Giacomo Leopardi, nel 1829, proclamava: “Passata è la tempesta:/odo augelli far festa…/Ogni cor si rallegra, in ogni lato..torna il lavoro usato./Si rallegra ogni core./Sì dolce, sì gradita/Quand’è, com’or, la vita?” Una bellissima poesia, ma il virus non è poesia e la tempesta non è passata, anzi potrebbe ritornare. Quel virus invisibile e maledetto riesce a nascondersi, aspettare  e attaccare ancora. Ma noi dobbiamo tornare a vivere, anche se ci sembra di camminare in un campo minato Allora le domande: che cosa ci aspetta dopo questi mesi di isolamento forzato? Il nostro vivere sarà come prima? “Tutto andrà bene o tutto andrà… nuovo?” Certamente tutti vorremmo tornare a ciò che ci rendeva felici, a ciò che ci faceva sentire bene. Ed è giusto, ma dobbiamo tornare a vivere con sentimenti diversi, perché il domani non sarà lo stesso. Intanto, ritornare a vivere è come attraversare un campo di battaglia dove  incontreremo eroi che hanno combattuto per salvare vite. Ricorderemo  e ringrazieremo  donne e uomini, dottori, infermieri e infermiere, operai e professionisti, sacerdoti e suore, personale del 118, che hanno trovato la morte salvando la vita di altri. Non possiamo dimenticare i nonni e le nonne che sono scomparsi senza un abbraccio dei nipotini, e senza una parola di conforto dei figli. E non dobbiamo dimenticare tutti coloro  che, per mancanza di posti letto negli ospedali, non sono stati ricoverati e sono morti mentre erano in lista di attesa. Inoltre, non incontreremo il sorriso di tanti compagni e colleghi che hanno perso il lavoro e cercano, disperati, dove e come trovare il pane per la famiglia. Quella tristezza è l’immagine di condanna a un sistema economico che non conosce il vocabolario della solidarietà e del condividere, pensando solo a chi deve vincere o a chi deve cadere, a chi deve guadagnare e a chi deve perdere. E’ una tristezza che ricorda momenti brutti anche durante il nostro isolamento, mentre aspettavamo una risposta dai nostri governanti. Durante i mesi di pericolo e di morte abbiamo visto politici litigare, potenti rubare e fanatici insultare.

Eppure noi, gente semplice, dobbiamo rimanere uniti nelle nostre fatiche e far cadere la nostra piccola goccia nell’oceano immenso, credendo in un  mondo  più giusto e  più umano, dove si respiri il rispetto, l’onestà e  la solidarietà. La forza per costruire una società migliore viene da dentro, viene da un cuore che impara dal passato e crede nel futuro. Un cuore che porta a rinunciare alle proprie comodità ed egoismi pur di far felice qualcuno. Un cuore che dice di amare  per distruggere il dolore altrui. Ed il  dopo, come sarà? Sarà diverso, molto diverso da come lo avevamo programmato, perché quel nemico invisibile  vorrebbe tornare all’attacco, con l’intenzione di  distruggere ciò che con sacrificio abbiamo costruito. Speriamo, comunque, in un futuro nuovo dove i governi non diano soluzioni creando problemi nuovi; dove i politici non si tolgano le mascherine per mettersi nuovamente le loro maschere; dove le ricchissime industrie farmaceutiche investano di più nel fare ricerche, e non  fare morire migliaia di persone per guadagnare un dollaro in più; dove le nazioni non  si chiudano nelle loro cantine per ubriacarsi di nazionalismi criminali. È  giusto e necessario guardare indietro a quanto abbiamo sofferto nei mesi scorsi per colpa di un  virus che  non ha guardato in faccia a nessuno, portando via, nello stesso carro di morte, ricchi e poveri, bianchi e neri, operai e banchieri, artisti e pensatori,  italiani e stranieri, cantanti e sacerdoti, cristiani e mussulmani. Guardiamo avanti ricordando le parole della sapienza biblica: “Gli uomini sono divisi in tre categorie: quelli che vivono veramente,  lottando ogni giorno davanti alle difficoltà, malattie e ostacoli; quelli che fanno finta di vivere, conducendo una vita insignificante per sé e inutile per gli altri; e quelli che vivono stando attenti alle lacrime di chi soffre; e sempre pronti a dare una mano al debole, oggi e non domani;  perché oggi è il giorno giusto per amare, credere, lavorare, vivere e far vivere”.

Teresino Serra