La prima volta che ho percorso l’avevue Bazanga che scende verso nord est dalla città di Isiro e poi sale e gira a sinistra verso la parrocchia di Sainte Anne, sono stato colpito dalla corale di “Ciaoooo” di bambini dai giovani e da diversa gente, mai sentito una cosa simile neanche nel Paese dei Ciao. Era l’agosto del 1980 e arrivavo trentenne nel allora Zaire del maresciallo Mobutu Sese Seko Kukumbendu wa Zabanga, ex Dèsiré e ex Joseph. Il Maresciallo ora è un “Fu” sepolto all’estero in un cimitero cristiano, in un paese musulmano come il Marocco. Aveva condotto la sua guerra contro i cattolici e in particolare contro il Card. Malula, nazionalizzando le scuole, togliendo i crocifissi, e vietando di battezzare con nomi cristiani, ma solo con i nomi locali. Per tutte le pecche (chiamiamole pecche per essere teneri) del Maresciallo. ritengo che sulla sua lapide bastava scrivere “Ex- Desiré R.I.P”.

Il parroco di Sainte Anne era P. Lorenzo Farronato che un giorno ebbe l’idea di salutare una scolaresca con un bel “Ciao”. La frittata era fatta. Fu battezzato da tutti come “Padre Ciao”, che non era un nome cristiano e non faceva torto alla legge del Maresciallo. Girava con una vecchia Guzzi Stornello a cui aveva tolto buona parte del silenziatore. Quando usciva preannunciava il suo arrivo quando ancora era distante anche un chilometro, e tutti accompagnavano il passaggio “petardante” dello Stornello con entusiastici “ciaooooo!!!”.

Per farla breve, eccoci ai nostri giorni… Dopo l’eruzione del vulcano Nyiragongo di Goma, i voli della compagnia Congo Airwais da Goma a Kisangani via Bunia e Isiro sono stati annullati. Per oltre un mese qui a Isiro siamo stati isolati. I voli di questa tratta sono ripresi da poco. Con il volo di giovedì scorso, dopo cinquantun anni dal suo primo arrivo a Sainte Anne, ri-ecco tra noi Padre Ciao. Ora di anni ne ha ottantatre, con una salute di ferro sia pur con una leggera ruggine alle giunture e di grinta ancora da vendere a buon prezzo per i giovani. Non aveva ancora messo piede a Sainte Anne che già sognavo di intervistalo. L’ho lasciato in pace il primo giorno e poi l’ho messo subito con le spalle al muro.

Dicci qualcosa delle tue radici vicentine…
Sono nato in una famiglia numerosa: mia mamma Marcellina e mio papà Angelo hanno cresciuto quindici figli, solo uno è morto giovane a otto anni. La mamma ha coltivato bene il terreno e il Signore ha trovato fede e disponibilità così si è scelto due missionari Comboniani, due suore Paoline, e dieci sposati o sposate. Pure i due fratelli gemelli Giuseppe e Elio, si sono detti: “Ognuno dev’essere se stesso” e hanno preso prendendo una decisione importante anche se sofferta. Giuseppe ha formato famiglia e ha avuto cinque figli e Elio è diventato missionario. Giuseppe ha amato la sua famiglia ma ha avuto sempre un cuore da missionario collaborando concretamente con noi fratelli. E’ venuto alcune volte in Africa, tra noi per aiutare con la sua competenza e capacità in diverse opere come ad esempio la cappella di S. Giuseppe a Rungu nei pressi del fiume Bomokandi dove i ribelli Simba nel 1964 hanno ucciso quattro confratelli e altri missionari.
Mio papà ha iniziato a lavorare come carrettiere, facendo trasporti con carro e cavallo. Essendo una persona di grande iniziativa e capacità, assieme ai fratelli ha fondato una impresa per lavori di sterramento, con cave per estrazione di pietre, ghiaia e graniglia per pavimenti e via dicendo. Come impresa avevano molti operai. Tutti noi fratelli, siamo stati alla scuola del papà fin da piccoli. Avevamo le mani nei sassi, e direi abbiamo imparato a amare anche i sassi come maestri di vita. Il papà era piuttosto severo, e la mamma cercava di addolcire. Lei diceva: “Mio padre è stato severo con noi figli. I miei di figli non dovranno aver paura di me”. Al contrario il papà aveva avuto un genitore che lasciava correre le cose, e lui diceva: “ Così non va bene! I miei figli devono crescere nella disciplina”.

Immagino che la mamma sia stata colei che oltre alla vita ha curato la vostra fede…
La mamma Marcellina era una santa mamma che ci amava teneramente e che arrivava al punto di dire: “Preferirei morire piuttosto che vedervi nel peccato”. Sulla sua lapide c’è scritto: “Amatevi come io vi ho amato”. Immagino quanto sia felice nel vedere che tutti noi fratelli e sorella siamo uniti e ci vogliamo così bene. Io e Elio abbiamo sentito che la mamma lasciando questo mondo ci ha dato dieci mamme: Le nostre sorelle.

Come è nata la tua vocazione missionaria?
Fin da piccoli avevamo tra le mani e leggevamo con avidità il “piccolo Missionario” giornalino per ragazzi dei Missionari Comboniani, e mi dicevo anch’io potrei essere missionario. Mentre ero in quarta elementare venne nella nostra scuola P, Augusto Frison per parlarci della sua esperienza di vita missionaria e della bellezza di questa vocazione. Rimasi incantato e mi misi in lista per entrare nel seminario comboniano di Padova. Non ero quello che si dice “uno stinco di santo” direi piuttosto scapestrato. I superiori volevano rispedirmi a casa, ma Dio ha i suoi piani e come vedi sono ancora qua. Ho amato la formazione soprattutto a partire dal noviziato che ho vissuto in Inghilterra. Il Padre maestro era inglese e con un carattere un po’ difficile. Alcuni novizi trovavano difficoltà con lui e perdevano la pazienza. Mi sono detto, e ho detto loro: “Ecco una buona occasione, una opportunità per imparare la pazienza che ci sarà utile nella vita missionaria”. Alla fine di questo periodo, il padre Maestro mi ha stupito ringraziandomi per la collaborazione che gli ho dato per il suo compito. Ho iniziato gli studi filosofici sempre nel U.K. completandoli poi con la Teologia a Verona e a Trento dove sono stato inviato come prefetto per i nostri seminaristi.

E i due gemelli Elio e Giuseppe?
Diciamo che in quanto a vivacità e marachelle mi battevano. Loro “una ne pensavano e dieci ne combinavano”. Elio si sentiva attratto dalla vocazione missionaria , ma prima di decidersi completò le scuole tecniche dai Salesiani.
Sono stato ordinato sacerdote al Tempio Votivo di Verona dal cardinal Aghagianian nel 1964, eravamo la bellezza di 53 nuovi padri comboniani. Tempi di tante e belle vocazioni che chissà se ritorneranno….
Dal 64 al 67 sono rimasto in Italia per l’animazione missionaria nella zona di Milano e tra i ragazzi di allora c’erano fratel Toni Piasini, i fratelli Gino e Guerrino Baldo, e P. Giovanni Zaffanelli.

La tua formazione e gli anni in Inghilterra ti preparavano a paesi di missione anglofoni, Come mai ti sei poi ritrovato in Zaire?
Nel 1964, con la ribellione dei Simba, molti missionari furono uccisi, tra cui quattro tra i nostri primi otto missionari in questa terra. Il loro martirio ha spinto me e altri confratelli a renderci disponibili a prendere il loro posto. Sono arrivato l’undici gennaio del 1968 e andai subito a Rungu che a quel tempo era la nostra missione di referenza con la presenza di p. Fernando Colombo come superiore della Delegazione. Fui inviato a Nangazizi per iniziare una nuova missione, poi a Tadu continuare l’opera dei Domenicani che lasciavano la missione.

Come sono stati gli inizi della Parrocchia di Sainte Anne?
Infine ai primi di luglio del 1970 mi ritrovai a Isiro per iniziare la parrocchia di Sainte Anne su un terreno donato alla diocesi dalla fabbrica di lavorazione del cotone, Comaco Gosamu. Il terreno aveva diverse casette abbandonate dagli operai della Comaco diventate covo di banditi per non dire altro. Scelsi una delle tante catapecchie, a dirla in termini coloriti, “un vero cesso”, vicine al terreno dove sarebbe sorta la chiesa e l’ho resa sufficientemente accogliente e abitabile.
Il primo anno sono rimasto solo, ma non ho perso tempo, e oltre all’apostolato, da buon allievo della cava di mio padre, ho preparato molto materiale per la costruzione della futura chiesa. Ero un esperto spaccapietre. Andavo con un gruppo di ragazzoni robusti in una zona a qualche chilometro da dove abitavo, sceglievo i massi di granito che rendevo roventi bruciando pneumatici, poi li raffreddavamo violentemente e bruscamente, spaccandoli. Poi con un vecchio e declassato camion Magirus li trasportavo fino a casa. Ho preparato, molti mattoni e sabbia ben lavata raccolta nella palude.
Ero giovane e anche bello (dicono), e essendo solo soletto, già qualche ragazza cercava di attirarmi nelle sue tresche, così ho protestato per la solitudine con il Vescovo e superiori. Non se lo fecero dire due volte e mandarono subito fratel Santo Bonzi per iniziare i lavori della chiesa e togliermi da tentazioni e impicci. Il fratello rimase colpito dal lavoro che si era fatto in un anno senza trascurare il servizio sacerdotale.
Il 26 luglio del 1971 Fratel Santo tracciò le fondazioni della chiesa e diede inizio ai lavoro meravigliando la gente e le autorità per la grande capacità di lavoro e organizzazione. In pochi mesi ha costruito una chiesa che è il gioiello non solo della città Isiro ma di tutta la regione.

 Padre Lorenzo, mi sono sempre domandato ma come ha fatto Fratel Santo a pensare e costruire sul presbiterio un tetto così ardito con mezzi poveri?
Anch’io a quel tempo ero perplesso, anche perché, quando passava da noi qualche ingegnere o impresario Fratel Santo domandava sempre; “Lei come farebbe questo tetto?”. Un giorno gli dissi: “ Ma Santo stai tirando su, e..???”. Non mi lasciò finire e disse:” non preoccuparti. Chiedo consigli da tutte le parti”, poi battendosi la fronte disse: “ma il tetto io l’ho già costruito qui”. Era un uomo semplice e schietto con un’intelligenza eccezionale.
Ci venne in aiuto anche Fratel Toni Piasini, perché c’era bisogno di trasportare tonnellate e tonnellate di terra, detriti e pietre per il riempimento delle parti interne e esterne alle fondazioni. La nostra vita era tutto il giorno nel lavoro e nell’apostolato in mezzo alla gente. Qualcuno diceva che stavamo facendo un’opera troppo grande e bella per questa zona di Isiro. La città era in espansione e sapevamo di aver fatto la buona scelta. Dopo due anni e mezzo con la chiesa completata, e ben dissodato il terreno pastorale, dovetti lasciare la parrocchia nelle mani di P. Fernando Colombo, che voleva fare di Sainte Anne il centro di referenza per noi comboniani, e spostarmi a Rungu come parroco. Fui poi richiamato in Italia per l’animazione missionaria nella Lombardia.

 Papa Francesco nella sua seconda catechesi sulla preghiera riferendosi alle parole di Gesù: “ …tutto quello che domanderete al Padre in nome mio , ve lo concederà!” ha detto: “Si tratta proprio di un assegno in bianco.” Senza paura di sbagliarmi credo che anche tu sei un assegno in bianco che Dio ha messo nelle mani dei superiori… e loro ci hanno scritto quello che hanno voluto: “ fondatore di missioni, vicario, parroco, aiuto costruttore, animatore missionario, predicatore di Esercizi Spirituali, formatore nel postulato, nel Noviziato e nello scolasticato, consigliere provinciale, Provinciale e via dicendo…
Mah! Diciamo che ho aperto alcune missioni (Sainte Anne, un po’Nangazizi, rilevato Tadu abbandonato dai Domenicani….) e chiuse altre consegnandole al clero diocesano come appunto Rungu. L’unico compito che non mi è mai stato dato è quello dell’economo, anche se in realtà ho dovuto sbrigarmela anche in questo.

Quando hai poi rimesso i piedi in missione?
Nel 1979 sono ritornato in Zaire a Isiro riabbracciando la mia gente di Sainte Anne di cui avevo nostalgia. Sono stato parroco fino al 1984 e poi i superiori mi hanno chiesto di aprire il noviziato che fratel Santo stava costruendo, per i futuri padri e fratelli comboniani a Magambe a tre chilometri da Sainte Anne. Trascorsi otto anni fui scelto come nuovo Superiore Provinciale. Non è facile animare una provincia come la nostra, in un periodo socialmente e politicamente complesso, e ho l’impressione che umanamente sia stato un “fiasco”. Il Signore non ha bisogno di occhiali e certamente vede bene le realtà, diversamente da noi. Secondo i suoi piani i fiaschi danno i risultati più belli. E per completare l’opera mi sono trovato formatore degli scolastici prima a Kinshasa e poi a Londra
Dopo l’Inghilterra sono tornato in RDC e inviato come parroco a Rungu, dove noi due abbiamo vissuto assieme gli ultimi anni prima della cessione della parrocchia nelle mani del clero diocesano.. Ho sempre sentito e vissuto la comunità come il luogo della gioia. In quei ultimi anni di Rungu ho gustato moltissimo le uscite nei villaggi di “brousse” (della foresta e savana). I villaggi che facevano parte della missione si avvicinavano al centinaio, e le più lontane erano a oltre 120 km dalla centro. Fatiche e disagi erano compensati dalla gioia e dall’incontro con gente buona, ospitale, accogliente e semplice che dava anche belle testimonianze di vita cristiana. Ora a ottantatre anni mi domando se potrò continuare queste stupende esperienze di vita, di incontro e di gioia nei villaggi. 

Quali sono i ricordi più belli che conservi della missione?
I più belli sono certamente stati quelli dell’entusiasmo degli inizi, come la fondazione di questa parrocchia di Sainte Anne, quando vivevo in mezzo alla gente tutto il tempo. Quando ragazzi, adolescenti e giovani ricevevano i sacramenti, avevo l’impressione che poi vivessero una vita nuova dentro di loro. Dopo purtroppo in diversi giovani non sempre questa vita nuova, venuta dall’alto, era alimentata e si affievoliva. Ho sempre amato girare per i quartieri e per i villaggi in particolare per portare e amministrare il sacramento degli infermi agli ammalati. Vedevo la gente rasserenarsi e affrontare la malattia in pace, come se mi dicessero: “Adesso ho i documenti apposto…vado tranquillo…”. Mi ricordo che nei primi tempi a Tadu, amministrando il sacramento degli infermi quasi tutti riprendevano vita… per cui la gente veniva entusiasta a chiamarmi per questo sacramento.
In questi giorni vedendo la gente in chiesa commosso mi dico: “Guarda che meravigliosa opera ha fatto lo Spirito superando le immaginazioni e le attese, alimentando la fede della nostra gente”. Dio padre ha fatto molto di più di quanto speravamo anche per darci molte vocazioni di missionari e missionarie comboniani. Era ai tempi in cui ero parroco a Tadu e un ragazzo, il primo, mi si è presentato esprimendo il desiderio di diventare Missionario Comboniano. Mi sono detto ecco un segno dei tempi che ci invita a rendere le nostre comunità più congolesi, più africane e più internazionali. Lì con P. Colombo si è deciso di iniziare la formazione di futuri Missionari Comboniani Congolesi. Questo primo ragazzo Avo Tanzi Boudouin, è diventato Fratello e ha lavorato in Togo e in Italia. Ritornando a Isiro il Signore mi ha fatto un altro dono perché ritrovo Fratel Baudouin qui come membro della comunità di Sante Anne, dopo cinquanta tre anni.
Il Signore continua a darci nuove e belle vocazioni. Ci sono oltre cento e quindici Comboniani della RDC, i postulati traboccano di bravi giovani, tanto che ci si pone il problema di come far fronte alla accoglienza e alla formazione, abbiamo dovuto aprire un nuovo Noviziato proprio qui a Isiro.

 Quali sono le realtà traumatiche che hai vissuto?
Abbiamo vissuto le varie guerre, i saccheggi. Ma noi come comboniani abbiamo fatto sempre la scelta di restare a fianco della gente e condividere la loro sorte e le loro sofferenze. Come ci ha insegnato San Daniele Comboni: “Facendo causa comune”. Guardando al esempio delle nostre scelte, altri Istituti ci hanno seguito e sono rimasti affianco della gente e ci hanno ringraziato.
Anche come Provinciale le sofferenze non sono mancate, nonostante abbia fatto scelte che ritengo dettate dall’amore alla Missione e al bene dei confratelli, e non interessate alla carriera e al potere. La Croce non è mancata, ci sono stati momenti difficili in cui mi sono detto. “Pensavo di essere più forte nel portare la Croce”, Al di la di tutto, la vita è bella e devo ringraziare il Signore per i tutti doni e le gioie che sono state un infinità.
Ho concluso da poco il mio servizio come formatore per i giovani del postulato di Kisangani. I Giovani hanno detto che la mia presenza era importante e positiva. Adesso ritornato a Isiro mi sento ritornato a casa, sento che questo è il mio posto, la mia famiglia, per completare la mia vita missionaria. Era un sogno che avevo in cuore e che il Signore ha realizzato. La città è cresciuta, ma ancora di più godo e contemplo la crescita d’impegno e di fede dei cristiani in parrocchia. Mi sento un po’ come il vecchio Simeone che dopo aver preso tra le braccia il piccolo Gesù dice: “ora Signore puoi lasciare andare in pace il tuo servo secondo la tua Parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza….”

 Fr Duilio Plazzotta