Padre Alessio Geraci

A partire dal cuore ……

Le letture della liturgia di questa terza domenica di Pasqua ci aiutano ad entrare nella dinamica dell’amore che conduce al servizio e alla testimonianza.

Infatti, nella prima lettura, san Luca nel libro degli Atti degli Apostoli, ci presenta una scena caratteristica della prima comunità cristiana: gli apostoli compaiono davanti al Sinedrio, per essere giudicati. È lì che possono testimoniare la loro fede nel Risorto. E approfittando della situazione, ribadiscono ancora una volta che Dio ha risuscitato Gesù dai morti. Agli apostoli era stato comandato dal Sinedrio di non parlare più di Gesù, ma la loro risposta è un esempio per tutti noi: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini». Ci ricordano le parole di San Oscar Romero, quanto mai profetiche e attuali in questo triste e folle tempo di guerra: «Davanti a un ordine di uccidere che viene da un uomo deve prevalere la legge di Dio che dice: Non uccidere… Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine che sia contro la legge di Dio… Una legge immorale, nessuno deve adempierla… È ormai ora che recuperiate la vostra coscienza e obbediate ad essa piuttosto che all’ordine del peccato». Queste parole furono pronunciate dal santo vescovo salvadoregno il giorno prima di essere assassinato, e se le attualizziamo possiamo ancora una volta unirci all’appello disperato e purtroppo inascoltato di papa Francesco a quanti possono mettere fine all’orrore della guerra: fermatevi!

Gli apostoli, dopo essere stati frustati, vennero rilasciati. E mi colpisce molto questa frase: «Essi allora se ne andarono via dal Sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù». La domanda che possiamo farci questa domenica è: se oggi ci conducessero in un tribunale con l’accusa di essere cristiani, con l’accusa di essere credenti, di essere come battezzati, figli di Dio… troverebbero le prove per condannarci, o finiremmo assolti per… insufficienza di prove?? Se avremo vissuto la nostra vita con coerenza, se avremo vissuto la nostra fede con fedeltà al Vangelo e messo in pratica le parole di Gesù, se avremo fatto nostro il comandamento dell’amore (amatevi come io vi ho amato), se non avremo in estrema sintesi, detto “Signore, Signore”, ma fatto la volontà di Dio, quella della costruzione di un mondo migliore, umano, fraterno, che conduce alla felicità…allora si, queste prove le troverebbero. Ma forse la domanda da porci è un’altra: vogliamo che queste prove le trovino? Nel silenzio e nell’intimità dei nostri cuori e delle nostre coscienze troveremo la risposta…

Il Vangelo di questa domenica ci mostra la terza apparizione di Gesù risorto ai suoi discepoli.

Fin dall’inizio del testo possiamo notare un fatto molto curioso. Domenica scorsa, abbiamo letto e commentato nel capitolo 20 di Giovanni come Gesù aveva inviato i suoi discepoli con la potenza dello Spirito Santo, rendendoli così discepoli missionari.

Questa domenica siamo nel capitolo 21 di Giovanni, e sembra che quest’invio missionario sia stato solo teorico! Sì, perché se osserviamo bene la scena, Pietro e gli altri discepoli vanno a pescare. Prima di incontrare Gesù erano pescatori, sono stati mandati in missione… e ora sono di nuovo pescatori, come se non avessero ricevuto la missione di annunciare le meraviglie di Dio, come se non avessero gioito nel vedere il Risorto.

Tornare alla vita di prima: la grande tentazione in cui spesso cadiamo anche noi. Quando invece di sentire il fuoco dell’amore di Dio che ci spinge ad annunciarlo e testimoniarlo a tutti, preferiamo il conforto del “conosciuto”, di qualcosa che già conosciamo, per non rischiare. Entriamo nella nostra zona di confort e non vogliamo più uscire da lì. In poche parole, lasciamo che il fuoco dello Spirito si spenga in noi.

Pietro e gli altri discepoli, che sono pescatori professionisti, lavorano duramente tutta la notte ma non riescono a pescare nulla. Succede anche a noi. Ci sforziamo, e anche tanto ma non riusciamo a raggiungere i nostri obiettivi. E ovviamente come Pietro e gli altri discepoli, sentiamo la stanchezza e la delusione.

All’alba, Gesù si presenta loro, sulla riva… ma i discepoli non sapevano che era Gesù. Mi piace questa connotazione cronologica che l’evangelista ci dà: all’alba. Gesù è la Luce… in mezzo alle nostre tenebre, in mezzo ai nostri errori, in mezzo ai nostri peccati, appare la Luce che è Gesù Risorto. Ed essendo sulla riva, chiede loro se hanno qualcosa da mangiare, si preoccupa per loro, e poi dà loro un consiglio: gettare le reti a destra per riuscire a pescare. I discepoli fecero così e riuscirono a prendere un numero così elevato di pesci che le reti quasi si rompevano! L’evangelista Giovanni ci dice che pescarono 153 grossi pesci. In quel momento le nazioni conosciute erano 153. Come a dire: nella rete dell’amore di Cristo, c’è spazio per tutti, e quindi tutte le nazioni possono stare dentro!

Vedendo quanto accaduto il “discepolo amato”, dice a Pietro: «è il Signore». Non credo che questo discepolo, il discepolo amato, possa riconoscere Gesù per la “pesca miracolosa”. Penso piuttosto che lo riconosca perché solo chi si sente amato è in grado di vedere con gli occhi del cuore e riconoscere l’Amore.

Arrivati all’altra riva, Gesù dice loro di portare un po’ del pesce che avevano appena pescato. E la scena è curiosa perché l’evangelista presenta Gesù, sulla riva, con un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Aveva già abbastanza cibo per lui. Ma chiede la collaborazione dei suoi discepoli. E inizia a preparare loro da mangiare e a servirli. Il Risorto non ha perso la “buona abitudine” del servizio. Le buone abitudini in realtà non si perdono mai! E quando tutto è pronto dice loro: «venite a mangiare».

Dopo aver mangiato, va da Pietro. Lo chiama per nome: «Simone, figlio di Giovanni». Perché il Risorto cerca sempre con ognuno di noi una relazione personale.

L’evangelista gioca con due verbi in greco, agapao e fileo. Agapao è il verbo che ci parla dell’amore di Dio, l’amore totalmente libero e disinteressato, che non si aspetta nulla in cambio, che non chiede reciprocità, che ha nell’amore la sua ricompensa. Fileo invece è il verbo che esprime il voler bene, l’amore di amicizia. Gesù chiede a Pietro per due volte se l’amasse, usando il verbo agapao. Pietro risponde due volte che Lui sa bene che gli vuole bene. Pietro risponde con il verbo fileo. Non può arrivare ad amare Gesù con lo stesso amore con cui Gesù lo ama. E cosa fa allora Gesù? Nella terza domanda usa il verbo fileo: Gesù sa bene che Pietro non è in grado di raggiungere il suo stesso livello e grado di amore, così gli chiede se gli vuole bene. Scende quindi al suo stesso livello. Pietro, ci riporta l’evangelista Giovanni, «rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse». Ma penso che fosse più triste perché cominciava a capire la “follia” di quest’ amore di Gesù. Pietro non era in grado di amare Gesù come voleva, ma Gesù non gli rimprovera nulla. Non l’ha mai fatto. Gesù, il Risorto, in realtà, non gli ha ricordato che lui, Pietro, l’amico, l’aveva negato tre volte. L’amore di Gesù va oltre gli errori ed orrori, le incomprensioni, i limiti. È un amore capace solo di…amare! È a Pietro, il pescatore, il discepolo che lo ha rinnegato, che Gesù affida la missione di pascere il suo gregge, nel quale ci siamo anche noi. Oggi questa missione è affidata al successore di Pietro, papa Francesco. Quanto accaduto a Pietro ci mostra che l’amore di Gesù è così grande e infinito che umanamente non possiamo comprenderlo o spiegarlo. Possiamo solo accogliere con gioia e gratitudine quest’amore che Gesù ha per noi.

Anche noi possiamo diventare discepoli missionari, perché siamo peccatori perdonati, amati, chiamati per nome ed inviati. Questo Vangelo termina con le parole che Gesù dice a Pietro e a ciascuno di noi: «Seguimi». Mi piace pensare che ad ognuno di noi Gesù oggi chiede di seguirlo, di poter camminare insieme in quest’ amore, di poter essere persone nuove, di poter essere persone risorte che aiutano a risorgere chi ne ha più bisogno!

Questa domenica, primo maggio, celebriamo, anche se è domenica, la Festa dei Lavoratori.

Immaginiamo per un momento Gesù, bambino e adolescente, che guarda Giuseppe lavorare e imparare da lui. San Giuseppe Lavoratore, con il suo cuore di padre, interceda per noi perché lavoriamo instancabilmente alla costruzione di un mondo più giusto e fraterno, un mondo che sia la nostra casa, in cui sappiamo essere artigiani e tessitori di pace e di giustizia. Oggi ricordiamo in modo speciale nella nostra preghiera coloro che, a causa della pandemia, delle guerre e dell’incertezza a livello politico, sociale ed economico, hanno perso il lavoro, quanti cercano lavoro senza successo, coloro che sono mal pagati nel loro lavoro, le migliaia di lavoratori e lavoratrici informali, coloro che sono morti a causa delle scarse misure di sicurezza nel loro lavoro, chi lavora onestamente, i bambini costretti a lavorare, i giovani costretti a lasciare la propria terra in cerca di un lavoro dignitoso, le donne e quanti sono costretti a lavorare con il proprio corpo…

Buona domenica!

Con la missione nel cuore
Padre Alessio Geraci