Padre Tonino Falaguasta Nyabenda
In questa Domenica l’insegnamento è chiaramente quello sulla preghiera. Che cos’è la preghiera per Gesù e come eseguirla. Il testo classico ci è donato nel Padre Nostro. Di questa preghiera abbiamo tre versioni: quella di Matteo, la più completa; quella di Luca (la leggiamo nel Vangelo di oggi. E quella che troviamo in un documento della prima metà del secondo secolo, la “Didaché”. Abitualmente noi preghiamo il testo di Matteo, che è il più lungo e forse il più completo. Quello di Luca ha uno scopo preciso. Egli conserva maggiormente il contesto storico. Mentre Matteo lo inserisce nel grande discorso programmatico di Gesù, che viene riassunto dalle Beatitudini.
Ma vorrei citare la versione della Didaché, perché provoca in noi una risonanza particolare. Eccolo: “Padre nostro che sei nel cielo / sia santificato il tuo nome / venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano,/ rimetti a noi il nostro debito / come noi lo rimettiamo ai nostri debitori, / e non farci entrare in tentazione, / ma liberaci dal male, / perché tuo è il regno e la gloria per tutti i secoli”.
La Didaché (o insegnamento dei dodici apostoli) invitava a pregare il Padre Nostro tre volte al giorno. Il Cristiano infatti deve pregare, a imitazione di Gesù, che, come sottolinea san Luca, molto spesso si ritirava in un posto solitario per pregare. “Mentre Egli stava pregando in un certo luogo” dice san Luca nel Vangelo di oggi (Luca 11, 1). Il che significa che la preghiera di Gesù si svolge in ogni luogo e in ogni tempo, perché Egli è l’oggi eterno di Dio e la sua preghiera è sempre comunione con Dio. Anche il discepolo deve imitarlo, sulla scia dei patriarchi e dei profeti.
Abramo ce ne dà l’esempio, nella prima lettura di oggi (Genesi 18, 20-32). Ma attenzione, la sua preghiera non è una richiesta di una grazia, di un dono, della riuscita negli affari, nella carriera, o nella politica. Abramo prega per gli altri. Questa è la grande rivoluzione. Intercedere per gli altri supera le leggi della natura. Il disinteresse e l’altruismo non nascono dalla carne e dal sangue (Giovanni 1, 13). Pregare per l’altro significa partecipare del suo stesso destino, della sua stessa vita. Questo è possibile solo per chi crede in Gesù. In Gesù infatti non esistono più gli altri (chiamati “goyim” in ebraico o barbari per i non Ebrei). Siamo tutti “figli di Dio”, come afferma l’apostolo Paolo: “Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio” (Romani 8, 14). Allora pregando non dobbiamo sprecare le parole, come fanno i pagani (Matteo 6, 7). Imitiamo Mosè per capire il mistero della preghiera, che per lui era un mettersi in relazione con Dio.
Il profeta Isaia (il deutero Isaia, del VI secolo prima di Cristo) poi, presentando la figura misteriosa del “servo di Yhwh (= Dio)”, insegna che questo servo non si limita a pregare per gli altri, ma si carica sulle spalle delle iniquità di tutti (Isaia 53, 1-12). Gesù va ancora oltre. Sulla croce infatti si carica dei peccati dell’umanità intera e prega per i suoi carnefici: “Padre – dice, – perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Luca 23, 34). Gesù diventa allora il maestro che dobbiamo ascoltare e imitare.
La nostra preghiera non può essere che quella del Padre Nostro. “Padre” dice il Signore. Non aggiunge “nostro”, nel Vangelo di oggi, per non far sorgere il sospetto che questo Padre sia solo di un popolo, di un gruppo di persone. Per san Luca il “Padre”, il Dio di Gesù, è universale. “Sia santificato il tuo nome” cioè che sia glorificato e che la sua paternità sia nota, amata da tutti.
“Venga il tuo regno”: è la sovranità di Dio che ci libera da ogni ingiustizia e da ogni schiavitù. “Il pane nostro di domani da’ a noi ogni giorno” (Luca 11, 3). Il pane è la vita, anche se questo pane è condito con sale, a causa dei nostri peccati. E’ pane nostro che va condiviso con i fratelli, perché è sempre dono del Padre. Questo pane è per il domani. La manna non si conservava; doveva essere consumata immediatamente (Esodo 16, 16-21). Il pane di domani è quello che il Padre ci offre oggi in Gesù. E’ il pane eucaristico. E’ la vita del Figlio, perché noi pure spezziamo questo pane e lo condividiamo con gli altri. E’ questo pane che ci nutre e ci dà la forza per arrivare al monte di Dio, come il profeta Elia (1 Re 19, 5-8).
“Rimetti a noi i nostri peccati, poiché anche noi stessi rimettiamo a ogni nostro debitore” (Luca 11, 3). Il Cristiano non è uno che si crede giusto; sa di essere peccatore, ma sa anche di essere perdonato. Dobbiamo pertanto perdonare, sennò non conosceremmo né il Figlio, né il Padre.
“Non indurci in tentazione” (Luca 11, 4). Chiediamo a Dio che ci protegga, per non soccombere nella prova. La tentazione viene dalla nostra debolezza. Ma Dio non permette che siamo tentati oltre le nostre forze, come afferma anche l’apostolo Paolo (1 Corinzi 10, 13).
E poi Gesù ci racconta una parabola per spingerci a non stancarci mai nella preghiera. Insiste infine a manifestare fiducia e libertà. Il Padre sembra restio a dare quello che chiediamo, perché non dà ciò che io voglio, ma ciò che a noi fa bene. Praticamente ci dona il suo Spirito che ci guida a compiere la volontà del Padre e a vivere in comunione con Lui nella felicità eterna del Paradiso.
Dante Alighieri (1265-1321), il sommo poeta, diceva: “E in la sua volontade è nostra pace” (Paradiso III, 85-87).
San Daniele Comboni (1831-1881) cercava in ogni momento della sua vita di compiere la volontà di Dio. Per questo pregava spesso e chiedeva preghiere per la sua opera. Così scriveva al Cardinal Alessandro Barnabò, prefetto di Propaganda Fide, il 26 novembre del 1871: “Essendo la preghiera il mezzo più sicuro e infallibile per riuscire felicemente nelle Opere di Dio, … ho sollecitato un gran numero di Vescovi e di comunità religiose delle cinque parti del Mondo per avere preghiere quotidiane e fervidissime per la conversione della Nigrizia”.
P. Tonino Falaguasta Nyabenda