Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

In questa Domenica, la Parola di Dio si sofferma sul termine “Pace” (= shalom nella lingua di Gesù). La pace permette di regolare i conflitti, quando la si persegue con sincerità e verità. Infatti la prima comunità cristiana, quella di Gerusalemme, viveva un grosso problema. L’apostolo Paolo con Barnaba, e anche Pietro a Giaffa e a Cesarea (Atti 10, 1-48) si sono dedicati all’evangelizzazione dei pagani (= non Ebrei). E su questo punto la Chiesa si è divisa. C’era una parte dei discepoli, capeggiata dall’apostolo san Giacomo, che era contraria. Un’altra parte, capeggiata da san Paolo, era favorevole. La discussione si è prolungata nel tempo, finché nell’anno 49/50 dopo Cristo, si è deciso di radunare a Gerusalemme tutti i responsabili e di arrivare a una conclusione. Grazie a Dio, la proposta dell’apostolo Paolo ha avuto l’approvazione della maggioranza ed è passata. In caso contrario, la Chiesa Cristiana sarebbe stata un gruppuscolo dell’Ebraismo, senza importanza e senza avvenire. La prima lettura racconta questa diatriba e parla della lettera inviata alla comunità di Antiochia (Atti 15, 23-29) assieme ai latori. In questo modo è stata ristabilita la pace e la serenità nelle Comunità cristiane di Antiochia (Siria) e anche di Gerusalemme . “E’ parso bene – scrivono i responsabili di Gerusalemme – allo Spirito Santo e a noi di non imporvi altro obbligo”. L’altro obbligo riguardava la Legge Mosaica (una specie di “Shari’a” islamica) dei tempi del Signore, che diventava una schiavitù vera e propria, impossibile da osservare, neppure dagli Ebrei (Atti 15, 10). Diventare discepoli di Gesù era ed è quindi un’esperienza di liberazione e di vita vissuta nella gioia, perché sappiamo di essere amati da Dio e trattati come suoi figli e figlie. E tutto ciò riempie il nostro cuore di pace. Ma la pace, che Gesù ci dona, non è come quella che il Mondo ci può proporre (Giovanni 14, 27). Gli antichi Romani dicevano: “Si vis pacem, para bellum” (= se vuoi la pace, preparati sempre alla guerra). Ed è esattamente quello che il Mondo (= potenze che sono contro Dio e contro il Cristo) sta facendo oggi in Ucraina, nello Yemen, in Nigeria, in Siria, in Afghanistan, a Myanmar, e in altre decine di posti dove si spara, si bombarda, si uccide, si vive nella violenza. C’è bisogno di pace, oggi come non mai. Certi responsabili politici definiscono la pace come il periodo tra una guerra e un’altra. Nulla di più antievangelico. Dobbiamo allora ricorrere alla Parola di Dio, per capire che cosa significa veramente pace e che cosa bisogna fare per conseguirla. La parola ebraica “shalom” significa prima di tutto completezza (Giobbe 9, 4) e designa anche il benessere dell’esistenza quotidiana, quando si vive in armonia con se stessi, con la natura e con Dio. Lo si può esprimere allora con il saluto quotidiano, come “Buon giorno!”. Quando viviamo in questa situazione, siamo felici. Ma la felicità vera l’abbiamo solo con Gesù. Perché? Perché è solo lui che, con la sua Pasqua (= morte in croce e risurrezione), ci libera dal peccato e dalla morte. “Shalom” allora, nella bocca di Gesù, è davvero un dono. Anzi questo dono acquista una caratteristica più forte, più profonda. Quando Gesù dice: “Vi do la mia pace” (Giovanni 14, 27), non si tratta solo di felicità del cuore, ma della presenza di una persona. “Pace” allora è il nome nuovo della persona di Gesù Risorto. In Lui la presenza di Dio (= shekinah) diventa una realtà sperimentabile sacramentalmente. Si può dire anche che “Shalom” è Gesù, e che si identifica con la sua propria vita donata per amore. Partecipando all’Eucaristia sperimentiamo tutto questo. Noi siamo riuniti, durante la Messa, per accogliere il dono della Pace, che, lo ripetiamo, è la persona stessa di Gesù. Mangiando il pane eucaristico, dobbiamo imparare che la Pace, come il pane, deve essere spezzata e condivisa. Con l’aiuto del Paràclito, cioè dello Spirito Santo, diventiamo anzi “costruttori di pace”, come dice la Beatitudine nel Vangelo di Matteo (Matteo 5, 9). San Daniele Comboni (1831-1881) ha sempre proposto la pace in ogni paese dove si è recato, in Europa e in Africa. Ma proponeva la pace, e collaborava per la sua realizzazione, soprattutto nel suo immenso Vicariato dell’Africa Centrale, vasto come l’Europa intera. Così scriveva a p. Giuseppe Sembianti, superiore del suo seminario a Verona, il 5 gennaio 1880: “ Preghi fervidamente il Cuore di Gesù per la conversione dei nostri cento milioni di abitanti dell’Africa Centrale… Preghi per farvi trionfare il regno di Cristo. Solo in questo modo vi sarà la pace...Preghi anche per me, perché sono il Vescovo più isolato del Mondo. Se devo chiedere un consiglio a un mio confratello Vescovo, devo fare almeno due mesi di viaggio a dorso di cammello o in barca sul fiume Nilo!…”.

 

P. Tonino Falaguasta Nyabenda