Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

 

La festa del Corpus Domini (= festa del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo) è stata celebrata per la prima volta a Liegi (Belgio) nel 1247. Poi il Papa Urbano IV (1261-1265) la estese a tutta la Chiesa. Anzi, prima chiese a san Tommaso d’Aquino (1225-1274), celebre teologo domenicano, di scrivere i testi liturgici, che ancora oggi utilizziamo. Si dice che questo Santo li abbia scritti in una chiesa, appoggiandosi all’altare e con la testa vicina al tabernacolo. I testi comunque sono di una rara bellezza e i contenuti di una grande profondità teologica.

Prima del 1247, la Chiesa celebrava il memoriale dell’Eucaristia il Giovedì Santo, così come lo si descrive nei Vangeli (Matteo 26, 26-29 e passi paralleli). Nel Libro del Deuteronomio, si danno istruzioni per la celebrazione delle feste di Israele, alle quali tutti dovevano partecipare. “Gioisci davanti al Signore, tuo Dio – vi si legge e il tutto è messo sulla bocca di Mosè, – tu, tuo figlio, tua figlia, il tuo schiavo e la tua schiava, il levita che abiterà le tue città, il forestiero, l’orfano e la vedova che saranno in mezzo a te” (Deuteronomio, 16, 11). I discepoli di Gesù, sull’esempio dei loro antenati nella Fede (= gli Ebrei), celebrando l’Eucaristia-Memoriale, hanno messo da parte le specie eucaristiche per chi non poteva partecipare, come i malati, i prigionieri, ecc. Da qui nei secoli XII e XIII è invalso l’uso di conservare le Ostie consacrate in un tabernacolo. E da qui anche la diffusione di pratiche di devozione, come processioni, adorazioni, benedizioni, quarantore, ecc. E’ chiaro che noi nell’Ostia consacrata e nel Vino eucaristico adoriamo la presenza di Gesù, immolato nel suo sacrificio redentore, come Agnello pasquale (leggi: Giovanni 19, 31-34).

Per meglio esprimere questa adorazione, è opportuno approfondire la nostra conoscenza dell’Eucaristia, come Memoriale della Pasqua del Signore Gesù. La parola greca “Eucaristia” significa: riconoscenza, gratitudine, da cui ringraziamento. Nella Bibbia, il ringraziamento nei confronti di Dio assume abitualmente la forma di una preghiera (Sapienza 16, 18; 2 Corinzi 1, 11; eccetera). In queste condizioni, il ringraziamento è accompagnato da una “anamnesi”, cioè dal ricordo di avvenimenti passati. Particolarmente questo avviene durante i pasti. Gesù, per esempio, quando ha compiuto la moltiplicazione dei pani e dei pesci, ha pronunciato una benedizione (Matteo 14, 19) e, per san Giovanni, un ringraziamento (Giovanni 6, 11).

L’istituzione dell’Eucaristia è avvenuta durante il pasto dell’Ultima Cena. Abbiamo quattro testi che ce ne parlano (Matteo 26, 26-29; Marco 14, 22-25; Luca 22, 15-20 e 1Corinzi 11, 23-26). E tutti i testi presuppongono una prospettiva pasquale. Si tratta di pasto dunque. L’Eucaristia è anche un rito di nutrimento. Nel mondo semitico della Bibbia, il nutrimento ha un valore religioso, perché il mangiare in comune, tra i commensali e tra essi e Dio, stabilisce dei legami sacri.

Nella Messa si parla di pane e vino che diventano corpo e sangue. Questa espressione, oggi, può far sorridere alcuni. Ma non pecchiamo di ignoranza. E’ necessario conoscere il mondo semitico. Per i Semiti corpo (carne dice san Giovanni) e sangue hanno un significato preciso. Il sangue è la sede della vita e il corpo indica tutto ciò che è opposto a spirito: quindi tutto ciò che è caduco, fragile, votato alla morte. Allora nell’Eucaristia, con il pane e il vino che diventano corpo e sangue del Signore, Dio si fa accessibile a noi, perché assume la nostra fragile umanità, nella quale trasfonde (= immette) la sua vita immortale, facendosi comunione con noi. E’ certo un mistero, ma lo si può capire in qualche modo. Dio infatti si avvicina a noi nel mistero della carne e del sangue di Gesù. Possiamo anche dire che Dio consegna a noi la sua vita, si incarna ancora una volta nella fragilità della Parola, nella povertà del pane e del vino. Egli si consegna a noi come nutrimento, diventando quindi per noi un esempio, invitati come siamo, ad imitarLo, per lasciarci mangiare e bere, cioè per vivere la nostra vita come dono.

Il Vangelo di oggi (Luca 9, 11-17) con la descrizione della moltiplicazione dei cinque pani e dei due pesci per cinquemila persone, ci porta a riconoscere Gesù come superiore al profeta Eliseo (2 Re 2, 9) e superiore addirittura a Mosè, perché Egli è Dio, che salva e sazia. Si allude evidentemente anche alla nostra celebrazione eucaristica. Infatti celebrandola, noi entriamo nel cuore del mistero di Dio, nella memoria della passione subita da Gesù per noi, nell’anticipo della risurrezione e nell’attesa del suo ritorno finale.

I Dodici ne continueranno l’azione nel tempo. Essi infatti sono i servi di questo banchetto. Convocano, accolgono, ricevono e distribuiscono a tutti il pane spezzato e moltiplicato, perché è donato dal Signore Gesù. Il cibo moltiplicato, donato e distribuito a tutti, ha il potere di preservare dalla morte chi lo riceve, e di far entrare nel mistero della Trinità. Gesù infatti ci fa capire e ci rivela il suo amore verso il Padre e noi diventiamo figli e figlie nel Figlio, per l’azione dello Spirito Santo. Il nostro Dio è un Dio Trino e Uno, cioè un Dio comunione, mistero nel quale, celebrando l’Eucaristia-Memoriale, tutti noi diventiamo “familiari” con Dio (Luca 8, 19-21). E quindi i discepoli di Gesù pertanto sono una famiglia di fratelli e sorelle.

San Daniele Comboni (1831-1881) insisteva molto, presso i suoi Missionari, sacerdoti o laici, perché fossero fedeli alle pratiche di pietà, fondamento di ogni vita apostolica. In particolare raccomandava l’adorazione eucaristica. Scrivendo al Cardinal Alessandro Franchi, prefetto di Propaganda Fide, il 29 giugno 1876, ha dato una descrizione particolareggiata di quante volte e quanto a lungo i suoi Missionari devono restare in adorazione, dinanzi a Gesù Eucaristia.

Le sue raccomandazioni valgono ancora oggi per tutti noi.

P. Tonino Falaguasta Nyabenda