Padre Tonino Falaguasta Nyabenda
L’insegnamento che ci viene dato in questa Domenica riguarda il “Regno di Dio”, la società alternativa che Gesù ci propone per vivere nella pace e nell’amore reciproco, attualmente e nell’eternità nella comunione con Dio. Il suo “Regno non è di questo mondo” (Giovanni 18, 36). E di questo Regno Gesù è il Re. Così lo dice anche all’autorità massima, Ponzio Pilato, che lo stava interrogando. Ma che da buon funzionario romano, non ci ha capito niente. E anche noi facciamo fatica. Gli Apostoli pure. Addirittura vorrebbero che Gesù accettasse la fondazione di un gruppo a parte, di un partito, di una “chiesa”. L’apostolo Giovanni voleva appunto impedire a una persona di scacciare i demoni perché “non ci seguiva” (Marco 9, 38). “No! – disse Gesù – Perché… chi non è contro di noi è per noi” (Marco 9, 40). La tentazione del gruppo chiuso, riservato, esclusivo è sempre attuale. Guardiamoci attorno e vediamo in base a quali principi vive la società moderna. Abbiamo una parte minima che sta bene e poi una moltitudine sterminata di “scarti”, come li definisce Papa Francesco. Fra gli scarti ci sono i poveri, i disoccupati, gli immigrati, gli ultimi che non contano, ecc. C’è una frase di Gesù, che fa parte degli “ipsissima verba Christi” e cioè delle parole certamente pronunciate dal Signore: “Nessuno può servire due padroni… Non potete servire Dio e Mammona!” (Matteo 6, 24). E’ una delle frasi più forti pronunciate da Gesù e sicuramente proprio da Lui. Mammona è una parola aramaica (= lingua popolare parlata da Gesù) e vuol dire “ricchezza” oppure anche il “démone dell’avarizia”.
San Paolo aveva capito bene quello che anche l’Antico Testamento insegnava a proposito di “mammona” o cupidigia. La cupidigia è una idolatria (Colossesi 3, 5). Anche l’apostolo Giacomo condanna fortemente il ricco egoista (seconda lettura). Essere amico del denaro o della ricchezza significa concentrare su beni creati e passeggeri il proprio cuore che appartiene solo a Dio. Gesù infatti ha detto: “Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore!” (Matteo 6, 21).
Si racconta di sant’Antonio di Padova (1195-1231) che, trovandosi in Toscana, partecipa al funerale di un uomo ricco. Vorrebbero portare la bara nel cimitero. Il Santo si oppone: “E’ senza cuore!” esclama. In effetti i medici non trovano il cuore nel petto di quell’uomo avaro. Lo trovano invece nello scrigno, dove conservava il suo tesoro. Di ben altro parere era Calvino (1509-1564), il riformatore, seguace di Martin Lutero (1483-1546) e signore di Ginevra. Per lui solo il ricco è amico di Dio e sicuro di andare in Paradiso. Tanto che Max Weber (1864-1920), celebre sociologo tedesco, affermò che appunto lo spirito del calvinismo e del protestantesimo ha permesso la nascita del capitalismo. Evidentemente siamo all’opposto del Vangelo.
San Paolo, scrivendo al suo discepolo Timoteo, dice: “La radice di ogni male è l’amore del denaro!” (1 Timoteo 6, 10). Guardiamoci attorno. Tutte le società del Mondo vivono basandosi sull’economia di mercato. La ricchezza cioè è il fondamento del benessere sociale. Così possiamo vedere un terzo dei paesi del Mondo che sfrutta le ricchezze della Terra. E i due terzi che vivacchiano. Se tutti gli abitanti del pianeta vivessero con lo standard di vita degli Italiani attualmente, le risorse della Terra non basterebbero: ce ne vorrebbero almeno due volte e mezzo in più. Il che rende la vita umana oggi impossibile e inaccettabile.
Guardiamo solo a quello che succede in Congo-Kinshasa, dove ho lavorato come Missionario. In quel paese sono concentrate l’80% delle riserve mondiali del Coltan. I nostri cellulari, le playstation, i tablet e simili hanno assoluto bisogno di questo minerale. Chi lavora nelle miniere del Congo riceve in media 10 euro al mese! Ma le multinazionali come Nokia, Eriksson, Sony, Lenovo, ecc. … fanno ottimi affari.
Papa Francesco ha scritto una lettera enciclica, il 24 maggio 2015, che dovrebbe essere letta e meditata da tutti noi, specialmente dagli uomini politici e dagli amministratori dei nostri paesi. Si intitola: “Laudato si’!”. Siamo invitati, dice il Papa, a “passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere…Noi Cristiani, inoltre, siamo chiamati ad accettare il Mondo come sacramento di comunione, come modo di condividere con Dio e con il prossimo in una scala globale” (Laudato si’, § 9). Papa Francesco definisce questo Mondo “la nostra casa comune!”.
La vita del discepolo di Gesù deve essere “generosa”, cioè altruista. Ma non per filantropia, ma per la nostra amicizia con il Signore. “Chi vi darà da bere – dice Gesù – anche solo un bicchiere d’acqua perché siete di Cristo… non perderà la sua ricompensa” (Marco 9, 41). L’amore non si manifesta nelle chiacchiere, ma nei fatti. “Perché siete di Cristo”: è la più bella definizione del discepolo, prima ancora di “cristiano”, come troviamo nel libro degli Atti degli Apostoli (Atti 11, 26). Indica relazione e appartenenza d’amore reciproco. L’uomo è sempre di qualcuno. Se non siamo di nessuno, se viviamo nella solitudine più assoluta, siamo nell’inferno.
Nei suoi consigli donati per la società alternativa, quella che costituisce il Regno di Dio, Gesù parla di scandalo “di questi piccoli che credono in me” (Marco 9, 42). Non si tratta di bambini, ma di discepoli dalla fede fragile e non affermata. Già i discepoli avevano discusso fra di loro chi fosse il più grande (Marco 9, 33-37). La risposta di Gesù è stata icastica. Il modello del discepolo non è il potente, il dominatore, il ricco sfondato, ma il bambino (Marco 9, 36). Cioè è colui che dipende in tutto e che si lascia avvolgere dall’amore gratuito del Padre. Ma far cadere questo discepolo che è ancora piccolo a causa della fragilità della sua fede è uno scandalo. Bisogna allora attaccare la mola al collo di questa persona e poi gettarla nel mare. Che cosa vuol dire Gesù? A quel tempo ogni buon Ebreo doveva essere sepolto nella Terra Promessa per poter risorgere nell’ultimo giorno. Chi scompariva nel fondo del mare, attaccato alla grossa mola che un asino faceva girare nel mulino, scompariva del tutto e non sarebbe stato sepolto nella terra donata da Dio, e quindi non poteva risorgere. E cioè Gesù, che sarà il giudice alla fine dei tempi, non vuole più vedere queste persone che scandalizzano i piccoli nella fede, né qui né in Paradiso.
E a questo proposito il Signore ci invita a separarci da tutto ciò che ci potrebbe deviare dal suo messaggio di salvezza. La mano: indica le attività; il piede indica la condotta; l’occhio: indica i valori. Taglia! Strappa! Elimina! Meglio entrare nel Regno di Dio handicappati che cadere integri nella geenna (= inferno). Anche a questo proposito sant’Antonio di Padova (1195-1231) sapeva parlare con accenti forti e persuasivi. Era in Francia meridionale, dove predicava contro gli eretici Albigesi. Un giovane gli dice di avere offeso sua madre e di averle sferrato un calcio. “Meriteresti che il tuo piede fosse tagliato!” gli disse il Santo. Tornato a casa quel giovane, pensando alle parole del Santo, prese la scure e con un colpo secco si tagliò il piede incriminato. Sant’Antonio allora, chiamato dalla madre disperata, accorse e con un segno di croce rimise il piede al suo posto. Certo sono miracoli. Ma ci insegnano a dare importanza alle parole di Gesù, per il nostro bene e per la vita eterna.
San Daniele Comboni (1831-1881) i miracoli li compì dopo la sua morte, necessari per procedere alla beatificazione del 1996 e alla canonizzazione del 2003. Ma nella sua vita di Missionario in Africa Centrale è sempre stato fedele alla urgenza della predicazione del Vangelo di Gesù. Così scrisse al suo amico don Giuseppe Pennacchi, superiore di un Seminario a Roma, il 29 novembre del 1877: “”Abbiamo cento milioni di infedeli (in Africa Centrale) da guadagnare a Cristo: vi lasceremo la pelle! Ma unendo i nostri sforzi guadagneremo quelle regioni alla Chiesa. Come san Pietro e san Paolo,… Fu il loro sangue che fece di Roma la capitale spirituale dell’universo … Moriremo, ma il nostro sangue sarà semenza di Cristiani (come diceva Tertulliano)”.
P. Tonino Falaguasta Nyabenda