve degli Indios sono invase. Con l’inverno vado creando primavera».
Che il suo esempio e la sua intercessione ci aiutino a vivere ogni giorno con impegno e passione il Padre Nostro!
Buona domenica!
Con la missione nel cuore
Padre Alessio Geraci