Padre Vincenzo Percassi
I due piccoli incidenti descritti nel libro dei numeri e nel Vangelo sottolineano la libertà dell’agire di Dio. È Dio stesso che, senza dovergli alcuna spiegazione particolare, prende una parte dello spirito che è in Mosè per distribuirlo ai 70 anziani di Israele. Questi profetizzano ma per una volta soltanto, senza quindi potersi appropriare del dono. Il fatto poi che due di loro rifiutano di rispondere all’appello non sembra inquietare Dio che ugualmente li rende capaci di profetizzare in suo nome. La grazia di Dio, insomma, è assolutamente libera, non nel senso dell’arbitrarietà ma nel senso che essa è sempre più grande di ogni possibilità e di ogni nostro giudizio. A tale libertà si contrappone la meschinità del cuore umano, in questo caso espressa dalla reazione del giovane Israelita che vorrebbe che Mosè fermasse i due anziani ribelli e soprattutto dall’apostolo Giovanni nel vangelo che cerca di impedire ad un esorcista di agire nel nome di Gesù per il fatto che non fa parte della cerchia dei discepoli.
L’insegnamento di Gesù a riguardo è illuminante: “chi non è contro di noi è per noi”. Per comprendere quanto sia nuova e diversa questa saggezza occorre riflettere sul fatto che il cuore dell’uomo giudica in maniera esattamente contraria: “chi non è con noi è – almeno potenzialmente – contro di noi”. Alla radice di ogni forma di razzismo, di diffidenza, di sovranismo o di egoismo sociale spesso vi è proprio questa presupposizione irragionevole più o meno cosciente: “chi non è con noi è contro di noi”. Gesù allora invita a sostituire un criterio di giudizio molto soggettivo – legato cioè all’appartenenza, la parentela, la similarità, la consonanza di interessi – con uno più oggettivo e inclusivo: chiunque cerca il bene e la verità, anche se fosse un estraneo o uno molto diverso da te, non può mai essere contro di te, se anche tu cerchi la stessa cosa. La verità e la bontà, da chiunque vengano espresse – piccolo o grande, ateo o irreligioso – manifestano un dono dello Spirito Santo (*). Le implicazioni sono profonde. Ciò significa infatti che lo Spirito Santo riempie tutta la terra e può raggiungere il cuore di ogni uomo con libertà, che tutto ciò che è umano e che riguarda il bene e la verità dell’uomo deve trovare posto nel cuore del cristiano e che l’unico ostacolo da temere – l’unico vero scandalo da considerare – è quello che appunto pone un limite al perseguimento del bene e della verità.
È in tal senso che si spiega l’insegnamento piuttosto severo di Gesù circa gli scandali. Egli mette in luce, innanzitutto, che unica vera preoccupazione è quella di non scandalizzare nessuno, nemmeno il più piccolo nella fede. Questo tra l’altro implica che, se sei tu che ti scandalizzi per quello che fanno gli altri vuol dire che sei ancora debole, suscettibile di essere indotto in errore da influenze esterne. Del resto, quando un adulto si scandalizza per quello che fanno gli altri, rivela sempre un po’ dell’ipocrisia di chi giudica gli altri peggiori di sé stesso senza curarsi di far meglio di loro. L’unica preoccupazione utile da coltivare, invece, è quella di eliminare gli scandali che sono dentro di noi, cioè quelle cose che dall’interno possono impedirci di crescere nella libertà e nella verità. Che cosa c’è in noi stessi che può scandalizzarci, cioè che può impedirci di cercare il bene e la verità? Gli attaccamenti, le rigidità e tutti gli affetti disordinati. Non è sempre facile riconoscere nel concreto questi attaccamenti.
Ciò che Gesù insegna, quando parla di cavarsi l’occhio o tagliarsi la mano, è che in generale bisogna abituarsi ad “agire contro sé stessi” piuttosto che contro gli altri. Più, infatti, ci disponiamo a “fare un taglio” e quindi ad agire “contro” ciò che ci “piace” affettivamente, ciò che vogliamo rigidamente e ciò che ci interessa egoisticamente, più diventiamo liberi di amare e quindi capaci di accogliere meglio la libertà della grazia di Dio. Tra le tre forme di attaccamento descritte sopra ve n’è una che è particolarmente difficile da “tagliare”: l’attaccamento all’interesse materiale o economico. È così che si spiega il discorso altrettanto severo della lettera di Giacomo. L’ammonimento “guai a voi o ricchi” è un granello di sale che dovrebbe insaporire ogni discorso o sapienza umana. Esso risuona da duemila anni nella storia ed è alla base dello sviluppo di quella sensibilità tipicamente cristiana per i poveri, per i più deboli e per i loro diritti. Chi è ricco non è condannato a priori ma esortato a vivere con pienezza la sua responsabilità che è quella di rendere partecipi dei suoi beni quante più persone possibile.
Anche la ricchezza, infatti, che è un mezzo potente di sviluppo e promozione del bene può diventare un “ostacolo”, uno scandalo soprattutto per chi la possiede.
(*) San Tommaso d’Acquino
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Mi è piaciuto moltissimo e concentra tutto il senso della vita dell' uomo
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