Padre Tonino Falaguasta Nyabenda
La parola di Dio, che ci viene offerta in questa Domenica, affinché la “mangiamo” (Ezechiele 3, 1-4), è la continuazione delle “Beatitudini”. Grazie a questa parola, noi siamo invitati a cambiare il nostro stile di vita. San Paolo lo dice chiaramente, scrivendo ai Cristiani di Corinto, verso il 50 dopo Cristo, e quindi quando il testo dei Vangeli attuali in greco non era ancora molto diffuso. “Il primo uomo – dice san Paolo, e cioè Adamo, – è tratto dalla terra, è fatto di terra” (1 Corinzi 15, 47). Il secondo uomo, cioè Gesù, viene dal cielo. E noi siamo chiamati a seguire il secondo uomo, quello celeste (1 Corinzi 15, 49). Tutto ciò indica un cambiamento radicale nella nostra vita. Noi ora siamo “celesti” e siamo chiamati ad opporci alla logica del Mondo e a non seguire l’andazzo dell’uomo “terreno”.
La liturgia di oggi ci chiama a mettere in pratica il discorso di Gesù, tenuto su un luogo pianeggiante, dove tutti possono accedere, senza fatica, ma con un impegno che cambia totalmente la nostra vita. Il rabbi di Nazareth, contrariamente a quello che facevano gli altri rabbi (o maestri e insegnanti della Torah o legge di Mosè), non segue la tradizione. Gesù non segue gli insegnamenti di altri rabbi famosi del suo tempo: come Hillel (60 prima di Cristo – 7 dopo Cristo) e Shammai (50 prima di Cristo – 30 dopo) o Johannan ben Zakkai (47 prima di Cristo – 73 dopo). Il Cristo proclama il suo insegnamento, che è totalmente rivoluzionario. E lo troviamo anche nel Vangelo di oggi (Luca 6, 27-38). Siamo invitati a imitare Dio stesso. Ed è Gesù a mostrarcelo. Nelle beatitudini/lamentazioni (Luca 6, 20-26) abbiamo visto il comportamento di Dio, che, verso i poveri, è grazia e misericordia. E Gesù ce lo spiega e ce lo mostra. Le parole del Vangelo di oggi (Luca 6, 27-38) sono autobiografiche. Il Signore cioè ha fatto per primo ciò che ha insegnato. Posso capire allora, leggendo questo testo, come Dio ama me, in modo che io, peccatore graziato e perdonato, possa comportarmi in una vita nuova. Sono chiamato infatti, una volta guarito dall’inimicizia verso Dio, a eliminare in me l’inimicizia verso gli altri. Chi sono io? E che cosa sono verso gli altri? I filosofi parlavano di “homo homini lupus” (= l’uomo è un lupo per l’altro: frase di Plauto, ripresa da Francesco Bacone, filosofo inglese, morto nel 1626 a 75 anni). Ma il Vangelo di Gesù mi invita a guardare il prossimo e ad amarlo come se fosse Dio: “Homo homini Deus” (= l’uomo per me è come Dio). E’ la rivoluzione cristiana. Si tratta appunto dell’amore “crocifisso”, quello che solo Gesù propone.
Ma non c’è un’altra strada per raggiungere la pace. L’”occhio per occhio” dell’Antico Testamento (Levitico 24, 19-20) era già un progresso rispetto al gesto vendicativo di Lamec (Genesi 4, 17-19: vendetta per settantasette volte!) Ma meditiamo il Vangelo di oggi. In Gesù mi è rivelato il volto di un Dio che mi ama, quando io sono ancora un suo nemico; mi fa del bene, mentre io ancora lo odio e lo maledico e bestemmio; prega per me, mentre io lo uccido. Dio in Gesù mi ama fino alla morte, fino alla follia. “Non c’è un amore più grande di chi dà la vita” ha detto Gesù (Giovanni 15, 13). Questo suo amore per me mi rivela anche chi sono io per lui, per il Signore: io sono infinitamente amato. Lui riversa in me tutto il suo amore e, con la sua misericordia, mi grazia e mi salva. Una volta sperimentata la salvezza e divenuto un uomo nuovo, ora siamo obbligati a comportarci diversamente. Dice san Paolo: “E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste” (1 Corinzi 15, 49). Che cosa significa attualmente per la vita del discepolo di Gesù? Con il battesimo siamo divenuti creature nuove (Romani 6, 1-11). Devo imitare Gesù allora e comportarmi come lui. Chi devo essere io per gli altri? Un fratello o una sorella! Ciò che Gesù ha fatto per me diventa un imperativo, un obbligo: devo essere un fratello/sorella per gli altri.
Il volto di Cristo lo contemplo nel volto dell’altro. Diceva un Padre della Chiesa, san Clemente di Alessandria (150-215), citando una frase di Gesù che non troviamo nei Vangeli: “Vedo la faccia dell’altro, vedo la faccia di Dio!”. E questo è il nocciolo della vita cristiana. L’unico amore possibile è quello di misericordia.
“Amate i vostri nemici” (Luca 6, 27) ha detto Gesù. Una parola straordinaria, una parola rivoluzionaria. Non c’è altro modo per vincere il male. Il male, la violenza è come una catena che non si spezza mai. L’unica parola che rompe il concatenamento dell’anello con un altro fino all’infinito è quella pronunciata da Gesù: “A chi ti colpisce sulla guancia, porgi anche l’altra!”. Sembra una follia. E ancora oggi, tanti la pensano così. Ma per interrompere la catena del male e della violenza non c’è che la non violenza e finalmente il perdono. Come fa Dio. “Siate misericordiosi – ha detto Gesù, – così come il Padre vostro è misericordioso!” (Luca 6, 36). In questo modo avremo la vita nuova, quella in Cristo, che noi viviamo in relazione al Mondo e in relazione a coloro che ci considerano nemici (e non sanno invece che sono nostri fratelli e sorelle). L’amore del nemico è l’unica arma che ci permette di vincere il male che c’è nel Mondo ed è il principale mezzo di diffusione del Cristianesimo.
Papa Francesco ci insegna con convinzione che solo la “rivoluzione della tenerezza” (cioè la pratica dell’amore fraterno; leggi Evangelii Gaudium n. 87 e 88) ci permette di superare tutte le barriere e fare di questo Mondo la “nostra casa comune”.
San Daniele Comboni (1831-1881) era convinto che solo l’amore di Dio, manifestatoci da Gesù, poteva salvare la “Nigrizia” (= popoli dell’Africa Centrale). Per questo era disposto a donare la sua vita e ad affrontare ogni sacrificio per l’annuncio del Vangelo. Così spiega l’apostolato del Missionario in Africa Centrale, nel rapporto sul Vicariato Apostolico dell’Africa Centrale, inviato a Mons. Luigi Ciurcia, il 15 febbraio 1870: “Le conquiste evangeliche avvengono assai diversamente da quelle politiche. L’Apostolo suda non per sé, ma per l’eternità; non cerca la sua felicità, ma quella dei suoi simili… I risultati del suo apostolato sono grandissimi, ma per lo più segreti..: li conosce solo Dio… Il mio “Piano per la rigenerazione dell’Africa”, stampato ancora nel 1864, prevede…. l’opera dei Missionari come l’educazione e la preparazione di Missionari autoctoni che diventino i futuri apostoli della Nigrizia”. E Daniele Comboni proporrà il riassunto del suo metodo apostolico con il celebre motto: “Salvare l’Africa con l’Africa”. Metodo che, tra l’altro, vale per tutte le opere apostoliche nel Mondo intero e di tutti i tempi e che non è che la pratica concreta della “rivoluzione della tenerezza” di Papa Francesco, che esige appunto l’amore incondizionato dell’altro, visto come il volto di Dio.
P. Tonino Falaguasta Nyabenda