Padre Tonino Falaguasta Nyabenda
Pentecoste è una parola greca e significa 50. Appunto perché celebriamo la Pentecoste proprio 50 giorni dopo la Pasqua. In origine era la festa delle messi e si offrivano allora le primizie (Deuteronomio 34, 22). Si celebrava anche in questa festa l’anniversario dell’Alleanza Sinaitica, conclusa una cinquantina di giorni dopo l’uscita dall’Egitto, sul monte Sinai (Esodo 19, 1-16). Per noi Cristiani, la Pentecoste è l’ultimo momento del Mistero Pasquale, vissuto da Gesù. In dettaglio ecco i cinque momenti: la Passione, la Morte, la Risurrezione, l’Ascensione e appunto la Pentecoste. Alla Pentecoste ci viene donato lo Spirito Santo. In questo modo noi scopriamo il mistero della Santissima Trinità: e cioè Dio che è Padre che ama e genera il Figlio e insieme ci inviano lo Spirito Santo (Giovanni 14, 26).
Nei Vangeli la Pentecoste ci viene presentata in una duplice maniera.
San Luca segue lo schema delle sette settimane (= 50 giorni).
San Giovanni invece descrive il dono dello Spirito Santo già dall’alto della Croce. Gesù infatti, dopo aver detto: “Tutto è compiuto!”, chinò il capo e “consegnò lo Spirito” (Giovanni 19, 30).
San Luca, nel capitolo secondo del libro degli Atti, descrivendo la Pentecoste (= Prima lettura della Messa del giorno: Atti 2, 1-11), si rifà alla manifestazione di Dio sul Monte Sinai: tutta la natura partecipa alle nozze di Dio (= alleanza) con il suo popolo. Israele riceve allora la Torah (= la legge) e Mosè scende dal Monte Sinai con le due tavole di pietra, sulle quali sono scritte le dieci parole (= dieci comandamenti). Ma nel Nuovo Testamento,
Gesù, dall’alto della Croce sul Monte Calvario, ci dona la Nuova Alleanza, non più fredda come pietra, ma scritta su cuori di carne, grazie all’effusione dello Spirito. Già il profeta Gioele (V secolo) lo aveva preannunciato (Gioele 3, 1) e il profeta Ezechiele (620-570 prima di Cristo) aveva scritto che il cuore di pietra sarà sostituito con un cuore di carne. Fuori metafora, tutto ciò significa che l’uomo e la donna, per intervento dello Spirito di Dio, sono stati purificati e resi capaci di essere fedeli all’Alleanza (Ezechiele 36, 24-27). Consegnando il suo Spirito a sua Madre e all’apostolo Giovanni, Gesù pone termine alla condanna dell’umanità, ormai salvata dalla sua immolazione sulla Croce come Agnello pasquale. Ai primordi dell’umanità, il mito della torre di Babele (leggere la prima lettura della Messa vespertina: Genesi 11, 1-9) spiega il peccato dell’uomo; cioè il tentativo di raggiungere il cielo, residenza di Dio, sostituendosi a Lui e quindi negando la sua esistenza. La conseguenza è stata la divisione, la confusione delle lingue, l’incomunicabilità tra le persone, l’inimicizia, la ricerca del dominio sull’altro con la violenza, gli odi, la guerra, ecc. Ora, secondo il racconto di san Luca, i popoli del Mondo capiscono il discorso degli Apostoli, anche se sono Galilei (Atti 2, 7-11) e fanno esperienza di comunione. La Pentecoste allora è davvero la Festa delle Nozze di Dio (= Alleanza) con tutti i popoli della Terra. Nessuno è più straniero nel Regno di Dio. E la Chiesa diventa il Sacramento di questa nuova realtà, come insegna chiaramente il Concilio Vaticano II (1962-1965). Basta leggere Lumen Gentium (= costituzione sulla Chiesa 9, d). Nel Vangelo di oggi (Giovanni 14, 15-16.23b-26) Gesù capisce lo smarrimento degli Apostoli, perché ha detto loro che li lascerà da soli. Ma non devono avere paura, perché, grazie alla preghiera del Signore, il Padre manderà il Consolatore (Giovanni 14, 16), il Paràclito, lo Spirito di Verità, che abiterà nei nostri cuori e ci ricorderà tutto ciò che Gesù ha detto e ha fatto. Anzi Egli sarà la forza che ci permetterà di diventare e di essere veri discepoli del Cristo.
Giustamente, perché, come Egli stesso ha detto: “Io-sono la via, e la verità e la vita” (Giovanni 14, 6). Che cosa significa? La via non è una strada, ma una persona da seguire (= Gesù); la verità non è un concetto, una ideologia, ma un uomo da frequentare; la vita non è un dato biologico, ma un amore da amare. La via, di cui parla Gesù e che attribuisce a se stesso, fa sempre riferimento alla casa paterna, verso la quale sempre si cammina. La via nella tradizione biblica è la Legge Mosaica, ma ora la vera via è Gesù che ci riporta a casa, quella di suo Padre. La verità non dobbiamo cercarla sui libri, ma vederla nella carne del Figlio che ci fa vedere il Padre. La vita è l’amore tra il Padre e il Figlio che Gesù ci ha testimoniato vivendo in mezzo a noi e ce lo ha donato morendo. L’unica cosa che dobbiamo fare è amare il Signore, osservando la sua parola. Allora diventeremo anche noi “persone risuscitate”, persone con una vita nuova, persone con una vita “divina”. Gesù infatti ha detto: “Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio lo amerà e verremo da lui e faremo dimora presso di lui” (Giovanni 14, 23). E’ davvero l’infinita dignità della nostra vita!
Essere Cristiani non è seguire un maestro, avere una guida spirituale, vivere con uno staretz, appartenere a un guru che impartisce la “diksa” induista… Essere Cristiani è fare l’esperienza di Dio. E viverla! E, grazie alla presenza del Paràclito, lo Spirito Santo inviato dal Padre e dal Figlio, trasforma ognuno di noi in “Cristofori”, cioè portatori di Cristo, perché figli e figlie del Padre. “Veni, Sancte Spiritus!” – canta la Sequenza odierna, attribuita al poeta inglese Stefano di Langhton (XII secolo): “Vieni, Spirito Santo!”. E così continua: “Da virtutis meritum, da salutis exitum, da perenne gaudium!” (= Donaci virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna!).
San Daniele Comboni (1831-1881) non si nascondeva gli effetti della evangelizzazione in Africa Centrale, che avrebbe portato anche e certamente la rigenerazione. Egli diceva infatti a don Giuseppe Pennacchi, superiore di un seminario a Roma, il 26 novembre 1877: “Abbiamo cento milioni di Africani da guadagnare a Cristo. Sono infelici, ma aspettano da noi parole di salvezza e apportatrici di gioia…”.
P. Tonino Falaguasta Nyabenda