Padre Tonino Falaguasta Nyabenda
In questa seconda Domenica di Quaresima continuiamo il nostro cammino verso la Pasqua. Siamo invitati a sperimentare la presenza di Dio, come Abramo, nostro padre nella fede (così la prima lettura). L’alleanza, che Dio ha stabilito con lui, ci riguarda. E’ stata poi resa definitiva e universale con Gesù: un’alleanza non più basata sul sangue di animali, ma su quello del Cristo che, come Agnello pasquale, ci porta ad altezze vertiginose. Come dice giustamente sant’Agostino (354-420): “O felix culpa!” (= felice quel peccato), così cantiamo nel preconio della notte di Pasqua: il peccato dell’uomo (= chiamato anche peccato originale) ci ha meritato un avvicinamento di Dio incredibile e inaspettato.
La parola di Dio di questa Domenica ci presenta come è possibile questo avvicinamento, grazie al Cristo. Si può riassumere con tre parole: alleanza, desiderio, trasfigurazione. Come ci spiega san Paolo, nella seconda lettura, noi dobbiamo fondare la nostra condotta non sui nostri bassi istinti, ma in Gesù (Filippesi 3, 20). Il Rabbi di Nazareth ha anche il potere di fare di noi creature nuove (2 Corinzi 5, 17), capaci di guardare in alto, di cercare le cose di lassù, di contemplare alla fine il volto di Dio. Ma solo alla fine, nella beatitudine eterna, vedremo il volto di Dio così come è (1 Giovanni 3, 2). Intanto rivolgiamoci a Gesù. In Lui Dio stesso si è dato un volto (Apocalisse 1, 16). Ma che cos’è il volto? Il volto è lo specchio del cuore, dice il libro dei Proverbi (Proverbi 27, 19). Il desiderio umano è sempre quello di vedere un volto sorridente, che esprime benevolenza e simpatia. Soprattutto quando si tratta di superiori. Come tra genitori e figli, come tra sudditi e autorità. Dice anche il libro di Ester: “E’ un favore insigne poter guardare il volto del Re” (Ester 1, 14) e cioè essere ammessi alla sua corte. Ester, fatta regina, intercede presso Assuero per salvare il suo popolo (Israele), dai desideri di sterminio di Aman. E l’intercessione ha successo.
Anche noi avviciniamoci al nostro re, al nostro Dio.
Noi possiamo contemplare il suo volto, guardando il Cristo. Nel Vangelo di oggi (Luca 9, 28-36), come i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, anche noi siamo invitati a entrare profondamente nella conoscenza di Gesù, che è il Figlio del Padre. Filippo, uno degli Apostoli, era un tipo curioso. Un giorno chiese al Signore: “Mostraci il Padre e ci basta!” (Giovanni 14, 9). Certo Gesù, durante l’ultima cena, stava facendo dei discorsi che sembravano molto alti, per gli Apostoli. Alti per non dire astrusi. Gesù rispose: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?”. Il povero Apostolo, confuso e umiliato, voleva quasi nascondersi sotto il tavolo o sotto un tappeto per la vergogna. E Gesù aggiunse una parola sconvolgente e misteriosa: “Chi ha visto me, ha visto il Padre!” (Giovanni 14, 9). E’ adombrato in questa frase il mistero della Santissima Trinità. Ma per arrivare a questo vertice della rivelazione, il Signore procede per gradi. Anche questo è lo scopo della Trasfigurazione. Nel cammino verso Gerusalemme, quando il volto di Gesù si è indurito (Luca 9, 51), cioè quando la sua decisione si fece ferma, perché il suo esodo (= la sua Pasqua) doveva compiersi, i tre Apostoli (tre, perché due o tre, secondo la legge mosaica, dovevano essere i testimoni, affinché un fatto fosse riconosciuto), salirono con Gesù sul monte. Non si parla del monte Tabor, che è l’opinione di san Girolamo (347-420), ma del monte, con l’articolo determinativo ( eis to oros, in greco). Era noto ai discepoli. Era il monte della preghiera, della rivelazione, della elezione degli Apostoli. Sono saliti sulla sua cima per pregare. La preghiera è il respiro della vita dei Cristiani, come lo fu per il Cristo. E’ lì che scopriamo Dio come “Abbà”, come Padre. Se preghiamo con fede, scopriamo il volto di Gesù trasfigurato, perché così contempliamo il suo amore per il Padre, che diventa poi il suo stesso amore per noi. Allora anche la Croce non ci scandalizzerà più, perché diventa la prova di questo amore (per il Padre e per noi tutti). “L’aspetto del suo volto divenne altro”, così dice letteralmente san Luca (Luca 9, 29). Scrivendo il suo Vangelo per lettori di cultura greca, egli è stato attento a non usare la parola Trasfigurazione, che in greco si dice “metamorfosi”, parola che richiamerebbe le favole degli dei della letteratura pagana.
Gesù allora si mostra in una luce sfolgorante. Nel suo volto noi possiamo contemplare la “gloria di Dio”. Effettivamente san Paolo diceva: “E’ in Lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Colossesi 2, 9). Possiamo contemplare Gesù per quello che è: Egli è il centro di tutto, di Dio e dell’uomo. Mosè ed Elia (lo sappiamo già:ci vogliono almeno due testimoni, secondo la Legge di Mosè, perché la testimonianza sia valida) vengono per rendere testimonianza a questa realtà. Mosè è la Legge, Elia è il padre dei profeti, che in sé li riassume tutti. Parlano con Gesù; ma non fanno discorsi vacui, discorrono “del suo esodo”, cioè della sua Pasqua. Pietro, vedendo la scena, esclama: “E’ bello per noi star qui. Faremo tre tende: una per te e una per Mosè e una per Elia!” (Luca 9, 33). Il discorso di Pietro rivela due punti importanti. Forse siamo durante la festa dei tabernacoli (= la festa sukkot, cioè in settembre). Poi il capo degli Apostoli è sempre convinto che Gesù è, sì, il Messia, ma quello della tradizione (cioè glorioso e senza la croce), infatti per lui il personaggio più importante non è Gesù, ma Mosè, messo al centro della lista. Eppure Gesù aveva parlato chiaramente della sua morte (Luca 9, 22) e aveva sgridato Pietro e compagni per le loro idee false sul messianismo.
“E venne una voce dalla nube” (Luca 9, 35). La nube indica la presenza divina; e la voce è quella del Padre, che ci invita ad ascoltare Gesù. In effetti nell’ascolto di Gesù, che è il vero ascoltatore del Padre, diventiamo come Lui. Questo è il cammino che dobbiamo percorrere per giungere alla perfetta comunione con la Trinità. Così realizzeremo il vertice della nostra vita cristiana e sperimenteremo la beatitudine eterna del Paradiso.
Daniele Comboni (1831-1881) ha sempre predicato l’ascolto del Signore Gesù. Il suo Vangelo infatti è la strada ampia e sicura per la salvezza dei popoli dell’Africa Centrale, per i quali il Comboni invocava la rigenerazione. Il suo piano del 1864 si intitolava appunto: “Piano della rigenerazione dell’Africa”. Il Cardinal Carlo Maria Martini (1927-2012) spiegava del resto che il termine “rigenerazione” implicava certamente “annuncio del Vangelo”, ma anche dignità e sviluppo umano. Anche Papa Francesco ha riproposto in questo senso il vero nome della pace (datole già da Paolo VI): la pace vera cioè è quella che favorisce lo sviluppo integrale della umanità (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2022).
P. Tonino Falaguasta Nyabenda
Ciao, p.Luigi, mi sei stato compagno amabilissimo per sette anni a Rebbiò e a Crema. Che il Signore ti abbia…
Mi è piaciuto moltissimo e concentra tutto il senso della vita dell' uomo
L'ho incontrato più volte a Firenze, negli anni prima del sacerdozio, ci siamo scritte delle lettere, sono andata a trovarlo…
Ciao, padre Graziadio. E’ giunta l’ora per te, di riscuotere per l’eternità, il giusto compenso per quel granfe amore che,…
Ciao Santina, perdona il ritardo nel risponderti. Sarebbe bello potersi conoscere. Ti lasciamo qui scritti i contatti in modo da…