Sono lì, chi seduto, chi conversa, chi è solo, ci guardano, accenniamo un saluto, qualcuno risponde ed accenna persino un sorriso. È il CIE di Lampedusa. Ad Imbriacola, comprese donne e bambini sono circa 200. C’è calma, ma solo apparente: veniamo a sapere di atti di autolesionismo per non essere rimpatriati, di aggressioni a forze dell’ordine, di etnie tenute attentamente separate per garantire la pacifica convivenza.

Apprendiamo che nei giorni dell’“invasione” accanto ai lampedusani che si prodigavano per aiutare i migranti, tanti si sono rinserrati in casa od hanno vissuto quei giorni proprio come un’invasione. Testimoni raccontano di porte sfondate, finestre in frantumi, altri ci dicono di uomini e donne arrivati decentemente vestiti e in pochi giorni trasformatisi in barboni, qualcuno li ha accolti in casa, tanti li hanno aiutati. Ricambiavano con un sorriso.

Dalla viva voce del responsabile della guardia costiera in quei giorni, veniamo a sapere che il rifiuto di alcuni isolani è consistito anche nell’impedire l’attracco dei mezzi della guardia costiera con sopra decine di migranti salvati in mare; quando l’imbarcazione non riusciva ad ormeggiare e, quindi, tentava di raggiungere l’altro lato della banchina, da qual lato si spostavano, correndo, quanti si opponevano allo sbarco, il tutto per ore ed ore.

Ovunque pattuglie delle forze di polizia, isola attentamente sorvegliata, che sia per questo che i turisti non arrivano? Nella notte del 4 giugno 5 migranti minorenni vengono fermati in via Roma con un ingente, forse esagerato, spiegamento di mezzi ed uomini, sono quindi perquisiti, rispediti nel CIE.

Nessuno sbarco il 4 e 5 giugno 2011.

Segnaliamo e ci fa piacere che l’Arcivescovo di Agrigento, don Franco, in questi due giorni sia stato a Lampedusa (si fermerà anche oltre) ed, ancor di più, che nell’omelia della scorsa domenica, così abbia detto: “Andate a votare. Ricordate che l’acqua è un bene di tutti”.

Anna Rita e Angelo Piraneo

laici missionari comboniani Agrigento