Padre Vincenzo Percassi
La festa del Corpus Domini è la celebrazione di ciò che – come ricorda San Paolo – abbiamo “ricevuto” dal Signore, non semplicemente come un possesso da consumare ma come qualcosa così vitale da poter essere “trasmessa” agli altri, nel presente e in tutti i tempi, finche il Signore non verrà nella sua gloria. Nessuno ha così tanta vita da poterla trasmetter inesauribilmente. La situazione che i discepoli vivono nel Vangelo prima o poi tocca ciascuno di noi. Per quanto possiamo progettare o realizzare non avremo mai sufficienti risorse per comprare quel pane che garantisca una vita per tutti e per sempre. Invecchiando normalmente ci si accorge che non è così importante nella vita accumulare per sé quanto lasciare qualcosa dietro di sé, trasmettere qualcosa di un qualche valore alle generazioni che verranno. Questo nobile desiderio di ogni cuore sufficientemente consapevole della bellezza e del valore della vita si scontra inevitabilmente con i limiti delle possibilità di ciascuno e soprattutto con l’inevitabile interruzione della morte. L’eucaristia allora vorrebbe porre nelle nostre mani un surplus di vita che supera ogni nostra risorsa umana. È vero che i discepoli portano a Gesù i 5 pani e i 2 pesci disponibili, ma è anche vero che è guardando il cielo che Gesù benedice quei pani e li riempie di una vita che si moltiplica, o se vogliamo, che non si esaurisce.
Questa vita non appare diversa da quella che viene dal pane e dal pesce, eppure rimane misteriosa nella sua origine e nella sua capacità di saziare tutti senza diminuire. In effetti questa vita che viene dal cielo si amalgama così perfettamente con la vita mortale che conosciamo da portare San Paolo a dire: ogni volta che mangiamo e beviamo di ciò che Gesù ci ha lasciato noi proclamiamo la sua morte. Proclamiamo cioè il fatto che la morte – cioè tutto ciò che richiama la fragilità e la precarietà della vita che noi conosciamo in questo mondo e nella nostra esperienza storica – non è più quella di prima,perché la vita non è più quella di prima. Per il mistero dell’eucaristia la morte non è più perla morte ma per l’attesa, per la speranza, per una vita più feconda, per un amore che non muore e rinasce. In altre parole, il mistero dell’eucaristia e’ il mistero dell’assimilazione della vita risorta del cielo con il frutto della terra e il lavoro dell’uomo, con la vita del mondo, in maniera tale che ogni circostanza che a noi appare “mortale”, senza speranza e senza futuro, può essere vissuta con la consapevolezza che in quella circostanza c’è sempre di più del nostro sforzo e delle nostre risorse. C’è un amore creativo e inesauribile che germina testardamente come un seme nel deserto. Forse niente più dell’eucaristia esprime quel “tutto è connesso” di cui parla Papa Francesco nella Laudato sii. La connessione tra cielo e terra, tra materia e spirito, tra singolo e comunità, tra amore e responsabilità. Non è poesia. Vivere con questa consapevolezza e fare scelte conseguenti significa attivare un processo graduale di vera trasformazione personale e sociale nella direzione di una cultura della “generosità”. Come l’offerta di Melchidesech nella Genesi porta Abramo ad offrire la decima di tutto quello che aveva così l’offerta di Gesù nel deserto porta i discepoli a distribuire generosamente tutto quello che avevano. Anche tutti gli altri cambiano perché da folla anonima vengono a formare piccole comunità di 50 dove tutti sono “contati” e quindi dove ciascuno “conta”.
Dall’essere un insieme di persone che stanno in piedi ad ascoltare e quindi che vivono ancora relazioni precarie e superficiali accettano di “sedersi”, come una famiglia che impara sempre di nuovo a stare insieme, a parlarsi, a conoscersi in profondità, a convivere appunto. Dall’essere un insieme di individui stanchi dove ciascuno deve prendersi cura di sé stesso diventa popolo di Dio per il quale la sazietà è garantita da un pane condiviso e dal riconoscimento di una presenza, quella di Gesù, che ricorda loro la connessione tra la terra e il cielo, tra ogni uomo e il Padre.
L’eucaristia, infatti, non è un rito ma il segno di questa presenza reale. Come Melchidesech, re di pace, si mostra ad Abramo che è appena uscito vittorioso da un combattimento per invitarlo a benedire Dio, così nell’eucaristia noi riconosciamo Cristo che ci viene incontro, e che offrendo il pane e il vino che noi abbiamo portato, ci invita a benedire sempre il Padre, a riconoscere che sempre, nella nostra vita – e soprattutto forse quando combattiamo con tutto ciò che vorrebbe toglierci la pace, il riposo, la benedizione – non siamo mai soli o abbandonati. C’è sempre, invece, un Padre pronto a sostenerci con un surplus di vita che viene dal figlio suo risorto, finché non torni nella gloria. Finché la vita sarà più morte per sempre e l’amore senza più combattimento.