Padre Tonino Falaguasta Nyabenda

Venerdì prossimo, 17 dicembre, incominceremo la novena in preparazione al Natale. Ormai la nascita di Gesù a Betlemme, come è raccontata dai Vangeli di Matteo e Luca, è prossima. Evidentemente noi aspettiamo anche quella gloriosa, alla fine dei tempi, quando il Signore apparirà trionfante, sulle nubi (e cioè nella sua condizione divina) per introdurci definitivamente nella comunione con il Dio-Trinità. Ma ora siamo sempre in cammino. Ascoltiamo pertanto il profeta Michea (740-670 prima di Cristo), che esclama: “E tu Betlemme di Efrata, così piccola…da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore…ed egli sarà grande fino agli estremi confini della Terra” (Michea 5, 1-4). E’ tutto l’Antico Testamento che esprime questa verità. Possiamo tradurre questa parola con un’altra: l’attesa. Giovanni Battista non fa che ripetere questa medesima parola. Egli infatti è il riassunto dell’Antico Testamento. Per niente egli grida, citando il più grande dei profeti, Isaia: “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore!” (Luca 3, 4 citando Isaia 40, 3-5). Il Signore è vicino. Bisogna fare in fretta.

Come ha fatto Maria di Nazareth, dopo aver ricevuto l’annuncio dell’Arcangelo Gabriele. Alla richiesta dell’Arcangelo e dopo le dovute spiegazioni, Maria risponde:”Sì – Fiat!” (= 0bbedisco). E si alzò, non chiese il permesso a nessuno. A quel tempo, in quella cultura, una donna (meglio una giovane ragazza di 15 anni, al massimo) doveva chiedere l’autorizzazione al padre, o al fidanzato. Niente di tutto questo. E già ciò è straordinario. Ma anche il resto è fuori dal comune. Maria va dalla sua parente Elisabetta, immediatamente dopo l’annuncio dell’Arcangelo Gabriele. Due erano le strade: la più corta, attraversando la Samaria; o la più lunga e la più sicura, seguendo la valle del fiume Giordano. Maria prende il cammino più breve e una volta giunta a Ein Kerem, vicino a Gerusalemme, un cammino di 120 km a piedi, salutò Elisabetta. Non era corretto. Si deve salutare il padrone di casa per prima cosa. No, anche in questo la Madonna manca di “educazione”, si direbbe noi. Invece le due donne si riconoscono e, per la presenza dello Spirito Santo, riconoscono il piano di Dio. Tutt’e due sono incinte. Elisabetta è al sesto mese e Maria ha appena iniziato la sua gravidanza. Elisabetta, nella sua sterilità, sta avendo un figlio, Giovanni. Maria, come vergine, avrà il Figlio di Dio. “Nulla è impossibile a Dio” aveva spiegato l’Arcangelo Gabriele, citando un passo del libro della Genesi (Genesi 18, 14), che si riferisce alla moglie di Abramo, Sara, da cui nascerà Isacco, per intervento di Dio.

Maria allora, all’annuncio dell’Arcangelo Gabriele, per opera dello Spirito Santo, diventa “Arca dell’Alleanza“. Nelle Litanie Lauretane noi preghiamo dicendo, in latino: “Foederis Arca”, appunto Arca dell’Alleanza. E nel brano odierno di Luca è sottinteso questa realtà e precisamente il trasferimento dell’Arca da Sichem a Gerusalemme, ad opera del re Davide (2 Samuele 6, 2-11). Maria di Nazareth allora è davvero “Arca dell’Alleanza”? Ce lo spiega Papa Benedetto XVI: “Per l’Antico Testamento, l’Arca è il simbolo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Ma ormai il simbolo ha ceduto il posto alla realtà. Così il Nuovo Testamento ci dice che la vera Arca dell’Alleanza è una persona viva e concreta: è la Vergine Maria“.

Che cos’era l’Arca dell’Alleanza ai tempi di Mosè? Mosè, dietro indicazioni divine, ha fatto costruire una cassetta di 125 cm x 75 x 75. Era interamente coperta da una lamina d’oro. Sopra di essa c’erano due cherubini con le ali spiegate (Esodo 25, 10-20). Dentro Mosè ha posto le due tavole dei dieci comandamenti, il bastone fiorito di suo fratello Aronne e un vaso contenente la manna. L’Arca dell’Alleanza assicurava l’assistenza di Dio e il richiamo costante alla fedeltà, per il popolo di Israele. Il re Salomone, figlio di Davide, collocò l’Arca nel tempio da lui costruito sul monte Moria a Gerusalemme. Vi rimase fino alla distruzione della città ad opera di Nabucodonosor nel 586 prima di Cristo. Il profeta Geremia invita gli Israeliti a non piangere per la scomparsa dell’Arca. Ormai Gerusalemme, che sarà ricostruita al tempo del re Ciro nel 525, sarà il trono di Dio e la Legge (simboleggiata dai dieci Comandamenti) è ormai scritta nei cuori (Geremia 31, 31-34).

All’arrivo del Messia, il simbolo diventa realtà. Lo dice l’apostolo Paolo: “In Lui (Cristo) abita la pienezza della divinità” (Colossesi 2, 9). Lo stesso Paolo afferma poi con certezza: “Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Galati 4, 4). E Maria ha nel suo grembo Gesù. Ormai Dio non abita più in un mobile di legno, ma in una persona viva e concreta: la Vergine Maria!

Avvicinatasi a Elisabetta, qualcosa di straordinario capita: “Il bambino sussultò nel suo grembo” (Luca 1, 41). E’ lo Spirito Santo che agisce, quasi come un battesimo nell’utero, perchè Gesù battezzerà, secondo quanto ha detto Giovanni Battista, “in Spirito Santo” (Marco 1, 8). Lo stesso Spirito Santo riempì il cuore di Elisabetta che esclamò: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!” (Luca 1, 42). Nella casa di un sacerdote del Tempio di Gerusalemme, muto perchè incredulo, è la donna che agisce ispirata come una profetessa. Poi l’evangelista fa riferimento al Gebuseo Araunà, quando ha visto arrivare nella sua aia il re Davide in persona (2 Samuele 24, 21). Araunà ospitava l’Arca dell’Alleanza, accanto alla sua casa. E Davide voleva portarla a Gerusalemme, in un luogo più degno.

Così Elisabetta, vedendo Maria, esclamò : “A che cosa devo che la Madre del mio Signore venga a me?” (Luca 1, 43). E poi ha aggiunto la prima beatitudine con la quale Luca apre il suo Vangelo: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (Luca 1, 45). Alla fine del Vangelo di Giovanni, Gesù si rivolge a Tommaso e gli dice: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Giovanni 20, 29). Fra queste due beatitudini si svolgerà tutta l’esistenza della Madonna, perchè ha capito che tutta la sua vita non è che la realizzazione del progetto d’amore che Dio ha con l’umanità. E Maria, dice la Chiesa, “è il modello per ogni discepolo di Gesù”.

San Daniele Comboni (1831-1881) invitava i suoi Missionari ad avere una tenera devozione per la Madre di Gesù, perchè, con il suo aiuto, Gesù sarebbe divenuto il Salvatore anche dei popoli dell’Africa Centrale. Il 7 marzo del 1873, così ha scritto al Cardinal Alessandro Barnabò, Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide: “La mia Opera è ardua: solo l’onnipotenza divina può riuscirvi. Perciò ho collocato tutta la mia speranza nel Cuore Sacratissimo di Gesù e nella potente intercessione di sua Madre, Maria Santissima”.

P. Tonino Falaguasta Nyabenda