Padre Luigi Consonni
Commento alle letture: DOMENICA DI PENTECOSTE -C-
(05/06/2022)
Prima lettura At (2,1-11)
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».
L’evento di Pentecoste – con l’invio dello Spirito Santo cinquanta giorni dopo la Pasqua – segna un momento molto importante e decisivo per l’umanità, preannunciato da Gesù i discepoli il giorno dell’ascensione e costituisce il sigillo finale della vita terrena di Gesù. La Pasqua è evento di liberazione dal peccato e dalla morte, Pentecoste è la scelta di restare liberi per amare come Dio ama. Gli eventi di Pasqua e Pentecoste sono intimamente connessi.
Ogni manifestazione di Dio è improvvisa, senza alcun avvertimento. Essa irrompe in modo sconcertante nell’ambiente, coinvolgendo e sconvolgendo la vita delle persone a cui è diretta. È il caso dei discepoli che “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”, a porte chiuse per paura dei giudei, perché la pena di morte di Gesù era valida anche per loro.
Per essi è difficile raccontare esattamente quel che è successo, non trovano parole adeguate e ricorrono a comparazioni quali: “quasi un vento che si abbatte impetuoso” e “apparvero loro lingue come di fuoco”. L’evento va molto oltre la loro capacità di descriverlo perché porta in sé l’insondabile complessità del mistero di Dio.
Le ‘lingue’ si posano su ciascuno di loro “e tutti furono colmati di Spirito Santo”. Esse sono il segno esterno dell’opera di Dio che orienta la persona, la comunità credente, l’umanità intera al fine da Lui stabilito riguardo all’immersione nella sua gloria con l’instaurazione del suo Regno, l’avvento della sua sovranità.
Colmati dallo Spirito: cosa ha significato per loro in termini di comprensione dell’evento pasquale? e che ricaduta ha sul comportamento riguardo alla missione affidata loro da Gesù?
Si tratta del rovesciamento dell’idea predominante sulla persona e attività di Gesù che, da maledetto da Dio – tale era il significato del crocefisso -, è annunciato e costituito Salvatore e il Messia. Nessuno se lo aspettava, tuttavia per loro il significato dell’evento rimane appannato, un misto tra stupore e incredulità. Lo Spirito – fuoco purificatore – declina in loro la comprensione della portata dell’amore di Dio, della missione del Risorto e, con essa, apre il cuore e la mente a ciò che consegue nell’ambito individuale e sociale.
Il rovesciamento riguarda la comprensione della persona e l’attività di Gesù, e il coinvolgimento li porterà ad annunciare e testimoniare il significato dell’insegnamento e della pratica del Maestro. È lo stimolo “del vento impetuoso” – la forza irresistibile e incontrollabile – delle “lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro” – che crea lo spazio nella mente; nel cuore di ognuno è attiva la comprensione dell’evento e il coinvolgimento nel continuare la missione di Gesù Cristo a favore dell’umanità.
L’esperienza degli apostoli è – o meglio dovrebbe essere – quella di ogni credente che, per l’accoglienza dell’azione dello Spirito, elabora l’autenticità di sé stesso nel fare propria la dinamica dell’amore con cui è amato dalla Trinità, da Dio. L’effetto instaura la capacità di gestire ciò che è specifico della propria cultura, del patrimonio personale e sociale, a favore del rapporto simbiotico di sé stesso, della comunità a cui appartiene, e dei destinatari appartenenti ad altre culture.
Con altre parole, l’azione dello Spirito attiva la dinamica della comunione fraterna e solidale e, nello stesso tempo, lo sviluppo, l’approfondimento di quello che di più vero appartiene alla persona, nel rendere sempre più qualificati i rapporti interpersonali e sociali, nell’orizzonte della responsabilità e della libertà per amare, ambito dell’avvento del regno.
Tale dinamica, correttamente compresa ed elaborata dallo Spirito, incide sui destinatari nel rielaborare i rapporti fra loro, della loro cultura, nel rispetto della propria autentica specificità. E, allo stesso tempo, apre la mente e il cuore al dialogo con altre realtà nel comprendere che, quanto avviene in loro nell’insieme del senso ultimo e profondo, è anche patrimonio di altre culture.
Ecco, allora, emergere lo stesso stupore dell’evento iniziale: “E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?”, associato e sostenuto dalla percezione che “li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio”. Le grandi opere di Dio sono tese alla fraternità universale, per la pratica del diritto e della giustizia di Dio che convergono nella ricapitolazione in Gesù Cristo per la comunione universale delle diversità, ricapitolazione fautrice di vita in abbondanza e di senso veritiero del loro specifico cammino.
Vivere nello Spirito per Cristo, con Cristo e in Cristo, è abbandonare criteri che si oppongono a tale progetto, quello che Paolo nella seconda lettura indicherà come “carne”.
Seconda lettura (Rm 8,8-17)
Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.
Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.
E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Il brano è una pagina molto importante e riguarda il coinvolgimento di Dio con l’uomo, e viceversa, per mezzo dello Spirito Santo. Paolo afferma la presenza dello Spirito nel credente, “dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi”. Lasciarsi guidare dallo Spirito è coinvolgersi nella vita divina, immergersi nel mistero di Dio e prendere atto del dono, del rapporto filiale: “tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio”.
Lo Spirito, il Padre e il Figlio, ovvero la Trinità, tramette in sovrabbondanza il loro amore nel sostenere la dinamica del dono nel discepolo e nella comunità, nell’attivare in essi la spirale in continua espansione dell’inesauribile amore, essenza ed esistenza della propria realtà trinitaria: il mistero di Dio che tutto crea e coinvolge nella pienezza di vita senza fine.
Di conseguenza, “dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi”, i discepoli sono in condizione di svolgere e continuare la missione del Maestro, previa la libera adesione al dono della comunione con Gesù, al suo insegnamento, alla sua pratica in favore dell’avvento del regno di Dio. Allo stesso tempo, nel loro intimo si espande e si consolida il senso di appartenenza mutua. L’esito declina in loro la chiamata e la determinazione alla causa del regno, perché coinvolti dall’azione dello stesso Spirito.
L’immediato effetto è il riscatto dal peccato e la rigenerazione della vita – “Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto al peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia” – che opera, per così dire, su due rotaie parallele: una è “il vostro corpo è morto al peccato” e, pur essendo sottoposto alla tentazione, alla seduzione del male, il credente ha in sé gli antidoti per non cadere o lasciarsi trascinare nel peccato, l’altra è rigenerazione della “vita per la giustizia”, nel fare nuove tutte le cose – personali e sociali – quale dono escatologico dell’evento del regno di Dio, fautore della pace e dell’armonia tramite l’intelligenza della fede in Gesù Cristo, che sostiene e motiva il coraggio e l’audacia nell’elaborare nuove risposte creative, in attenzione all’ambiente, al contesto e alla circostanza. In tal modo l’evangelizzatore stesso diventa la scrittura della fede.
Tale condizione lo rende somigliante a Gesù Cristo nel praticare la giustizia di Dio, che qualifica il rapporto con gli altri, con la società e con il creato in sintonia con la volontà del Padre. Questo perché “se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per i peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia”.
Paolo, rivolgendosi ai membri della comunità afferma: “Se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi”. Il condizionale – Se – conforma l’essere e l’identità del discepolo, sostiene la vita, motiva la pratica di ognuno di loro e della comunità in sintonia con la volontà trinitaria.
Quello che Dio opera in loro è efficace nel modellare il cuore e la mente nello spazio dello Spirito, e sintonizzare con il progetto evangelizzatore in attenzione e comprensione del libero coinvolgimento per la dinamica disposta dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo.
Ne consegue che “noi siamo debitori non verso la carne”, ossia verso i criteri che non rapportano al disegno della volontà di Dio e provocano la morte (si riferisce non solo a quella fisica, ma soprattutto alla seconda morte segnalata dall’Apocalisse, ovvero alla perdita di umanità, la morte psicologica, sociale, morale. Questo perché non solo atrofizza la vita, ma la spegne… Ma non è Dio che castiga, è l’opera della persona con sé stessa), perché “Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio (…) eredi di Dio, coeredi di Cristo”.
Prova di autenticità è lo stile di vita e lo spendersi per la causa del regno, nello stesso modo in cui Gesù ha agito e testimoniato: “se davvero prendiamo parte delle sue sofferenze per partecipare della sua gloria”.
Tutto dipende dalla qualità dell’imitazione di Cristo, in sintonia con l’esortazione del Vangelo.
Vangelo (Gv 14,15-16.23b-26)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
Gesù, il Giovedì Santo, dopo aver lavato i piedi ai discepoli disse: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Il condizionale appunta all’imprescindibile, l’amore nei suoi riguardi. Non si tratta semplicemente di ricaduta nell’ambito affettivo, emozionale e psicologico, ma di sintonia e identità con il progetto, la causa per la quale consegna sé stesso.
Determinante è l’osservanza della “mia parola”, da intendersi non solo come discorso e istruzione da parte di Gesù, ma l’unione di parole e fatti intimamente connessi, in modo che le parole illustrano i fatti e quest’ultimi testimoniano la validità dell’insegnamento. La parola è l’evento della sua persona nel compiere la missione.
Nella circostanza entra in gioco la persona del Padre, la cui volontà è il dono dell’avvento del regno per mezzo della missione del Figlio. “il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. È la fonte di comunione nella vita trinitaria, il punto alto dell’esperienza di Dio nella vita giornaliera: il credente abitato dalla Trinità.
Nell’osservanza dello stile di vita, della filosofia, delle scelte e del comportamento di Gesù il credente non è solo; può contare sull’intercessione di Gesù Cristo presso il Padre affinché invii lo Spirito: “io pregherò il Padre ed egli invierà un altro Paràclito – avvocato, consolatore, aiuto -; “altro” nel senso di diverso, ma non estraneo da lui e dal Figlio – perché rimanga con voi sempre”.
Gesù sta per lasciare il mondo e la sua presenza è assicurata dallo Spirito Santo, intimamente unito a Lui: “lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome”. I due, con il Gesù storico, umano – immenso nell’amore per l’avvento del Regno -, sono gli agenti della risurrezione, la presenza corporale di Gesù nella gloria del Padre.
Ebbene, lo Spirito Santo “vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho insegnato” in merito al corretto svolgimento della missione.
Nello svolgimento della missione l’azione pastorale di Gesù non fu compresa dagli apostoli e dai discepoli. Quante volte Gesù è frustrato e deluso per la loro incomprensione nonostante dedicasse loro tempo e momenti particolari di spiegazione e insegnamento del suo modo di fare e di procedere!
Tuttavia essi non lo abbandonano, e continuano con Lui fino alla fine. Fine che, nell’evento finale della morte, si rivelerà molto più sconcertante e destabilizzante di tutto quello che fino allora avevano vissuto.
Solo lo Spirito, presente e attivo nella vita e nella missione di Gesù, istruisce e fa comprendere loro la portata e la grandezza dell’attività pastorale e la finalità di essa. Il che avviene quando, compiuta la missione terrena, Gesù ritorna con la sua umanità redenta nella vita trinitaria.
Lo Spirito è il “maestro interiore”, l’agente per il quale la Trinità trasmette l’intelligenza, l’audacia, la creatività e il coraggio di Cristo per rispondere adeguatamente, e creativamente, al farsi della salvezza – l’avvento della realtà del regno di Dio nel contesto specifico, nelle diverse circostanze e avvenimenti della vita personale, familiare e sociale, per raggiungere il fine della vita per ciascuno e per la comunità intera. Tale meta è anticipo e partecipazione dell’evento alla fine dei tempi, che abbraccerà tutto e tutti.
Nello svolgere la missione i discepoli sono sale, fermento e luce per il mondo, o meglio la parte di esso che è distante dall’amore trinitario. La loro azione testimonia che ogni diversità ritrova, a livello sempre più profondo, l’autenticità di sé stessa nella pluralità delle culture e nella complessità del vivere sociale, per la pratica e l’audacia ri-creativa dell’amore trinitario nel quale è immersa per la fede.
Nella diversità è costituita e valorizzata la soggettività responsabile e autonoma dell’evangelizzazione, affinché la buona notizia diventi buona realtà di comunione fraterna e fonte di gioia nell’esistenza temporale. Ma è necessario che il discepolo, la comunità, non perdano il sapore del sale, la forza del fermento e la luce della gioia nel vincere il costante pericolo dell’autoreferenzialità individuale e comunitaria.
È una delle sfide della nuova evangelizzazione.