Padre Vincenzo Percassi
Il Vangelo di oggi mette in luce come quella cristiana sia l’unica esperienza religiosa in cui la fede dipende non dalla conoscenza di una dottrina ma dalla conoscenza di una persona: Gesù appunto. Nessuno può credere pienamente senza pienamente comprendere “chi sia Gesù”. Il fatto che poi Gesù ponga la domanda mentre lui e i discepoli si trovano per strada mette in luce un altro aspetto dell’esperienza di fede cristiana: essa non è mai una certezza definitiva ed acquisita ed essa non dispensa mai dal rimettersi in cammino e quindi in un certo senso dal rimettersi in questione. Se uno accetta il rischio di mettersi in cammino dietro a Gesù si rende conto sempre meglio – come Pietro – che Lui è davvero il Messia cioè uno che può portare a compimento i desideri più profondi del cuore. Rendersi conto di questo significa relativizzare ogni meta che uno possa raggiungere su questa terra per dare importanza invece al fatto di restare “dietro di lui” cioè di conservare nella vita una direzione conforme a quella da Lui indicata. Non è raro, infatti, prendere una direzione nella vita che appare vantaggiosa per sé stessi ed anche buona per poi rendersi conto alla fine che essa non compie “i desideri del cuore”. Uno che vuol camminare come se fosse colui che decide quale direzione dare alla propria vita può avere l’impressione “di salvarla” per poi invece rendersi conto che l’ha persa oppure che ha perso sé stesso. Lo stesso Pietro, pur avendo intuito correttamente che Gesù è il messia, nel momento in cui pensa di decidere da sé stesso come “salvare” la sua vita e quella dello stesso Gesù si trova in piena contraddizione con la fede che il Padre gli ha rivelato. Anche Giacomo, nella seconda lettura, dovrà, proprio come Gesù, interrogare i discepoli e rimproverarli: a cosa serve la vostra fede? Essa è morta oppure è viva? Questa fede, insomma, sta salvando la vostra vita oppure la lascia nella sua condizione naturale di morte? Questo rimprovero non deve stupire.
Il cammino umile del credente è un cammino di resurrezione in resurrezione proprio perché la sua fede tende a spegnersi in questo mondo. Occorre risorgere ogni giorno ritrovando ogni giorno la direzione del cammino indicata da Gesù. Ma permettersi in cammino occorre riconoscere che la nostra vita così come è non è già salvata e non è salvabile. Essa è bisognosa di salvezza. Non si tratta di salvare la vita in generale ma ogni singolo giorno della nostra vita perché ogni giorno Gesù chiama a prendere la propria croce e seguire lui. Che questa nostra vita sia necessitosa di salvezza non è affatto ovvio nella logica umana. Quando infatti Gesù dice che sarà rifiutato dagli anziani, dai sacerdoti e dagli scribi praticamente sta dicendo che il tipo di fede che Egli ha portato sulla terra sarà spesso giudicato come “irrilevante” se non fastidioso da qualsiasi “autorità” terrena: politica (gli anziani), religiosa (i sacerdoti) e culturale (gli scribi). Ma per continuare a credere senza l’appoggio di un’autorità mondana devo potermi appoggiare a qualcuno che ha vinto il mondo. Certo vi è la fede della Chiesa che ci sostiene ma anch’essa, proprio come la fede di Pietro nel Vangelo, dovrà essere purificata in ogni epoca. In ogni tempo Gesù non cessa di rimproverare la sua chiesa come ha rimproverato Pietro: “torna dietro a me perché ti sei messo dalla parte di satana e pensi secondo gli uomini”.
Per chi crede che la storia è guidata dal risorto il fatto che la Chiesa sia “sbattuta in prima pagina” non è un disastro ma un salutare rimprovero che umiliandola le permetterà di ritrovare la sua posizione di discepola che segue il Signore piuttosto che inseguire il mondo. La fede che salva non è comunque il privilegio di pochi eroi del sacro ma la grazia fatta a chi accetta il rischio di rimanere dietro a Gesù quando tutto suggerirebbe di prendere una strada più comoda ma non vitale.
Cosa significa concretamente “rimanere” dietro a Gesù? Lo spiega lui stesso con brevi parole: chi vuol venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno. Ognuno comprenderà nel tempo il senso compiuto di questo invito ma in generale esso implica l’accettazione della realtà quotidiana anche nei suoi aspetti contraddittori: anche le cose che ti fanno soffrire, le cose che ti fanno vergognare, le cose che ti fanno arrabbiare. Accettarle – cioè prendere come la propria croce – non significa né subirle né approvarle. Significa viverle responsabilmente cercando di orientarle al bene. Questo però a partire dalla fede.
A partire cioè dalla consapevolezza che nella realtà che sto vivendo non vi è solo la malevolenza degli altri e l’ostilità delle circostanze ma vi è uno che ha già percorso il cammino che conduce oltre la morte, che è vivo accanto a me e che mi conduce con sicurezza verso ciò che salva la mia vita e riempie il mio cuore: Dio mi assiste – dice il profeta Isaia – per questo so che non resterò confuso, non sarò deluso, non sarò giudicato colpevole.