Padre Tonino Falaguasta Nyabenda
Ancora per questa Domenica ci soffermiamo sul capitolo 6° del Vangelo di Giovanni, e cioé sul discorso del Pane per arrivare a capire chi è veramente Gesù e scoprire la sua personalità. Da Domenica prossima, ci dedicheremo alla lettura continua del resto del Vangelo di Marco, fino alla fine dell’Anno Liturgico B con l’inizio dell’Avvento (= 28 novembre 2021).
La lunga catechesi, secondo il quarto evangelista, viene pronunciata da Gesù nella sinagoga di Cafarnao. Cafarnao era la città che il Signore aveva scelto, era quasi la sua città. Anche oggi, per chi va in pellegrinaggio in Terra Santa, la sosta a Cafarnao è obbligatoria. Si entra in una chiesa dalla forma di un uovo schiacciato e con il pavimento in parte di vetro. Sotto infatti, si può scorgere la casa di Pietro, trasformata in seguito in chiesa, dove i graffiti esprimono ancora la fede dei Cristiani nella presenza di Gesù nella casa del capo degli Apostoli. Ma al tempo dell’insegnamento di Gesù a Cafarnao (si vede ancora la sinagoga del terzo secolo con le fondamenta di quella del tempo del Rabbi di Nazareth) Simone era chiamato anche Pietro, con il soprannome datogli da Gesù. Quando nei Vangeli si cita Simon Pietro, si vuole indicare che l’Apostolo in parte dice la verità e in parte racconta la sua mancanza della vera fede. Egli esclama infatti: “Tu hai parole di vita eterna!” ed è l’aspetto positivo della sua professione di fede. Ma aggiunge: “Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio!” (Giovanni 6, 68-69). Gesù è sempre il Santo di Dio, cioè il Messia, come la credenza popolare lo attendeva, come anche gli spiriti immondi lo proclamavano (Marco 1, 24): un Re vittorioso, capace di condurre Israele al dominio del Mondo. Ma Gesù parla del mistero della Croce, del pane spezzato e del sangue versato. Solo dopo, arriva la Risurrezione (Leggi anche: Giovanni 6, 62).
Questa volta l’insegnamento di Gesù è dato a Cafarnao, nella città simbolo del successo umano, dove ci sono case, strade, luoghi di socializzazione, come le sinagoghe, i mercati, il porto sul lago di Galilea, i crocicchi delle grandi strade, ecc. La città accoglie e permette la ricchezza delle relazioni umane. Gesù non sta più nel deserto, ma dove si esprime la pienezza dell’umanità. Ed è qui che il Signore tiene il discorso sul pane di vita. Ma questo discorso è rifiutato dalla folla, che si attendeva da Gesù che si comportasse come un Re, dalle autorità che non potevano perdere la loro aureola di potere e di dominio, e ora anche dai discepoli. “Volete andarvene anche voi?” ha chiesto Gesù agli Apostoli (Giovanni 6, 67). Le parole di Gesù sul pane di vita sono troppo dure. Ma dove sta la durezza? Nelle sue parole o nel nostro cuore che non le accoglie? Siamo talmente ciechi, resi tali dal nostro egoismo, che il bene ci sembra male e il male bene. “E questo vi scandalizza?” dice Gesù (Giovanni 6, 61). Che cos’è questo scandalo? Oggetto di questo scandalo è che il pane di vita sia la sua carne data per la vita del Mondo. E’ lo scandalo della Croce. Lo ripeteva spesso anche l’Apostolo Paolo: il Cristo crocifisso è “Scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani!” (1 Corinzi 1, 23). Per i discepoli, come per il Mondo, la Croce è segno di debolezza e di stoltezza, è il naufragio di ogni speranza. Ma per Dio è la forza e la sapienza estrema dell’amore. Infatti accettare la carne di Gesù data per noi è la nostra salvezza. “Cardo salutis caro” (= la carne di Cristo è la base, la radice, il cardine della nostra salvezza) diceva il grande apologista e Padre della Chiesa Tertulliano (150-220 dopo Cristo). Ma queste parole, dice Gesù “sono Spirito e sono vita” (Giovanni 6, 63). Ci sono parole che tolgono il respiro, chiudono il cuore e uccidono. Le parole di Gesù, che noi consideriamo dure e inaccettabili, ci danno in realtà il respiro di Dio. Bisogna superare questo scandalo, che ci colpisce a prima vista. Dobbiamo accogliere la parola del Figlio, per avere il dono dello Spirito e della vita di Dio. E’ in questo Gesù, “pane vivo disceso dal Cielo”, che si compie finalmente l’Alleanza definitiva.
Il capitolo sesto di Giovanni è una rilettura di Esodo, capitolo 16. E’ come un midrash ebraico, che ripropone l’attualizzazione di una realtà dell’Antico Testamento e quindi la nuova comprensione della stessa. Si tratta della manna. “Il Signore disse a Mosè: ‘Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore vostro Dio!” (Esodo 16, 11-12). Anche noi ora, con la guida di Giovanni, siamo invitati a capire chi è questa manna, questo cibo speciale, questo Pane-Persona. Egli è il “Logos-Pane”.
Con la promessa della fedeltà all’Alleanza, entrando nella Terra Promessa (Giosué 24, 1-28), gli Israeliti si impegnarono a servire il Signore, cioè a non allontanarsi da Lui, come ha detto Simon Pietro, in risposta alla domanda di Gesù: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna” (Giovanni 6, 68). Finalmente la fedeltà all’Alleanza significa rifiuto di servire altri dei, e scoprire che solo in Gesù possiamo vivere l’Alleanza definitiva. La possiamo capire con chiarezza nel contesto dell’Ultima Cena. Gesù, dopo aver preso il pane e averlo distribuito, dicendo: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo” (Marco 14, 22), prende il calice del vino, lo benedice e lo fa circolare: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’Alleanza, che sarà sparso per una moltitudine” (Marco 14, 24). La distribuzione del calice è un gesto rituale, ma, con le parole pronunciate, Gesù lo collega all’atto che sta per compiere e cioè alla sua morte accettata liberamente per la redenzione dell’umanità. Questa morte, Gesù la considera un atto espiatorio (Isaia 53, 10), diventando così il mediatore della nuova Alleanza, come già avevano previsto i profeti Geremia e Ezechiele. Per questa nuova Alleanza, e in virtù del sangue di Cristo, i cuori umani saranno convertiti, cambiati, e riceveranno lo Spirito di Dio. La morte di Cristo, con la conclusione della Nuova Alleanza, sarà nello stesso tempo sacrificio di Pasqua e sacrificio espiatorio. Nel sacrificio eucaristico, un gesto rituale che Gesù stesso ordina di ripetere in sua memoria (1 Corinzi 11, 25), noi Cristiani, se abbiamo fede, siamo uniti al mistero della nuova Alleanza. Mediante il sacrificio del suo corpo immolato e del suo sangue versato, come sperimentiamo nel sacramento dell’Eucaristia, sappiamo di essere il corpo di Cristo. Cerchiamo di capire il vero senso dell’Eucaristia, allora mangiare il pane, cioè la carne del Cristo, deve portarci a divenire noi pure pane per gli altri. Partecipare all’Eucaristia, senza che questo amore di Gesù che ci viene donato non si trasformi in amore comunicato agli altri, diventa per noi un rito inutile e vuoto.
San Daniele Comboni (1831-1881) basava la vita spirituale dei suoi Missionari nel mistero eucaristico. La giornata di lavoro, specialmente in Africa Centrale, doveva cominciare con la Messa, sorgente di forza e di grazia senza limiti. Così stabilisce nel Regolamento per i Missionari di Khartoum (Sudan), del 2 febbraio 1879: “Siccome il Missionario deve insegnare non solo con la parola, ma ancor più e meglio con l’esempio, ecco l’orario comune da osservare: … ore 6: santa Messa, meditazione e orazioni della Comunità… Lavoro… 11e30: lettura spirituale in chiesa e visita al SS. Sacramento… All’Ave Maria: Rosario in chiesa, visita al SS. Sacramento, esame di coscienza… Riposo. .. Questo Regolamento ed Orario è obbligatorio per tutti”.
P. Tonino Falaguasta Nyabenda
Ciao, p.Luigi, mi sei stato compagno amabilissimo per sette anni a Rebbiò e a Crema. Che il Signore ti abbia…
Mi è piaciuto moltissimo e concentra tutto il senso della vita dell' uomo
L'ho incontrato più volte a Firenze, negli anni prima del sacerdozio, ci siamo scritte delle lettere, sono andata a trovarlo…
Ciao, padre Graziadio. E’ giunta l’ora per te, di riscuotere per l’eternità, il giusto compenso per quel granfe amore che,…
Ciao Santina, perdona il ritardo nel risponderti. Sarebbe bello potersi conoscere. Ti lasciamo qui scritti i contatti in modo da…