Padre Luigi Consonni

Commento alle letture: ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA (15/08/2021)

Prima lettura (Ap 11,19; 12,1-6.10)

Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza.
Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto.
Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra.
Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito.
Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio.
Allora udii una voce potente nel cielo che diceva:
«Ora si è compiuta
la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio
e la potenza del suo Cristo».

La scena che si spalanca davanti agli occhi dell’autore del brano tratto dall’Apocalisse è grandiosa, e oggi siamo invitati a contemplarla e interpretarla.
Nel cielo”, cioè nel mondo di Dio, compaiono due segni. Il primo è qualificato come “grandioso (…) una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle”. È incinta, grida per le doglie del parto e dà alla luce un figlio.
Il secondo segno è “un enorme drago rosso”, un serpente gigantesco arrossato dal sangue, dotato di forza spaventosa – simboleggiata dalle sette teste, dieci corna e sette diademi. Con la coda trascina giù dal cielo un terzo delle stelle e le precipita sulla terra. Poi si pone davanti alla donna che sta partorendo e tenta di divorargli il figlio appena nato. Ha fretta, perché sa che questo bambino “è destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro”.
Dio interviene, prende il figlio e lo porta verso il cielo, mentre la donna cerca rifugio nel deserto ove rimane per tre anni e mezzo, alimentata dal Signore. Scoppia allora una battaglia titanica: in cielo si affrontano da una parte Michele con i suoi angeli, dall’altra il grande drago con i suoi angeli. Il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo, satana, seduttore di tutta la terra, è precipitato sulla terra e con lui sono precipitati anche i suoi angeli (vv. 7-9).
La scena di questo combattimento non è riportata dalla lettura odierna, che si conclude con il canto di vittoria, intonato in cielo da una voce misteriosa, al termine del terrificante scontro: “Ora si è compiuta la salvezza e il regno del nostro Dio”.
Dopo questo sguardo d’insieme siamo in grado fare un’analisi più dettagliata del brano.
Questa pagina è stata composta verso la fine del I secolo, in un momento difficile per le comunità cristiane, tentate di apostasia a causa dei soprusi, delle angherie e della persecuzione cui erano sottoposte. L’autore si rivolge a loro in modo volutamente criptato, per non incorrere nelle rappresaglie del potere. Ricorre a immagini e simboli che i suoi lettori – che conoscono l’Antico Testamento – sanno immediatamente decodificare.
Ci chiediamo anzitutto chi è “il figlio maschio” che viene dato alla luce. Il destino che lo attende, e che è riferito con la citazione del Salmo 2,9, non lascia dubbi sulla sua identità. In tutto il Nuovo Testamento colui che è chiamato a “governare tutte le genti con verga di ferro” è sempre Cristo.
Se è lui il bambino che sta per nascere, allora la “donna” non può che essere Maria. È questa l’interpretazione più semplice e immediata, e difatti la Madonna è spesso raffigurata luminosa come il sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo.
In realtà le comunità cristiane – che decifravano il simbolismo del testo alla luce dell’Antico Testamento – non pensavano a Maria, ma al “popolo di Dio” che, nella Bibbia, è personificato dalla donna, sposa feconda del Signore, madre del messia. Qui la donna raffigura “la comunità cristiana” e incarna il resto fedele di Israele. È “vestita di sole, astro che, per il suo fulgore e la sua magnificenza, era ritenuto il simbolo di tutto ciò che è bello (Ct 6,10) e dello stesso Dio (Sl 84,12).
La comunità cristiana, amata dal Signore e colmata dei suoi doni più preziosi, è splendida perché in lei brilla una luce divina. “La luna” era, presso i popoli dell’antico Medio Oriente, il dio che, per le sue fasi di crescita e calo, era in rapporto con il mutare del tempo. Nel testo questo dio luna è schiacciato dalla comunità dei credenti. Questa comunità non è soggetta ai condizionamenti del tempo, non è in balia delle vicissitudini di questo mondo transitorio perché è già nel mondo dell’Eterno. “La corona sul capo” indica il trionfo. Nella prospettiva di Dio, la chiesa ha già ottenuto la vittoria definitiva sul male. “Le dodici stelle” mettono in risalto la sua identità: è il vero Israele che porta a compimento le promesse fatte ad Abramo.
Anche “il secondo segno” compare in cielo, cioè, nel mondo di Dio. È un enorme drago rosso che si oppone alla nascita del bimbo. È il simbolo di tutte le forze ostili a Dio che si incarnano nei centri di potere. Hanno tre caratteristiche: sono perfetti nel progettare il male (hanno “sette teste”), sono mostruosi quanto a forza, ma non invincibili (hanno “dieci corna”), trionfano e ricevono, da tutti, onori e riconoscimenti (hanno sette “diademi”).
Queste strutture diaboliche si oppongono al bimbo fin dal giorno della sua “nascita”. Va chiarito però che la “nascita di Cristo”, cui fa riferimento l’autore del testo, non è il parto di Maria a Betlemme, ma la Pasqua. È quello il momento in cui Cristo, nascendo dal sepolcro, è apparso al mondo come il messia di Dio.
Da subito le potenze del male si sono scagliate contro di lui, ma egli è irraggiungibile: il Padre lo ha accolto nella sua gloria. Il drago ha la testa schiacciata – colpito a morte dalla forza divina del Risorto (Michele non è altri che lo stesso Dio) -, è definitivamente sconfitto, ma ancora si dibatte e con la coda riesce a trascinare sulla terra “un terzo delle stelle del cielo”.
Queste non rappresentano gli angeli, ma i cristiani dell’Asia minore i quali, sconvolti e disorientati, non resistono alle seduzioni del maligno, rinnegano la loro fede e abbandonano in gran numero le loro comunità. La donna che fugge e cerca rifugio nel “deserto” è il popolo di Dio che non ha ceduto alle lusinghe e alla forza del drago.
Il Signore la mette alla prova, come ha fatto con Israele, e la colloca nella condizione in cui può mostrare a Dio l’autenticità del suo amore; e non l’abbandona, anzi la assiste con la sua manna: il pane della Parola e dell’Eucaristia.
Mille duecentosessanta giorni” corrispondono a tre anni e mezzo, il tempo che – secondo il profeta Daniele (Dn 7,25) – indica la durata di una persecuzione molto dolorosa, ma breve. A questo punto una conclusione si impone: se il bambino è Cristo e la donna non è Maria, ma la comunità dei credenti, allora il figlio-Cristo nasce dalla chiesa.
È proprio così, ed è questo il messaggio commovente che l’autore vuole far giungere ai cristiani scoraggiati delle sue comunità. Li invita a prendere coscienza della loro sublime identità. Giorno dopo giorno, con fatica, dolore e in mezzo a prove di ogni genere, stanno dando alla luce l’uomo nuovo, Cristo, nella storia del mondo.
Paolo era consapevole di questa missione materna quando scriveva ai Galati: “Figlioli miei per voi io soffro ripetutamente le doglie del parto, finché Cristo prenda consistenza in voi” (Gal 4,19). Le violenze, le menzogne, le crudeltà fanno soffrire, ma non possono spaventare il credente perché non sono presagi di morte, ma ineluttabili doglie di un difficile parto.

Se la donna non è Maria, ma la comunità, come mai la liturgia ci propone questo brano nella festa dell’Assunta? Tutti i testi – sia dell’Antico che del Nuovo Testamento – in cui si parla del popolo fedele a Dio, possono essere giustamente riferiti a Maria perché è da lei che è nato il Messia, è lei la donna-Israele.
L’invito che oggi ci viene rivolto è di guardare a lei, al modo con cui ha portato a compimento la sua missione di madre. Rispecchiandosi in lei la chiesa scopre la propria identità di generatrice del Cristo totale, di Colui che ricapitolerà in sé tutto il creato.
Il canto finale “Ora si è compiuta la salvezza” è un invito alla speranza. Malgrado lo strapotere che ancora ostentano le forze del male, il credente sa che il drago è già stato sconfitto dalla “potenza di Cristo”; i suoi colpi di coda saranno ancora terrificanti, ma la testa è stata schiacciata – come Dio aveva predetto, fin dall’inizio del mondo (Gn 3,15).

 

Seconda lettura (1Cor 15, 20-26)

Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.
Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza.
È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi.

Maria è stata assunta in cielo corpo e anima, ossia, con tutto il suo essere, è già partecipe della risurrezione dei morti che spetta tutti noi, senza aver subito la corruzione del corpo fisico. Per questo motivo la Chiesa ha scelto come seconda lettura questo brano della lettera ai Corinti, in cui Paolo mette in chiaro come avverrà la resurrezione dei morti.
I cristiani di Corinto, infatti, avevano assunto un’interpretazione tutta loro della risurrezione di Cristo: in forza della loro professione di fede pensavano di partecipare già spiritualmente alla salvezza cristiana e il momento della morte era visto per loro come il passaggio definitivo verso questa situazione di pienezza. Escludevano così la risurrezione futura promessa, invece, dalla predicazione di Paolo e dal Vangelo. Nel capitolo 15 della sua lettera Paolo mette in chiaro la situazione: Cristo è davvero risorto ed è stato il primo. Poi risorgeranno tutti coloro che gli appartengono ed egli riconsegnerà il suo regno a Dio Padre. Se Cristo è il primo di coloro che risorgono dai morti, Maria è la seconda e con la sua assunzione al cielo ci ricorda il destino di gloria e di felicità che attende tutti noi dopo il passaggio della morte.
Cristo invece è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti”. Paolo esordisce ricordando le obiezioni fondamentali dei Corinti riguardo la risurrezione dei morti e, utilizzando un ragionamento per assurdo, ricorda loro che se non si ammette la risurrezione dei morti nemmeno Cristo è morto, e quindi vana è la nostra fede e la predicazione di Paolo non ha alcun senso.
Dopo di ciò afferma la verità della risurrezione di Cristo. Cristo è davvero risorto dai morti, e non è stato un fatto sporadico, eccezionale: egli è la primizia di coloro che sono morti, cioè il primo di una lunga serie. La primizia, infatti, era il primo frutto del raccolto, il primo capo di bestiame nato all’inizio della stagione. Questi primi frutti venivano presentati al Tempio in segno di riconoscenza al Signore, ma venivano seguiti dalle altre offerte. Così Cristo è la primizia dei risorti e tutti coloro che credono in Lui, in forza di Lui, otterranno il dono della risurrezione.
Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita”.
Paolo rafforza la sua affermazione con un paragone. Secondo la teologia giudaica la morte era entrata nel mondo a causa del peccato di Adamo. Paolo costruisce un parallelismo: se la morte è entrata a causa di un uomo, anche la risurrezione entrerà nell’esperienza umana per mezzo di un uomo. Così, se Adamo è stato motivo di morte, Cristo è motivo di resurrezione dai morti.
Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo”. Paolo compie qui un allargamento di orizzonte. La risurrezione dai morti di tutti coloro che credono in Cristo avverrà in una situazione ben precisa: il ritorno di Cristo nella gloria (Parusia). Quando tornerà, alla fine dei tempi, richiamerà dalla morte e dalle tenebre tutti coloro che gli appartengono.
Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza”. La sua venuta nella gloria sarà anche il momento in cui Egli trionferà sopra ogni male e sopra ogni potenza che gli è avversa. I Principati e le Potenze, che vengono ricordati spesso nelle lettere di Paolo, sono le creature angeliche che nel mondo precristiano governano l’universo fisico (Gal 3,19 e Col 2,15).
Talvolta, come in questo caso, sono considerate concorrenti nei confronti di Dio, soprattutto perché vi erano delle correnti religiose che gli tributavano un certo culto. Il Regno di Dio è apparso sulla terra con l’incarnazione di Cristo, ma si manifesterà pienamente solo alla sua venuta finale, quando sarà libero dalle minacce di tutti i suoi nemici. Allora Cristo lo consegnerà al Padre e la sua missione sarà compiuta.
È necessario, infatti, che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi”. C’è una lotta in atto e Cristo deve porre tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi (Sal 110,1). È il disegno divino preannunciato nell’Antico Testamento, e che si realizza in Cristo.
L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi”. Tutti i nemici di Dio saranno sottomessi a Cristo, l’ultimo sarà la morte poiché Egli, alla sua venuta, chiamerà dai sepolcri tutti i suoi fedeli. Tutto sarà ricapitolato da Cristo e tutti coloro che lo hanno riconosciuto come Signore della loro vita gioiranno per sempre nella partecipazione al suo Regno di giustizia e di pace. È questa la nostra speranza, la nostra fede che va al di là della morte, e Maria ne è già partecipe.

 

Vangelo (Lc 1,39-56) – adattamento dal commento di Alberto Maggi

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

 Luca presenta Maria come modello del credente. E infatti vede in lei l’arca della nuova alleanza. L’arca era il cofano di legno che conteneva le tavole della legge; ebbene, Maria rappresenta l’arca della nuova alleanza, che contiene Gesù, il dono di Dio all’umanità.

Subito dopo l’annunciazione, scrive l’evangelista (1,39), “Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montagnosa in una città di Giuda”. Per raggiungere la Giudea da Nazareth c’erano due possibilità: o la più comoda, agevole e sicura valle del Giordano, o la più rischiosa – e per questo veniva evitata – zona montagnosa della Samaria.
Ebbene Maria, che si trova incinta di Gesù, non ha esitazioni: il desiderio di manifestare questa pienezza di vita che in lei sta palpitando – in amore si dona il servizio per gli altri – è più forte della propria sicurezza. Maria mette a repentaglio la propria sicurezza per il bisogno di portare vita, per portare il servizio, alla parente della Giudea.
Quindi mette a rischio la propria vita passando per la regione montagnosa. “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò …” – e ci saremmo aspettati che Maria salutasse il padrone di casa -. No! Zaccaria è sacerdote, e come tale è refrattario all’azione dello Spirito e quindi Maria non può rivolgergli il saluto. Il saluto di Maria va alla donna, Elisabetta, nella quale, come lei, palpita una vita nuova. E l’evangelista anticipa in questa azione quella che poi sarà la versione di Gesù, cioè battezzare, immergere ogni individuo nello Spirito Santo, ossia nella pienezza dell’amore di Dio. Infatti “Elisabetta fu colmata di Spirito Santo” e prorompe in una lode al Signore nella quale spiccano le parole “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?”.
L’evangelista prende quest’espressione dal re Davide, nel secondo libro di Samuele al capitolo 6, versetto 9, dove Davide dice: “Come potrà venire a me l’arca del Signore?” Quindi, in Maria, Luca vede l’arca della nuova alleanza: non quella basata sulla legge, ma quella basata sull’accoglienza del suo amore. Ed Elisabetta prorompe nella beatitudine nei confronti di Maria: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”.
È una beatitudine per Maria ma è anche un rimprovero per Zaccaria. Se Maria è beata perché ha creduto, Zaccaria, il sacerdote, marito di Elisabetta, non è beato, cioè non è felice appunto perché non ha creduto.
E poi l’evangelista omette nel testo antico originale di indicare il soggetto (poi successivamente) hanno messo Maria ma, in alcuni testi, c’è Elisabetta, perché l’evangelista unisce le due donne in un inno di lode al Signore, un Dio che interviene nella storia e sta sempre a fianco dei poveri, a fianco degli umili, a fianco degli umiliati.
Un Dio che sta con gli oppressi e mai con gli oppressori! E infatti si ricorda la liberazione dell’Esodo: “Grandi cose”. Grandi cose è un termine tecnico con il quale si indicava la liberazione dalla schiavitù egiziana, “ha fatto per me il potente” (non l’onnipotente. Dio è conosciuto come il potente) perché poi, più avanti, dice: “ha rovesciato i potenti dai troni”.
Quando si crede in un unico potente, gli altri potenti non hanno più il loro trono. Credere in un unico Dio, che governa la vita degli uomini, significa togliere questo governo agli uomini che pretendono di dominare le altre persone. Quindi, in questo inno conosciuto come il Magnificat (dalla prima parola latina dello stesso) le speranze del popolo di Israele vedranno in Gesù e nei suoi discepoli, in tutti i suoi seguaci, la loro realizzazione.
E infatti l’evangelista anticipa le beatitudini: “Ha ricolmato di beni gli affamati”; poi Gesù dirà: “Beati gli affamati perché saranno saziati”; “E ha rimandato i ricchi a mani vuote”. La ricchezza era considerata una benedizione in quella cultura, per Gesù invece no, è frutto di egoismo e di avidità e Gesù piange come morti i ricchi: “Ahi ai ricchi”.
E si conclude questo inno con l’espressione: “Maria rimase con lei circa tre mesi e poi tornò a casa sua”.
Identica espressione a quella che si trova nel secondo libro di Samuele, capitolo 6 versetto 11: “L’arca del Signore rimase tre mesi”,
esattamente come Maria, “in casa di Obed-Edom di Gat, e il Signore benedisse Obed-Edon e tutta la sua casa”.
Quindi nella presenza di Maria, l’arca della nuova alleanza, nella quale non sono contenute le tavole della legge ma Gesù, espressione dell’amore di Dio per l’umanità e che invita a una nuova relazione degli uomini con Dio, è rappresentata la bellezza della buona notizia di Gesù.
Ovunque il credente, come Maria, vada, ovunque il credente, come Maria, rimanga, è fonte di benedizione per le persone e per tutta la casa.