Padre Luigi Consonni
Commento alle letture: VI DOMENICA DI PASQUA -C-
(22/05/2022)
Prima Lettura (At 15,1-2.22-29)
In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati».
Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione.
Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agl’idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».
Per la prassi abituale e le idee consolidate dalla tradizione le novità, a volte, sono bene accette, soprattutto quando sono in sintonia con le attese; altre volte, quando rompono schemi ritenuti immutabili e inattaccabili, sono motivo di forte tensione, di preoccupazione e sconcerto. Trovare una soluzione non è facile a causa di interessi e situazioni ritenute inconciliabili.
È il caso del brano odierno. La posta in gioco è seria: “Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati”. È in gioco la salvezza individuale e collettiva del popolo eletto e l’ingresso nel regno di Dio con l’avvento del Messia.
Parallelamente anche nella Chiesa, sino a qualche decennio fa, è maturata una convinzione del genere. Si insegnava che senza il battesimo (la nuova circoncisione) e fuori della Chiesa (il nuovo popolo eletto) non c’è salvezza. Pastoralmente era considerato peccato grave da parte dei genitori ritardare il battesimo del neonato, giacché la morte, sempre in agguato, lo avrebbe escluso dalla salvezza relegandolo al limbo (ultimamente cancellato). Era un peso sulla coscienza dei genitori e della chiesa la morte del bambino senza battesimo.
La circoncisione era segno visibile dell’alleanza con Dio, dell’appartenenza al popolo d’Israele, e obbligava al rispetto della legge mosaica. Ogni adulto pagano doveva sottomettersi alla circoncisione nel momento della conversione al Dio d’Israele: era impossibile la salvezza per un pagano non circonciso.
La domanda che ci si poneva in quei tempi era: è necessario per un pagano diventare giudeo – essere circonciso – o basta la fede in Gesù Cristo sigillata dal battesimo? Gesù non aveva dato alcuna indicazione al riguardo, aveva solo detto di battezzare tutte le genti. Ora, mettere da parte la tradizione basata sull’autorità di Mosè, non era irrilevante né, tanto meno, evidente per tutti.
Grande era la tensione nelle comunità appena sorte, per cui la questione non poteva essere risolta dalla comunità locale. Era necessario l’intervento dell’autorità centrale degli apostoli e degli anziani; cosicché fu deciso che “Paolo e Bàrnaba e alcuni altri salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione”.
Era in gioco, oltre alla salvezza anche l’unità della comunità attorno a un aspetto decisivo e determinate della propria identità, anche la pastorale nel suo insieme. La risposta fu audace e coraggiosa: no alla circoncisione. Le conseguenze furono enormi per lo smarcarsi dal giudaismo, e più avanti tale decisione determinerà la rottura con esso.
Se non fosse stato così la chiesa sarebbe un’appendice del giudaismo. Da allora, la chiesa si reggerà sempre più per conto proprio.
Nonostante la decisione netta e chiara occorrerà tempo perché sia assunta e assimilata nella pastorale della comunità. Rigurgiti di conservazione con tutta la loro forza, tensione, polemiche e resistenze sono registrati nei testi del nuovo testamento.
Particolarmente significativo è il riferimento che motiva e argomenta la risposta: “È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo…”. Il loro riunirsi in nome del Signore – motivato dalla fede nella Sua presenza che Gesù aveva promesso prima di tornare al cielo – e la decisione stessa viene fatta discendere dallo Spirito Santo.
Con quale percezione affermano l’azione dello Spirito in loro? Probabilmente è sorretta dall’esperienza di Pentecoste che, come allora, stravolse la loro vita dopo lo sconvolgimento dell’evento pasquale. Pertanto, nell’elaborare la risposta, attribuiscono allo Spirito Santo la comprensione della portata e l’ampiezza delle parole del Risorto.
Lo Spirito fa di loro persone coraggiose e audaci davanti alle autorità che condannarono Gesù, liberandole dalla paura e dall’ignoranza. La memoria ha attinto alla forza e all’esempio di Gesù, alla sua audacia e coraggio nel dare risposte e assumere comportamenti sconvolgenti riguardo alle indicazioni e alla comprensione della legge mosaica. “fu detto … ma io vi dico”, riguardo l’avvento del Regno di Dio e, con esso, l’evento di salvezza per chi, altrimenti, sarebbe rimasto escluso.
Probabilmente gli apostoli intesero la loro indicazione pastorale come generatrice di vita e di comunione universale, in sintonia con la volontà del Maestro. Con quella decisione diedero inizio alla nuova umanità nei termini indicati dalla seconda lettura.
Seconda lettura (Ap 21,10-14.22-23)
L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.
È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte.
Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.
In essa non vidi alcun tempio:
il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello
sono il suo tempio.
La città non ha bisogno della luce del sole,
né della luce della luna:
la gloria di Dio la illumina
e la sua lampada è l’Agnello.
L’apostolo descrive la visione: “L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto”. Il monte è il luogo della manifestazione di Dio, e gli aggettivi “grande e alto” evidenziano la sublimità della rivelazione.
L’angelo “mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio”. La nuova Gerusalemme è l’ambito della presenza di Dio, della sua gloria; è parte integrante dell’incommensurabile mistero di Dio che declina l’infinità del cielo, la sua dimora.
La gloria è descritta con metafore di grande spessore e di particolare splendore. Il numero dodici – “dodici porte (…), dodici angeli (…) dodici tribù d’Israele (…), dodici basamenti sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello” – indica la perfezione, la pienezza di vita e di splendore della nuova Gerusalemme, integrata da coloro che accolgono la testimonianza dei dodici apostoli riguardo l’Agnello.
Costoro – la comunità dei credenti – sono l’ambito della presenza di Dio, della manifestazione della sua gloria. Quel che qualifica la città descritta è l’assenza del tempio, luogo tradizionale del sacro, della presenza e dell’incontro con Dio: “In essa non vidi alcun tempio: Il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio”, conformato dal corretto rapporto con Dio da parte dei credenti e per l’accoglienza e la pratica dell’amore con cui Egli ama ogni persona e l’umanità intera.
Di conseguenza “La città non ha bisogno della luce e del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello”. La città è avvolta dalla luce; le tenebre – il male, il peccato – sono definitivamente distrutte, non esistono più. La luce proviene dalla lampada costituita dall’Agnello immolato e “vivente”. L’insieme è la metafora della morte e della risurrezione di Gesù Cristo, della purezza e radicalità dell’amore che tale evento ha in sé. Quest’ultimo – l’amore – è la realtà della comunione fra l’Agnello e la gloria di Dio.
La luce/gloria di Dio nel presente, nella vita giornaliera, è accessibile agli uomini per la pratica dell’amore che l’Agnello insegna e testimonia con la sua vita. L‘Agnello fa sì che gli uomini, per la fede, siano coinvolti gratuitamente nella luce/gloria di Dio, che apre la mente e il cuore agli effetti del dono.
Quest’ultimo aspetto è di grande importanza per il legame solido e sicuro tra il presente e il futuro. Il legame costituisce e autorizza l’inversione del tempo – il futuro è già presente – che incoraggia e sostiene i rapporti interpersonali e sociali nella dinamica dell’amore, e declina l’azione del credente, o della comunità, in modo sempre più coinvolgente perché purificata dalla gratuità, scevra dal ritorno della ricompensa e che non sia la gioia, propria dell’amore stesso.
Già con l’imitazione dell’amore per i fratelli più bisognosi si partecipa, sin d’ora, del destino, ciò che è la realtà del credente. Pertanto il destino sostiene già oggi l’avvento del regno; accogliere tale dono e attivarlo nei rapporti interpersonali e sociali è immergersi sempre più nella luce/gloria di Dio.
Dal punto di vista della fede in Gesù Cristo, in ogni cristiano, nel discernere i pensieri e lo stile di vita corrispondente, parte del futuro è già presente, a testimonianza del corretto esercizio dell’Alleanza stabilita con Lui nel battesimo.
Nella Messa le parole della consacrazione attualizzano e reiterano “la nuova ed eterna Alleanza”. Con esse l’iniziativa di Dio perdona il peccato – per la fiducia negli effetti della morte e risurrezione del Figlio – con l’immersione nella risurrezione, luce/gloria di Dio.
Con la liberazione e il perdono del peccato l’evento trasforma la coscienza che la persona ha di sé stessa. La vittoria del bene sul male, e il sorgere della nuova condizione, rafforza la fiducia e la consapevolezza dell’amore di Dio, e declina la speranza del futuro escatologico, la pienezza dell’incontro con Dio; dinamica sul modello della spirale in continua evoluzione nell’ambito del mistero e dell’immensità dell’amore.
Infine, l’evento ridisegna nella persona il rapporto con sé stessa e con Dio, con gli altri, con la società, con l’ambiente, e infonde forza e coraggio per lottare e resistere alle seduzioni del male a favore di una società più umana e fraterna. Nella trasformazione, nel rinnovamento, la gloria di Dio si manifesta con sempre maggiore splendore.
È impressionante la tenacia e la pazienza di Dio, nell’intimo della persona, affinché si lasci sempre più coinvolgere dalla generosità del suo amore. A tal fine l’azione dello Spirito è imprescindibile, come insegna il vangelo.
Vangelo (Gv 14,23-29)
In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
Gesù si rivolge ai discepoli: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola (…) chi non mi ama, non osserva le mie parole”. L’amore è il rapporto simbiotico per il quale la persona coinvolta cresce in sintonia con la realtà vera e profonda di sé stessa. Il rapporto declina la dinamica, in continua espansione, della gioia individuale e dell’armonia sociale, della comunione fraterna e della solitudine, due estremi che si attraggono in singolare equilibrio.
Gli apostoli, con Gesù, hanno intuito e sperimentato qualcosa del genere. Assumono, pur nello sconcerto delle sue parole, l’insegnamento e la pratica per l’avvento del regno. E Gesù ha momenti di soddisfazione per quel che hanno compreso – anche se parziale e debole – per la loro perseveranza nel seguirlo.
L’amore sostiene l’insieme che introduce il discepolo nel mistero dell’esistenza, il coinvolgimento nella realtà trinitaria: “il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Il “noi” si riferisce alla Trinità, luce/gloria che emerge nel discepolo.
Nella circostanza, il discepolo è spazio nel quale Dio regna. L’effetto della sovranità di Dio fa sì che questi riconosca il Signore datore di vita. Tale dono non è dato una volta per sempre, ma offerto e reiterato continuamente nel contesto e nella circostanza specifica. È dono che il discepolo accoglie e sintonizza nel discernere l’ambiguità del contesto e della circostanza. Il discernimento è sostenuto ed elaborato dal sincero amore a Cristo e alla causa: “Se uno mi ama osserva la mia parola “. Il risultato positivo dona momenti particolarmente intensi ed espressivi. Momenti che sono altresì preannuncio, garanzia e anticipazione del regno ultimo e definitivo, quando con il ritorno del Risorto, Dio “sarà tutto in tutti” (1Cor 15,28).
Tale momento determina il fine della vita individuale e sociale che rivelerà ciò che il prestigioso teologo Moltmann ha definito con queste parole: “il ridere dell’universo è l’estasi di Dio”. Con esso il rapporto simbiotico è alla massima espressione.
Il dono di comprendere il significato e la profondità della Parola – Cristo Gesù – è dato dallo Spirito Santo: “Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”.
Lo Spirito Santo è energia, forza e spazio, che lo qualificano come “Maestro interiore”, secondo la bella definizione di Sant’Agostino. È lo spazio della mente e del cuore del discepolo che si apre alla novità del Regno e, contemporaneamente, è lo spazio alla passione del possibile, alle trasformazioni dei rapporti interpersonali e sociali nell’orizzonte di sintesi più umane, rispondenti alle esigenze dell’alleanza.
Lo Spirito è forza, impulso e dinamica di un processo audace, coraggioso e sostenuto dal discernimento, che combina la tradizione autentica con la novità e instaura livelli particolarmente sorprendenti di speranza contro ogni illusione, difficoltà e opposizioni ritenute insormontabili.
Lo Spirito è in ogni persona che media e incontra autenticamente sé stessa, nell’armonia e nella sinfonia della comunione trinitaria che dimora in lei. Comunione che, allo stesso tempo, la trascende nell’incommensurabilità dell’amore, nel vortice quieto della spirale che si espande senza fine.
Lo Spirito insegna e ricorda tutto ciò che Gesù ha trasmesso ai discepoli riguardo al Regno – da essi intuito parzialmente e in modo confuso – e instaura in loro la pace dinamica, attiva, coraggiosa; sostiene con successo la lotta contro il male e la seduzione del peccato, frutto del cedere alla tentazione.
Ancora, Gesù afferma: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi”. Non si tratta di assenza di problemi e conflitti, ma dell’azione rigeneratrice e redentrice che sorge dal corretto svolgimento della missione iniziata da Gesù e attualizzata dal discepolo.
Lo Spirito, modalità della presenza di Gesù, accompagna i discepoli nelle circostanze difficili, in modo che “Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore”. La vittoria sul turbamento è una modalità della comunione con il Padre che è – “più grande di me” – e costituisce la garanzia del Suo ritorno, affinché Dio sia “tutto in tutti” (1Cor 15,28).
Ciao, p.Luigi, mi sei stato compagno amabilissimo per sette anni a Rebbiò e a Crema. Che il Signore ti abbia…
Mi è piaciuto moltissimo e concentra tutto il senso della vita dell' uomo
L'ho incontrato più volte a Firenze, negli anni prima del sacerdozio, ci siamo scritte delle lettere, sono andata a trovarlo…
Ciao, padre Graziadio. E’ giunta l’ora per te, di riscuotere per l’eternità, il giusto compenso per quel granfe amore che,…
Ciao Santina, perdona il ritardo nel risponderti. Sarebbe bello potersi conoscere. Ti lasciamo qui scritti i contatti in modo da…