P. Italo ha più di 90 anni. Nella vita ne ha viste tante, soprattutto in missione. P. Italo è saggio, parla poco, ma quando parla colpisce e scolpisce. Il virus ha avuto paura di lui e non gli si è nemmeno avvicinato. Eppure è preoccupato, non per sé, ma per gente, per tutti. Dice con la sua calma: “Ho vissuto la seconda guerra mondiale e ho conosciuto la fame come tanti altri. Ora mi sembra di vivere un’altra guerra mondiale. Il clima che si respira assomiglia molto a quello degli ultimi anni della guerra. Per fortuna non ci sono le bombe, ma abbiamo avuto a che fare con un nemico pericoloso e invisibile che ha cambiato tutta la nostra vita”. Ha ragione P. Italo: non ci sono bombe, ma la vera bomba sta per arrivare. La bomba della crisi economica. Persone senza lavoro per troppo tempo, costrette a chiudere le loro attività. Uomini e donne che aspettavano luce verde per poter continuare o ricominciare a lavorare. E la luce verde ha tardato ad arrivare. Così molti hanno fallito e non pochi hanno abbandonato la loro attività, iniziata e portata avanti con tanto sacrificio. Una bomba economica che ha tolto il sorriso a milioni di persone nel mondo: a banchieri e barbieri, a badanti e a cantanti, ad alberghieri e a camerieri, a  impresari e operai; e a tutto un mondo di persone, di vite e di  esperienze che oggi sono state costrette ad abbandonare il loro lavoro. Un mondo di persone costrette anche a pagare tasse su attività che non producono e non hanno entrate. È diffusa la sensazione che si farà fatica a tornare al livello di vita serena. L’economia è quasi ferma in tante parti del mondo e ci sono alcuni settori ancora bloccati. Il lavoro è stato inghiottito dalla crisi. Il salvadanaio si è svuotato, i risparmi sono finiti e molte famiglie faticano a trovare il pane quotidiano.

Guardando al panorama economico nazionale e mondiale dobbiamo domandarci: come viviamo questa crisi nelle nostre comunità? Forse non ci siamo neanche accorti della crisi, grazie al voto di povertà che ci permette di vivere senza sapere quanto spendiamo, o, come dice Comboni, senza sapere quanto sudore costa il denaro” (S 2607). Sia chiaro che non voglio dare lezioni a nessuno. Sto scrivendo per introdurre il tema della povertà e della sofferenza di chi è vittima della crisi; il tema del “fare causa comune” e il tema di un livello di vita più semplice e austero. Questo è un momento opportuno per riflettere e liberarci dalle debolezze di una vita di povertà non vissuta in pieno. Questa è anche un’opportunità per ritornare alla saggezza della nostra Regola di Vita, meditarla e fare un sincero esame di coscienza.

  1. CONDIVISIONE DEI BENI: La testimonianza di povertà si esprime nella comunione, condivisione e autolimitazione dei beni economici, secondo lo spirito e la pratica delle prime comunità cristiane (RV,164). Dobbiamo lodare quelle comunità che in questi tempi di crisi si sono private di beni e comodità per pensare ai più bisognosi, insieme ad altre associazioni, come la Caritas, Acse e centro Astalli. Da ringraziare anche l’esempio di  una comunità che ha dimezzato il proprio budget per mandare aiuti ai confratelli in  terra di missione. Ricordiamoci a vicenda un principio evangelico fondamentale valido per vivere la nostra consacrazione: evitare il pericolo di una vita borghese, comoda, impoverita nella sua spiritualità, lontana dalla gente e poco appassionata della missione tra i più poveri.

 

  1. LA LEGGE DEL LAVORO: La povertà si vive anche attraverso un serio e impegnato lavoro quotidiano (RV 27.2). Nella vita religiosa, anche per chi non lavora, il piatto è sempre pronto e abbondante. Grazie a Dio, coloro che non lavorano non sono molti. Anzi è il caso di dire che a molti bisognerebbe dare un ordine di riposare un po’. Comunque la legge del lavoro esiste per tutti. Lavorare significa anche fare bene le cose con passione e professionalità. La legge del lavoro ci chiede di faticare in aiuto dei più bisognosi; ci ricorda anche il dovere di una attenzione ai nostri anziani e ammalati, che meritano il nostro affetto e stima. Dobbiamo condividere tutto con loro perché stiano bene in ogni senso e siano contenti di vivere con noi.

3.VICINI ALLA VITA DEI POVERI: Nonostante le difficoltà a condividere totalmente le condizioni dei poveri, dobbiamo prendere su di noi le loro ansietà, i loro problemi, e la loro difesa. Ci uniamo a loro nello sforzo di migliorare le loro condizioni di vita, contro ogni sfruttamento e ingiustizia (RV, 28.2). E qui Gesù il Cristo ci fa ritornare al suo Vangelo, alla parabola del ricco epulone. Gesù ci ricorda che il posto giusto per noi è stare con Lazzaro, sentire e capire cosa significa vivere con le briciole che cadono dalla mensa degli altri. Gesù dice anche che la tentazione di rimanere a tavola col ricco epulone esiste ed è sempre presente. Dal posto che scegliamo diamo un messaggio. E uno stile  di vita semplice ci dà credibilità e autorevolezza nel portare il messaggio evangelico ai più poveri ed emarginati, e vivere in solidarietà con loro (RV 27).

 

  1. Teresino Serra