Padre Alessio Geraci

A partire dal cuore ……

Siamo nell’ottava domenica del tempo ordinario, l’ultima prima di iniziare il tempo di Quaresima.

Nel Vangelo di questa domenica, Gesù ci scuote con un discorso molto forte. Continuiamo nel sesto capitolo di Luca, e Gesù si rivolge ai suoi discepoli. È bene ricordare il contesto: le Beatitudini che Gesù ha proposto ai suoi discepoli e a tutti coloro che lo ascoltano e seguono, per costruire un mondo nuovo. Pertanto, il discorso di oggi si rivolge a coloro che sono entrati nella logica delle Beatitudini, a coloro che hanno messo da parte la vendetta e hanno aperto il cuore al fratello/sorella.

Gesù comincia a dire che un cieco non può guidare un altro cieco perché correrebbe il rischio che entrambi cadano in un fosso.

La domanda di oggi è: quando siamo nella condizione di essere ciechi? Solo quando i nostri occhi non riescono a vedere? Credo che tutto nasca nel cuore. Se il nostro cuore è pieno di pregiudizi, gelosie, invidie, odio, orgoglio… allora i nostri occhi non saranno in grado di vedere. Evidentemente le spaventose immagini della follia della guerra che si sta consumando in questi giorni in Ucraina ci fanno capire come diventiamo ciechi quando chiudiamo il cuore alle necessità degli altri, specialmente dei più vulnerabili. La guerra è follia, è distruzione, è quel pungiglione della morte che San Paolo chiamerà “peccato”. Quante guerre, quante lotte, quante inutili tensioni nelle famiglie per una parola detta, per un gesto, per un qualcosa che forse non meritava delle reazioni così violente. Cerchiamo di vivere sempre in pace con tutti, e di avere un cuore che batta per la pace.

Vale la pena ricordare la frase del Piccolo Principe, l’opera più nota dello scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry (1900-1944): “non si vede bene che col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi”.

Gesù vuole liberare i nostri occhi da tutto ciò che ci impedisce di vedere e vedere bene: perché quando tutte le squame cadono dai nostri occhi, possiamo vedere l’altro così com’è realmente: un fratello, una sorella. E un fratello si ama.

Quello che Gesù ci dice spesso lo sperimentiamo nella nostra vita: siamo sempre molto molto bravi a vedere ed enfatizzare i difetti e gli errori degli altri. Perché giudichiamo e condanniamo gli altri, con movimenti fulminei del cuore. Agendo così, dimentichiamo quello che Gesù ci ha detto domenica scorsa: “non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati, perdonate e sarete perdonati”.

Ma spesso, invece di vedere i nostri errori, di assumerci le nostre responsabilità, attacchiamo l’altro, rinfacciandogli cose, situazioni, errori… riaprendo le ferite del passato.

A noi che agiamo così, Gesù oggi dice senza mezze misure: ipocriti. E penso che abbiamo bisogno che Gesù ci scuota, che ci svegli con le sue parole forti. Siamo ipocriti quando esigiamo che gli altri cambino, ma noi non facciamo un solo passo per cambiare. Siamo ipocriti quando sprechiamo tempo ed energie nel pensare che gli altri devono cambiare, che si sbagliano, che sono loro che devono fare il primo passo verso una eventuale riconciliazione, che loro hanno bisogno di aiuto…e non ci rendiamo conto che in realtà siamo noi a dover prima cambiare, che siamo noi a commettere errori a volte peggiori di quelli che sottolineiamo negli altri, e che quindi siamo noi ad aver bisogno di aiuto.

L’operazione da compiere quindi è quella di togliere dal nostro cuore ogni sorta di pregiudizio e orgoglio, per poi con gli occhi “puliti”, essere in grado di guardare l’altro e contemplarlo per quello che è veramente: un figlio amato di Dio, una figlia amata da Dio, proprio come noi. Per questo Gesù non usa mezze misure: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?».

Un’altra frase che Gesù ci lascia oggi è: «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda». La domanda che possiamo farci oggi nel silenzio e nell’intimità dei nostri cuori è: da quale frutto, da quali frutti, ci conoscono e riconoscono? Per cosa vogliamo essere riconosciuti? Come vogliamo essere ricordati? Per essere pettegoli? Per lamentarci sempre? Per essere inopportuni? Per “predicare bene e razzolare male”? Per essere gentili e generosi? Per essere coerenti? Per essere spontanei e sinceri? A noi la risposta!

Di cosa è pieno il nostro cuore? Se Dio è presente nei nostri cuori… la nostra bocca parlerà di Lui e del suo Amore senza paura, anzi con molta spontaneità. Ma se per Dio non c’ è spazio nei nostri cuori, allora parleremo di tutto, tranne che di Lui.

San Paolo, nel frammento della sua prima lettera ai Corinzi che la liturgia ci propone questa domenica come seconda lettura, ci invita e ci esorta a rendere grazie a Dio. E di quest’ invito dobbiamo davvero tenerne conto. Rendere sempre grazie a Dio, a partire dal dono della nostra vita. E non ricordarci di Dio solo nei momenti di maggiore tristezza e angustia, come se Dio fosse la nostra ultima speranza, come se Dio fosse un “oggetto magico”.

Paolo ci chiede di rimanere «saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore» E noi… stiamo progredendo nell’opera del Signore? Lavoriamo per il Signore? Lavorare per il Signore, seguendo lo spirito delle Beatitudini, è costruire un mondo nuovo, fondato sulla non violenza attiva, sulla pace, sul perdono e sulla riconciliazione, sull’empatia, sulla fraternità, sulla solidarietà, sulla gratuità, sull’amore.

Chiediamoci allora se stiamo davvero lavorando per il Signore, se stiamo davvero mettendo in circolo, in questo mondo ferito e diviso, l’amore che abbiamo ricevuto da Dio.

Rendiamo virale l’amore di Dio!

Buona domenica!

Con la missione nel cuore
Padre Alessio Geraci