Padre Vincenzo Percassi
Il Vangelo della quarta domenica di quaresima è il Vangelo della misericordia. La misericordia è l’espressione più completa e comprensiva dell’amore. La misericordia, infatti, non è semplicemente il perdono in quanto tale. Essa si riferisce piuttosto a quella qualità del cuore che non si limita perdonare ciò che è successo, a riportare una relazione a come era prima, ma è capace di ricrearla in maniera tale che la tua storia è sempre un nuovo inizio. Nel libro dell’esodo Dio dice al suo popolo appena entrato nella terra promessa: ecco non mangerete più la manna. Strappo via da voi la vergogna d’Egitto, cioè del vostro passato di schiavitù e vi lascio i frutti della terra, il pane dei figli, delle persone libere. E spesso la prima libertà è proprio la libertà dal tuo passato che pesa con sensi di colpa, rammarichi, risentimenti. In tal senso si legge nella parabola che il figlio ribelle non è solo ritrovato ma anche risuscitato, riportato non alla vita di prima ma ad una vita nuova. Questa misericordia che risuscita non viene da noi – dice San Paolo – ma viene da Dio. Solo Dio ha questa capacità di perdonarci, non solo rimettendo i nostri peccati, ma rinnovando ogni giorno per noi la possibilità di vivere da figli. Come può Dio fare questo per noi? Uscendo continuamente di casa. È questo l’atteggiamento che il Padre della parabola ripete con i due figli e che spiega perché Gesù accoglieva i peccatori e mangiava con loro. La misericordia di Dio è un amore che contempla la possibilità di uscire da sé stesso, di scomodarsi: dice la parabola che il padre lo vide da lontano, che gli corse incontro, che lo abbracciò e lo baciò al collo prima ancora che potesse confessare qualsiasi cosa, che lo riveste e lo rimette al posto di figlio prima che potesse meritare qualsiasi cosa. Questo non è un amore sentimentale. Quando San Paolo dice che Dio trattò il Figlio suo come peccato sta dicendo che per uscire da sé stesso e farsi vicino a noi nel suo Figlio Dio ha dovuto in un certo senso mettere da parte la sua santità che normalmente ci sarebbe parsa umiliante, spaventosa, esigente ed ha lasciato trasparire solo la sua misericordia in termini così umili e comprensivi da poter somigliare al nostro peccato. Sì, perché la misericordia di Dio sembra complice del nostro peccato quando lo abbraccia, eccetto per il fatto che risorgendo, apre proprio a partire da quel peccato delle possibilità nuove. Il punto è però che il peccatore non resti dove si trova ma si metta in Gesù Cristo. Lo ha trattato da peccato perché tu non possa dubitare circa questa cosa straordinaria: che il tuo peccato non è l’ostacolo ma il punto di contatto. Il tuo peccato non è quello che ti distanzia da Cristo ma quello che ti avvicina. E se non avessi alcun peccato ciò che ti avvicinerà a Cristo non è la tua giustizia ma la tua misericordia. Tutto ciò – insiste San Paolo – viene da Dio. È Lui che esce di casa. Entrambi i figli in fondo pensano allo stesso modo: che l’essere in una relazione positiva con il loro padre dipenda da quello che di buono o di male fanno. Il più giovane allora si sente colpevole e si vergogna, mentre il più grande si sente meritevole e si inorgoglisce. Non siamo noi, allora, continua San Paolo, che chiediamo perdono a DIO, ma è Lui che in Gesù ci supplica di lasciarci riconciliare. Ciò che ci tiene distanti da Dio non è tanto la nostra debolezza quanto la nostra autosufficienza. Anche il figlio più giovane in fondo dice: tornerò, lavorerò e recupererò il mio debito. Non si tratta di recuperare ma di resuscitare. Se è vero, poi, che la ribellione porta alla solitudine e al vuoto – nessuno gli dava nulla al giovane impoverito ed affamato – è anche vero che l’appoggiarsi ad una giustizia propria ti imprigiona nel tuo giudizio che non riesce a gioire per ciò che Dio fa con i peccatori. Dimentichiamo allora che il peccato non è solo la ribellione ma anche la durezza di cuore. E quando ci lasciamo prendere dalla durezza di cuore, anche se rimaniamo obbedienti ai comandamenti, in realtà diventiamo sempre più incapaci di comunione, anche nelle relazioni più intime. Allora non c’è più famiglia, non c’è più “casa”. Come quando non riusciamo più a perdonare gli altri, quando non ci interessa più attendere e cercare che si e’ allontanato da noi, quando riusciamo a concepire la minima scomodità per andare incontro agli altri, quando preferiamo mantenere le distanze piuttosto che correre incontro, quando preferiamo la freddezza delle parole o l’indifferenza all’abbraccio che risolleva, quando dobbiamo continuamente a rinfacciare i torti degli altri piuttosto che coprirli con la veste più bella, quando preferiamo parlare male degli altri e criticarli piuttosto che sorprendere gli aspetti più positivi della loro persona. Tutta questa durezza di cuore ci sembra normale perché ci sembra giusta e non ci accorgiamo che invece essa è profondamente ammalata perché non contempla il fatto che Cristo è risorto e che c’è sempre la possibilità di una novità nella nostra vita. Rimettersi in Gesù Cristo significa appoggiarsi ad ogni istante della nostra vita ad un amore che risuscita e che si chiama misericordia. Occorre rientrare in noi stessi e riascoltare queste parole: figlio tu sei sempre con me – anche quando smetti di amarmi – e tutto quello che è mio è tuo – anche quando lo sprechi. Dio perdona sempre e tutto perché è capace di risuscitare. Un giorno ci rammaricheremo non di quello che ci è mancato ma del tanto che ci è stato offerto e lo abbiamo rifiutato. Missione e’ oggi “uscire dal nostro comodo”, uscire di casa come il Padre ma non per dimenticare la casa ma per invitare tutti in essa affinché la casa sia davvero comune.